Bonaccia, mare calmo, foschia leggera... immersi nel colore cinerino di un
orizzonte indistinto recuperiamo il piacere condiviso di pagaiare nel silenzio
della natura... cullati dalle onde lunghe, avvolti dal caldo primaverile,
ipnotizzati dal chiarore delle nubi sfilacciate dobbiamo presto ricorrere al
racconto orale per vincere la sonnolenza incipiente!
Miti e leggende sulle Isole Tremiti abbondano, la preparazione del viaggio ci
permette di scoprire vecchie storie che colpiscono la fantasia: i sassi di
Diomede, Giulia esiliata alle Tremiti, il Beato Tobia da Como.
Se la curiosità è poca sulla nascita delle isole, massi scagliati al largo del
Gargano dal mitico eroe greco Diomede, furioso per il tradimento della adorata
moglie durante le sue battaglie vittoriose ed i suoi viaggi avventurosi,
l’attenzione cresce intorno alla storia di Giulia, matrona romana dalla vita
dissoluta esiliata sull’isola, come lo era stata la madre sull’isola di
Ventotene, per essere sottoposta alla costante vigilanza di un feroce guardiano,
che però col tempo cedette alle sue grazie tanto da accettare il patto
scellerato di consumare la loro unione sulle spiagge non già dell’isola ma della
terraferma... i due cercarono di fuggire su un’imbarcazione ricavata dal tronco di
un pino ma non raggiunsero mai la costa perché un forte vento di grecale sollevò
il mare in una violenta burrasca... la leggenda racconta che i due naufraghi
scomparvero abbracciati nell’amplesso della morte invece che in quello
dell’amore!
Navighiamo in quelle stesse acque un po’ sopraffati dalla stanchezza dovuta alla
lunga trasferta in auto, che alcuni di noi hanno affrontato nottetempo per
evitare il traffico causato dal ponte pasquale... parlare, raccontare, ridere e
“ciacolare” tra noi sembra davvero l’unico modo per evitare di addormentarsi
cullati dalle onde...
Maurizio si risveglia finalmente dal torpore quando ascolta la storia del suo
conterraneo, il Beato Tobia da Como, che aveva appreso la nobile arte di
scolpire statue di santi e madonne dal suo maestro eremita e che come lui
avrebbe voluto ritirarsi sulle Isole Tremiti; una volta giunto sul Gargano le
sue opere di bene gli conquistarono la venerazione della gente del posto che non
volle più lasciarlo andar via; in punto di morte, però, espresse il desiderio di
essere sepolto sulle Isole Tremiti, ma essendo i suoi fedeli talmente poveri da
non possedere neanche una barca, il Beato Tobia trovò da solo la soluzione: che
lo ponessero in una bara di legno e lo adagiassero in mare, ci avrebbe pensato
la Divina Provvidenza a farlo navigare nella giusta direzione... venne
accontentato ed oggi le sue spoglie riposano nella cripta dell’abbazia di San
Nicola, l’imponente mole di pietra bianca che si staglia sul profilo dell’isola
quasi a sommergere una delle sue sottili estremità...
Sulle isole si parla in dialetto napoletano, frutto del confino forzato di
guappi e camorristi cacciati dai Borbone quando l’abbazia venne adibita a
colonia penale, ed il nostro arrivo è salutato in porto da allegri e coloriti
“uhè guagliò” che attirano subito la curiosità dei componenti campani della
nostra spedizione kayakista in acque pugliesi.
Sapevamo che l’attracco sulle Isole Tremiti era unico, su San Nicola, e
che per raggiungere San Domino, l’isola maggiore, si poteva contare
esclusivamente sulle barche dei pescatori locali; oggi, invece, hanno costruito
un imponente molo di cemento armato anche su San Domino ed il collegamento
giornaliero con la terraferma è garantito da veloci aliscafi che vomitano
sull’isola frotte di turisti motorizzati...
