TATIYAK - Cineforum Inuit 2012

Il senso di Smilla per la neve
Regia di Bille August
Musica di Harry Gregson-Williams, Hans Zimmer Shore
Protagonisti: Julia Ormond, Gabriel Byrne, Richard Harris e Vanessa Redgrave
Film d’azione a colori, doppiato in italiano
Durata 115 minuti

Scheda a cura di Tatiana Cappucci

Il senso di Smilla per la neve, film del 1997 nato da una co-produzione tedesco-danese-svedese in collaborazione con la Greenland Film Production, è liberamente ispirato all’omonimo romanzo dello scrittore danese Peter Høeg. Come spesso accade, il film non rende merito al libro: lo sintetizza e semplifica oltre misura, lo rende cinematograficamente attraente ma filologicamente scialbo, lo svuota di ogni riferimento al mondo groenlandese dei due protagonisti.
Come nel libro, anche nel film la bella e scontrosa Smilla cerca di scoprire le ragioni della misteriosa morte del suo piccola amico Esajas, precipitato da un tetto pur avendo il terrore dell’altezza; come nel libro, anche nel film, la solitudine di Smilla si fonde con quella del suo vicino di casa, anche lui coinvolto nell’intrigo internazionale che ha provocato la morte del bambino; come nel libro, anche nel film, le intuizioni di Smilla l’aiuteranno a svelare i misteri che avvolgono le spedizioni scientifiche degli ultimi decenni in Groenlandia.
Ma nel film la trama pur ricca di personaggi forti e complessi sembra appiattirsi sulla improbabile storia d’amore tra Smilla ed “il meccanico” e tutti i racconti di Smilla sugli Inuit, sulle sue abitudini di bambina eschimese, sui suoi giochi sulla neve, sul suo straordinario senso di orientamento tra i ghiacci sembrano cedere il passo agli effetti speciali.

Un meteorite colpisce la Groenlandia nel 1859 mentre un Inuit sta pescando; cento anni dopo un bambino di origini groenlandesi muore cadendo da un tetto a Copenaghen; uno scienziato molto ambizioso e senza scrupoli scopre nel meteorite l’esistenza di parassiti preistorici.
Il libro racconta meglio del film come questi eventi siano tra loro strettamente connessi.
Il film si avvantaggia degli interminabili tramonti danesi e delle luci crepuscolari del Grande Nord.
La trama di entrambi è ricca di personaggi: la madre di Esajas, sempre ubriaca ma lucida quando serve, il vicino di casa di Smilla (un affascinante David Byrne), timido e balbuziente ma con le mani sempre troppo pulite per essere un meccanico, la vecchia segretaria tormentata dal rimorso (una stupefacente Vanessa Redgrave) che offre a Smilla alcune chiavi di accesso al mistero, il vecchio scienziato (un credibilissimo Richard Arris) che sembra ad un tempo fuggire e rincorrere Smilla, il poliziotto che indaga sull’incidente e che vorrebbe credere alle intuizioni di Smilla sull’omicidio ma che non può fidarsi della sua capacità di leggere la neve, così incredibile per un occidentale.

Nel libro Smilla è un personaggio indimenticabile, uno splendido esempio del tipo underground solitario e scontroso e tutta la storia ruota comprensibilmente intorno al suo atavico bisogno di affetto, la sua rabbia spiega la sua misantropia e viceversa.
Le due ore del film non riescono a riassumere le oltre 450 pagine del libro ed il personaggio di Smilla perde molto del suo mordente e risulta forse meno affascinante, nonostante la coinvolgente interpretazione della giovane e bella Julia Ormond (anche se delle critiche feroci hanno detto che era “l’attrice meno indicata del pianeta per interpretare quel solitario guerriero androgino di Smilla”).
Ma la risposta di Smilla alla domanda del meccanico resterà indimenticabile: “Com’è possibile che una ragazza carina e minuta come te abbia una voce così rude?” – “Mi dispiace di dare l’impressione di essere rude solo con la bocca. Mi sforzo quanto posso di esserlo in tutto!”
Il colore dominante è il bianco, ovunque, in Danimarca come in Groenlandia, e tinge anche i sentimenti dei protagonisti e le emozioni di Smilla.

         

Il libro ci ha incantati, il film solo incuriositi; le immagini e le emozioni ricreate sullo schermo non sono state capaci di competere con quelle suscitate dalla lettura.
Inoltre, il libro è pieno di richiami alla cultura Inuit che nel film sono stati tagliati: Smilla che spiega perché ha un così spiccato senso dell’orientamento, Smilla che trasmette la sua innata passione per la matematica, che racconta come giocava da bambina sulla neve, che elenca i diversi modi di definire la neve a seconda del suo stato, che ricorda la madre cacciatrice preoccupata di avere una figlia tanto compassionevole da non riuscire ad uccidere uccelli e foche…
Smilla che dice di essere idrofobica e di amare il ghiaccio perché “copre l’acqua e la rende solida, sicura, percorribile, trattabile”. Smilla che confessa che “leggere la neve è come ascoltare la musica. Descrivere ciò che si è letto è come spiegare la musica per iscritto”. Smilla che parla dei suoi kamik, i suoi stivali di pelle di foca, dei suoi sinik, i sonni contati per sapere quanto durava il viaggio, del kayak di sua madre e del tricheco che probabilmente lo ha distrutto quando il suo corpo non è più stato ritrovato… lei che in kayak non era mai riuscita a salire!
Smilla che rievoca l’origine del suo nome: “l’anno in cui nacque, la madre andò in Groenlandia occidentale e da lì riporto il nome di Millaaraq. Poiché ricordava al padre la parola danese mild, dolce, e poiché lui voleva sottoporre tutto ciò che era groenlandese ad una trasformazione che lo rendesse europeo e familiare, e poiché dissero che la neonata gli avesse rivolto un sorriso, in danese smill, i suoi genitori si accordarono su Smillaaraq, “che per l’usura cui il tempo sottopone tutti noi fu abbreviato in Smilla”.
Per scoprire ed apprezzare tutto questo non basta vedere il film, occorre leggere il libro.
 

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