Il film del 1992 è tratto dall’omonimo romanzo di
Yves Theriault, un prolifico scrittore del Quebec che nel 1958 ha
pubblicato questa toccante storia sul conflitto culturale tra Inuit
ed uomini bianchi, sullo sfondo delle immense distese ghiacciate dei
territori del nord-ovest canadese. La critica cinematografica del
tempo è stata inclemente e ha sottolineato la “buona qualità di
riprese e l’apprezzabile sforzo paesaggistico nel quale fanno bella
figura le sequenze con animali (che i titoli del film garantiscono
non essere stati maltrattati!)” ma anche “la miscela di denuncia
etnica, onirismo sciamanico e sensibilità ambientale un po' di
maniera” e “le scene d'azione sottotono, la regia sonnolenta ed una
sceneggiatura che fa acqua”.
Noi abbiamo apprezzato il film per i momenti da documentario sugli
usi e costumi degli Inuit, sebbene molto adattati alle esigenze
cinematografiche di un film di cassetta.
La prima scena si apre su un magnifico paesaggio ghiacciato: una
slitta trainata dai cani corre sulle infinite distese bianche,
seguita da un bell’esemplare di lupo dagli occhi gialli. Siamo nel
Grande Nord del 1935. La slitta si ferma, il cacciatore la ribalta,
poi si alza, poggia il fucile e si toglie gli occhiali, quelli di
osso intagliati con due piccole fessure orizzontali, fissati intorno
alla testa con una stringa di pelle.
I costumi del film, per quanto scenografici, sono molto credibili e
permettono allo spettatore di calarsi subito nel rigido ambiente
artico.
Un lupo si affaccia sulla vallata, un’aquila
prende il volo e all’improvviso compare un gigantesco orso polare!
Con l’ingresso in scena degli animali, comincia a dipanarsi la trama
del film.
Agaguk è un giovane eschimese, figlio dello sciamano Croomak. Il
ragazzo è uno dei cacciatori più forti, vive secondo le millenarie
usanze del suo popolo ed è infastidito dalla presenza dell’uomo
bianco. E’ stato un inverno rigido: “Gli spiriti della terra non
sono stati molto generosi”, osserva lo sciamano. La risposta del
commerciante bianco non lascia speranze: “Se non avete pelli da
vendere, non posso darvi tabacco, alcool ed alimenti”. Quando Agaguk
rientra dalla caccia con la pelle dell’orso, il padre gliela chiede
in regalo ma Agaguk rifiuta perché per tradizione la pelle dell’orso
spetta al cacciatore che lo ha visto ed ucciso. Nei fumi
dell’alcool, invece, lo sciamano baratta la pelle con due bottiglie
di liquore. Irritato dal comportamento meschino del commerciante,
Agaguk cerca di recuperare la pelle ma ne nasce una lite furibonda
in cui l’uomo bianco rimane ucciso. Lo sciamano scaglia su di lui
una maledizione: “Hai girato le spalle al tuo popolo, lo spirito
dell’uomo bianco ti darà la caccia”. Iniziano così le peregrinazioni
di Agaguk, costretto ad abbandonare il suo popolo insieme alla
giovane moglie Igiyook. Ma un lupo li segue minaccioso, la sua ombra
accompagna il cacciatore in tutti i suoi spostamenti ed una notte lo
assale: Agaguk riesce a salvarsi ma rimane sfigurato.
“Per diventare uno sciamano si deve prima morire e poi ritornare a
vivere”. Il padre Croomak finisce così per perdonare il figlio e lo
riaccoglie in seno alla comunità, proprio quando un poliziotto
bianco, l’agente Henderson, è arrivato all’accampamento per
arrestarlo. Dopo una serie di vicissitudini, sarà lo stesso Croomak
a consegnarsi alla giustizia dei bianchi, ma una volta salito
sull’aereo che si presume debba condurlo in carcere, il vecchio si
divincola e, sotto gli occhi stupefatti dei poliziotti e quelli
ammirati della sua gente, si trasforma in aquila per volare verso la
libertà...
Il
film offre uno spaccato (per quanto romanzato) della vita quotidiana
in un accampamento Inuit.
Molte scene sono state girate all’interno della Grande Casa
invernale, pur rappresentata come una serie di igloo comunicanti
mentre era solitamente costituita di una sola stanza rettangolare
delimitata da pietre e zolle d’erba e ricoperta di travi di legno,
pietre piatte di scisto, pelli dismesse di foca e neve ghiacciata.
Sul fondo troneggiava la pedana ricoperta di pelli sulla quale
dormivano diverse famiglie, ognuna in una spazio ben definito loro
assegnato dal più anziano ed autorevole del gruppo. Davanti alla
pedana ogni donna accendeva una lampada di steatite alimentata col
grasso di foca e lo stoppino di licheni essiccati. Sulla lampada
veniva sospesa una grata per asciugare stivali ed indumenti, che
andavano battuti con un bastone da neve ogni volta che si rientrava
nell’igloo per evitare che gocciolassero all’interno. Durante i nove
mesi del lungo inverno artico la comunità si stringeva intorno al
fuoco dell’igloo e rinforzava i legami d’affetto, amicizia e
parentela: si inscenavano giochi, sfide e canti di tamburo, si
preparavano le pelli e si intagliavano gli amuleti.
Nel
film tutto questo è un po’ mescolato e travisato ma si vede
chiaramente, per esempio, un cacciatore che usa il trapano ad arco.
“Inuit, indiani e uomini bianchi discendono tutti dalla stessa
madre” spiega Igiyook quando regala ad Agaguk una tesserina di
avorio incisa col coltello. Sono più amerindiani che Inuit il taglio
e le decorazioni dei capelli delle donne, le borse a tracolla dei
cacciatori e la struttura dell’accampamento estivo. Come pure è
edulcorata la scena del parto perché i neonati venivano puliti prima
leccandoli e poi strofinandoli con una coda di lepre imbevuta di
urina... E’ poco credibile anche la scena della caccia al lupo,
mentre è più verosimile quella della caccia alla foca. Molto caotica
e scomposta è invece la caccia alla balena, in cui vengono coinvolti
sia due kayak che un umiak: però si vedono le pagaie
groenlandesi e si intuisce bene la strategia collettiva dei
cacciatori Inuit di arpionare la balena con più arpioni legati ai
galleggianti, gli avatak, le pelli di foca piene d’aria che avevano
la funzione di sfiancare la preda e di segnalare la sua presenza tra
i ghiacci.
Simbolico il volo finale dell’aquila sull’inukshuk,
la statua di pietra simbolo dell’identità degli Inuit, usata come
punto di riferimento nelle distese ghiacciate o per confondere i
caribù durante le battute di caccia.
Emblematica una delle frasi che Agaguk rivolge ai poliziotti bianchi
che stanno portando via Croomak: “E’ questa la vostra legge? Pensate
che il vento, la neve, il lupo o la balena possano rispettarla? Gli
Inuit non vivono secondo le leggi dell’uomo bianco! Sono figli della
terra e vivono secondo le sue leggi!”
Non poteva mancare un finale catartico in cui sempre Agaguk,
compresa l’inutilità della violenza e dello scontro di civiltà,
conclude con un’amara considerazione: “Non vale la pena di uccidere
i bianchi, sono troppi, meglio vivere la vita degli Inuit ed
aspettare che l’uomo bianco cambi”.
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