Amareggiati dall’avanzata inarrestabile della “civiltà”, cerchiamo un po’ di
conforto salendo all’antica cittadella, dove sembra che i pochi abitanti rimasti
vivano in una dimensione sospesa nel tempo, vecchi pescatori seduti all’ombra
dei pini nella piazzetta della posta, larghe scalinate basse che facilitano la
salita, ampi cortili affacciati su un panorama unico e mozzafiato; porticati
iscrizioni archi chiostri pozzi e l’antico stemma della fortezza, una diomedea,
l’uccello notturno che nelle notti senza luna emette gemiti strazianti
paragonabili al pianto disperato di un bambino (e che narra la leggenda sia il
lamento dei compagni di Diomede che piangono il loro eroe, tanto che per questo
gli uccelli si sarebbero dimostrati amichevoli con i greci e aggressivi con i
barbari).
Il sole ci riscalda e ci invita a scoprire le isole dal mare e così la mia
intrepida amica Sylva si avventura per la prima volta nella navigazione in
kayak, dimostrando una innata predisposizione alla pagaiata ed una incredibile
dimestichezza con le manovre... continuo a guardarla da lontano, ammirata dalla
eleganza del movimento e dalla naturalezza con cui lascia filare il kayak
sull’acqua... che soddisfazione!
Costeggiamo l’isola di San Nicola lungo il suo lato meridionale, abbagliati
dalla Muratta, il costone bianco strapiombante che si snoda fino al vecchio
cimitero, separato dalla cittadina da una profonda spaccatura nella roccia,
detta appunto la Tagliata, probabilmente frutto di assestamenti tellurici ma che
la leggenda narra sia stata realizzata dal lavoro certosino dei monaci addetti
alla fortificazione dell’abbazia, che scavarono la montagna nel disperato
tentativo di rendere invulnerabile la piccola comunità locale dai ricorrenti
attacchi dei corsari.
Passato lo Scoglio Pirruozzolo scegliamo di concederci una lunga sosta per il
pranzo sulla disabitata isola di Capraia, a Cala dei Vermi, dove scopriamo
subito che da queste parti ogni cala, anche la più piccola ed inaccessibile,
ospita una boa colorata di dimensioni variabili ma sempre notevoli, strappata
dalla furia del mare al suo ormeggio e incastonata tra legni ricurvi e
abbondante polistirolo (mai visto così tanto!).
Guido deve fare il bagno per recuperare la lenza impigliata in uno scoglio,
l’acqua è ancora fredda che sembra di immergersi in cubetti di ghiaccio, fortuna
che il sole è ancora alto in cielo e che non si muove un alito di vento... la
compagnia è allegra, omogenea e rilassata!
Siamo finalmente in vacanza, consapevoli tutti di esserci conquistati un lungo
momento di meritato riposo, lontani dal logorio della vita moderna, come
recitava un famoso adagio pubblicitario, ammaliati dalla bellezza selvaggia
delle Isole Tremiti!
Una numerosissima colonia di gabbiani reali ha nidificato proprio lungo li
sentiero che dalla spiaggia conduce al vecchio faro abbandonato… volano in
picchiata sulle nostre teste quando cerchiamo di perlustrare i dintorni e con un
magistrale rilascio di escrementi ci ingiungono vocianti di abbandonare la
“loro” isola!
Riprendiamo presto il mare, felici di tuffarci ancora nel blu limpido di questo
angolo di paradiso, ancora increduli di trovarci nel Mar Adriatico, conosciuto
per i suoi bassi fondali di sabbia che solitamente donano un colore lattiginoso
all’acqua, che qui, invece, è cristallina e colorata neanche fossimo ai Caraibi!
Lo spettacolo è reso indimenticabile dal più imponente e scenografico degli
archi naturali che ricamano le coste delle isole, l’Architiello che si staglia
subito oltre Punta Secca, una spettacolare arcata rocciosa di oltre 6 metri che
vista dal mare lascia letteralmente a bocca aperta.
Costeggiando Cala dei Turchi, l’ampia insenatura che un tempo ospitò le
imbarcazioni turche durante l’assedio di San Nicola, scorgiamo un bel leprotto
dal folto codino bianco che zampetta veloce tra bassi arbusti di lentisco e
tondeggianti cespugli di euforbia ma subito il profumo intenso della fioritura è
soffocato dall’odore pungente del guano dei gabbiani, padroni indisturbati di
quest’isola completamente disabitata.
