An
eskimo and his kayak è un breve documentario della prestigiosa
collezione di archivio della BCU (British Canoe Union).
Realizzato nel 1932 dal giovane esploratore inglese Henry George
“Gino” Watkins, nel corso della sua ultima e sfortunata spedizione
in Groenlandia, racconta non solo del suo incontro con gli Inuit di
Ammassalik ma anche delle sue prove in kayak per imparare ad
eseguire l’eskimo.
Primo europeo a cimentarsi nella manovra, apprende dai cacciatori
Inuit di quello sperduto villaggio della costa orientale della
Groenlandia a manovrare con perizia il kayak per poter affrontare in
autonomia la spedizione e le conseguenti necessarie battute di
caccia.
I suoi tre compagni di spedizione troveranno un giorno il suo kayak
vuoto sulla banchisa, i suoi abiti bagnati deposti pochi più in là:
del suo corpo non se ne è più trovata traccia e l’ipotesi più
accreditata è che sia morto di ipotermia durante una solitaria
caccia alla foca.
A soli 25 anni Gino Watkins era già diventato un esploratore famoso
e rispettato: per prepararsi alla sua prima spedizione in
Groenlandia orientale del 1927, poi annullata per mancanza di fondi,
dormiva con le finestre aperte per abituarsi al freddo polare; dopo
aver raggiunto Edge Island nel 1927, un’isola disabitata della
Norvegia artica affacciata sulla costa orientale della più grande
Spitzbergen nell’arcipelago delle Svalbard, Watkins prese parte ad
altre spedizioni in Labrador ed in Groenlandia orientale; tra il
1930 ed il 1931 entrò nella famosa British Arctic Air Ruote
Expedition ed esplorò i 1500 km di costa tra Ammassalik e Scoresby
Sound verso Nord, usando la “Quest”, la vecchia barca di Sir Ernest
Shackeleton.
Nel 1932 torna in Groenlandia per tentare di aprire una rotta tra
l’Europa ed il Nord America e soggiorna a lungo presso la comunità
Inuit di Ammassalik per perfezionare la navigazione in kayak.
Impara così l’eskimo dagli stessi cacciatori.
Tantissime fotografie scattate nel corso della spedizione BAARE del
1930-1931, tra cui moltissime scattate durante le esercitazioni in
kayak, sono reperibili a questo link:
http://www.spri.cam.ac.uk/library/pictures/catalogue/baare/browse/
In un articolo scritto nel 1998 e rivisto nel 2004 da Duncan R.
Winning, Presidente Onorario della Scottish Canoe Association e
della Historic Canoe & Kayak Association, ho letto che uno degli
insegnanti di eskimo di Gino Watkins sembra essere stato proprio il
leggendario groenlandese Manesse Mathaeussen, una figura di spicco
per la reintroduzione del kayak nella costa orientale della
Groenlandia nel corso degli anni Ottanta (1980!).
Un
bel libro sulla storia di Gino Watkins è stato scritto da James
Maurice Scott, “Dancing in ice”, ed è facilmente reperibile sul web.
John D. Heath, altra mitica figura di grande appassionato della cultura
Inuit, parla del kayak di Gino Watkins con dovizia di particolari,
dispensa misure, caratteristiche e storia nel suo corposo lavoro
“Eastern arctic kayaks: history, design, technique”. Racconta anche
della spedizione inglese del 1932 e spiega che i kayak utilizzati da
Gino e dai suoi compagni erano estremamente instabili e piccoli,
adatti a persone magre perché il pozzetto era largo appena 35,4 cm!
In effetti, in alcune scene girate in Groenlandia, si vede bene la
titubanza con cui gli uomini bianchi prendono il mare nei loro
kayak, poche pagaiate in avanti e poi subito all’indietro per
recuperare la riva. Ma Gino Watkins si prodiga a lungo per aiutare i
suoi compagni di spedizione ad affinare la tecnica di navigazione in
kayak, convinto di avere a disposizione i migliori maestri
possibili, essendo i cacciatori di Ammassalik i più bravi kayakers
dell’Artico. Una delle prime schede del documentario spiega infatti
che, dovendo usare il kayak per la caccia alla foca, gli Inuit
avevano acquisito una completa padronanza di queste piccole
imbarcazioni ed avevano scoperto diversi modi per recuperare la
posizione di equilibrio iniziale. Tanto esperti che, con l’aiuto di
una barca a motore, uno dei cacciatori mostra anche cosa può
accadere quando un narvalo arpionato tenta di scappare...
Watkins contestava quanto sostenevano molti viaggiatori europei, che
fosse cioè impossibile per un bianco usare il kayak in maniera
efficiente, mentre lui era convinto, e lo dimostrò, che gli europei
avrebbero potuto acquisire in kayak la stessa dimestichezza degli
Inuit: i dieci membri della spedizione inglese del 1932 si
allenarono duramente nel corso di un mese intero e alla fine tutti
potevano eseguire correttamente l’eskimo a destra e addirittura un
paio di loro anche l’eskimo senza pagaia, cosa che solo pochi Inuit
erano in grado di fare.
Il giusto orgoglio per la riuscita lo aveva convinto a portare un
paio di kayak in legno e pelli di foca in Inghilterra e, come si
vede nel corso del documentario, a fare una serie di esibizioni nel
River Cam, in condizioni meno estreme dell’Artico, tanto che il suo
compagno John Rymill si esercita in canottiera bianca. Anche se ad
un certo punto indossa uno splendido anorak decorato. I due si
esibiscono nell’eskimo, nel lancio dell’arpione e nei salvataggi in
caso di fallimento dell’eskimo. Le tecniche, per quanto efficaci,
non erano raffinate ed in alcuni casi si assiste al fallimento della
manovra, oppure alla riuscita dopo ben due tentativi, quando ormai
il compagno si era tuffato in acqua per raggiungere il kayak del
malcapitato. La pagaia utilizzata da Gino Watkins durante le
esercitazioni è un modello tradizionale in legno con il bordo
rinforzato in osso, come anche la punta, arrotondata e bianca. La
mano esterna stringe l’estremità della pagaia come una pinza, e
questa posizione è stata a lungo adottata prima di recuperare la più
rilassata ed efficace posizione groenlandese intorno alla pala.
Diverse sequenze sono proposte al rallentatore ed
alcuni eskimi sono eseguiti con vera maestria, come quello a pala
lunga in appoggio basso, l’eskimo da tempesta in perfetta posizione
di chiusura in avanti. La pratica prevede anche l’eskimo con il
legno da lancio e con le mani, sia a destra che a sinistra e
colpisce la determinazione dei compagni di Watkins nell’esercitarsi
in acque invase da piccoli icerberg.
Il documentario si chiude sulle scene di una trasferta in barca
dell’intera comunità, i cacciatori sui kayak armati di tutto punto,
arpioni, galleggiante (avatak) e velette per la mimetizzazione, le
donne sull’umiak, remando in sincrono con remi ad una sola pala.
Le 16 tavole con poche frasi esplicative rendono bene la sequenza di
immagini e anche se non c’è traccia di dialoghi, né tanto meno di
colonna sonora, il documentario rende merito all’attività svolta da
Gino Watkins, che rappresenta una pietra miliare nella diffusione in
Europa del kayak da mare groenlandese.
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