La raccolta di fiabe e leggende curata da Howard
Norman si apre con una nota di precisazione dell’autore: ”il termine
“eschimese” non gode decisamente di grande favore presso le
popolazioni indigene, secondo le quali non sarebbe rispettoso del
loro senso di identità, così vitale e radicato nella storia. Oggi,
la parola “Inuit” designa le popolazioni indigene della regione
artica del Canada orientale. Gli abitanti della regione dello
Stretto di Bering preferiscono chiamarsi “Yup’ik”, mentre quelli del
lembo settentrionale dell’Alaska “Inupiat”. Sebbene io abbia usato
in generale il termine “eschimese”, che forse è troppo profondamente
radicato nelle menti dei lettori occidentali, spero ardentemente che
la varietà dei racconti dei questa antologia possa evidenziarsi, e
contribuisca a sottolineare l’impressionante natura idiosincratica
delle culture nordiche”.
I
racconti orali sono sempre stati al centro della cultura artica e
subartica, quando i popoli del nord si riunivano durante la lunga
stagione invernale per raccontare le loro storie; questa antologia
ne raccoglie un vasto numero: provengono dalla Groenlandia, dal
Canada e dalle Isole Aleutine, oltre che dalla Siberia e dal
Giappone, e rappresentano le principali famiglie linguistiche e ben
trentacinque tribù (indiane ed eschimesi, nell'accezione semantica
positiva utilizzata dall'autore).
I racconti nordici si accordano sempre con gli antichi ritmi della
natura e del paesaggio e gli animali parlano la stessa lingua degli
uomini; se c’è una “morale”, come nella favole occidentali, è spesso
nascosta o dissimulata, spesso è del tutto assente e l’essenza
stessa del racconto è quella di tramandare storie di vita
quotidiana.
“La genialità dei racconti nordici deve essere ricercata nella loro
dimensione emotiva, nel modo in cui mettono a fuoco momenti cruciali
della vita tribale e, ancora, nel modo in cui riescono ad accordare
il fantasmagorico con il luogo comune, mostrando una realtà spesso
strana e sempre irresistibilmente accattivante”.
Ed infatti, le storie nordiche sono animate da uccelli che tagliano
la legna, cani che volano sulla luna, alci che parlano, monti che
respirano attraverso una donna, ragazzi che si trasformano in sterne
artiche, strolaga e corvo che si fanno tatuaggi a vicenda, donne che
mettono secchi in testa a caribù e via così...
“I nostri racconti riguardano esperienze umane”, ha spiegato Osarqaq,
un Inuit del Polo Nord, “e quindi non narrano sempre cose belle.
Ma non si può abbellire un racconto per far piacere a chi lo ascolta
e, allo stesso tempo, mantenere la verità. La lingua dovrebbe essere
l’eco di ciò che si deve raccontare, e non può adattarsi agli umori
e ai gusti dell’uomo”.
Rivelano sempre la sacralità della vita; le rigide regole del vivere
sociale, che porta dei cacciatori ad uccidere un impenitente
bugiardo, perché rischia di mettere a repentaglio la vita
dell’intero villaggio; le mutevoli esigenze della vita domestica,
che porta un uomo a lasciare il suo igloo perché la moglie gli è
infedele ed il suo nuovo amante si siede al posto del padrone di
casa; e la durezza dell’ambiente: quando tre amici cercano di
scoprire quanto è grande la Terra e si mettono in viaggio per
misurarla, giungono ad un’enorme casa di ghiaccio, vi entrano,
seguono le sue pareti per giorni, mesi ed anni e quando sono ormai
stremati uno di loro trova finalmente l’uscita, ritorna dalla sua
gente che è ormai molto vecchio e spiega serafico: “la Terra non è
altro che una grande casa di ghiaccio”!
Nell’introduzione si citano
Knud Rasmussen, l’esploratore danese che
nel 1910 fondò una scalo commerciale a Thule, Jean Malaurie,
l’autore
nel 1950 de Gli ultimi Re di Thule, mirabile resoconto di vita tra gli
Inuit, Hinrich Rink, che ha fornito la prima fonte
significativa di racconti groenlandesi in Tales and traditions of
the Eskimo, e tanti altri studiosi e ricercatori che per vari motivi
sono entrati in contatto con il popolo Inuit e sono rimasti
affascinati dalla loro cultura orale.
Il racconto più intrigante è quello sul Grande
Corvo, il creatore di tutti gli esseri viventi e della Terra.
Grande Corvo viveva con la moglie; erano i primi esseri viventi a
popolare la Terra e si erano creati da soli.
Una mattina, la moglie di Grande Corvo, stanca di vivere da sola col
marito su una piccola zolla di terra che galleggiava nel vuoto, lo
incitò a creare qualcuno che potesse far loro compagnia e gli disse:
“E’ una vita monotona la nostra, faresti meglio ad andare a creare
il resto della Terra. Và fuori, subito!”. Allora Grande Corvo, anche
se un po’ recalcitrante, volò in cielo e liberò alcune feci che
divennero i continenti, poi fece pipì che divenne acqua dolce, poi
ancora vomitò qualcosa che cadendo sulla Terra formò le montagne.
Quando Grande Corvo trovò gli alberi, cominciò a sferrare colpi con
la sua accetta, le schegge di legno caddero in acqua e vennero
spinte dalla corrente fino al mare e così dai pini nacquero i
trichechi, dalle querce le foche, dalle betulle le balene e da tutte
le altre specie di alberi nacquero pesci, granchi e creature marine.
Quando poi i pezzetti di legno toccavano la terraferma, allora si
trasformavano in renne, orsi, volpi e ogni tipo di cacciagione... e
per spiegare come i moltiplicarono gli esseri umani, Grande Corvo
taglia corto e spiega che “le ragazze imparano molto più in fretta
dei ragazzi come funzionano certe cose”!
Quando stavo leggendo la racconta di fiabe
nordiche, mi è capitato di scovare una notizia bella e curiosa: si
era appena tenuta a Sàrmede, in provincia di Treviso, la XXVI Mostra
Internazionale d’Illustrazione per l’Infanzia che ha scelto come
tema dell’anno “I canti dei ghiacci, le fiabe dalle Regioni
Artiche”, invitando i maggiori illustratori del mondo ad esporre le
tavole con cui hanno accompagnato un’ampia raccolta di antiche fiabe
e leggende delle popolazioni dell’estremo nord
(www.sarmedemostra.it).
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