Raggiungiamo Punta dello Straccione, così chiamata per vie delle punte aguzze
degli scogli sommersi che spesso provocano lo “straccio” (strappo) delle reti da
pesca, e completato il giro dell’isola, che per quanto carica di bellezze
naturali non impegna oltre due ore per completare il periplo dei suoi scarsi
cinque chilometri di sviluppo costiero, puntiamo su San Domino alla ricerca del
nostro ricovero notturno.
Lo sbarco non manca di riservarci delle sorprese, nel fondo di un piccolo fiordo
che si insinua ad uncino nell’unica cala riparata dell’intero arcipelago, dove
però risulta alquanto impegnativo tirare in secca i kayak senza scivolare sugli
scogli infestati di attinie dai tentacoli violacei, appiccicosi ed urticanti…
sembra poi che tutte le meduse nane dell’Adriatico si siano date appuntamento a
Cala Tamariello per un ultimo saluto prima di morire nel retino della bambina
che sadicamente si ostina a gettarle sugli scogli... però è la figlia delle
proprietarie del campeggio davanti al quale abbiamo intenzione di montare il
campo e quindi non spendiamo una sola parola a tutela della natura indifesa di
quelle piccole calotte trasparenti, rosate e filamentose...
L’isola di San Domino è davvero spettacolare, due sole spiagge di sabbia, Cala
Matano vivacizzata da un chiostro di rami intrecciati e Cala delle Arene vicino
al porto, l’unica sulla quale si affacciano le costruzioni di due o tre
ristoranti, per il resto è completamente ricoperta di vegetazione tanto ricca da
nascondere alla vista le case di villeggiatura che nascono ancora come funghi,
ormai lontano il tempo in cui il solo villaggio turistico del Touring Club
accoglieva nei suoi bungalow a guscio ospiti illustri come Lucio Dalla che
all’ombra dei Pini d’Aleppo trovava la giusta ispirazione per canzoni come
4.3.1943 e tanti altri versi magistrali sul mare, che... come il pensiero non lo
puoi recintare ma lo puoi mortificare!
L’isola è ricca di rocce calcaree, argillose e silicee ed in un tratto costiero
di poco meno di 10 chilometri (9.700 metri, per l’esattezza!) si concentrano
coste rocciose alte e frastagliate, falesie a strapiombo sul mare, grotte
profonde ed archi naturali, promontori che nascondono calette riparate, scogli
che protendono in mare la lunga proboscide di un elefante, insenature che
ospitano boe galleggianti, pini marittimi inclinati nella direzione del vento
dominante, acque cristalline e pescosissime...
E la sera ci accoccoliamo attorno al fuoco delle tre cucine accese, assaporando
prima nell’aria il profumo invitante dei piatti cucinati con sapienza dai
maestri cuochi, gustando poi le variazioni con capperi e pomodorini sul tema
unico della carnosa palamita pescata la mattina dal mitico Guido... un solo
pesce è stato capace sia di soddisfare le esigenze della numerosa truppa
affamata e scalpitante, che per l’intero pomeriggio di navigazione non ha fatto
altro che pensare cercare e proporre ricette di cottura, e sia di entusiasmare a
tal punto Maurizio che al ritorno dal viaggio si è procurato “bancali di rapala”
adatti alla pesca d’altura...
In effetti, è stata una cena davvero indimenticabile, e dopo aver assaggiato il
pesce appena pescato e cucinato all’acqua pazza, con ricette semplici e
condimenti naturali, ho capito che non avrei mai più ordinato il pesce al
ristorante...
La giornata della domenica la dedichiamo interamente a scoprire le bellezze
dell’isola maggiore, seguendo il percorso in senso antiorario verso Cala
Tramontana e Punte del Vuccolo, termine napoletano per indicare il “boccolo”
della punta estrema della scogliera, poi ancora verso Cala degli Inglesi e Cala
dei Benedettini, separate da Punta del Vapore dove la leggenda vuole che siano
naufragata una nave a vapore inglese, e poi finalmente alla scoperta delle
grotte naturali che hanno contribuito alla fortunata nomea dell’isola: la Grotta
delle Rondinelle, dove in primavera nidificano le rondini, la Grotta delle Viole
sul versante orientale, dove dicono fioriscano le viole selvatiche che forse noi
non abbiamo visto abbagliati dalla straordinaria bellezza dell’arco naturale che
immette in un anfiteatro a cielo aperto, la Grotta del Sale dove forse ancora
fanno contrabbando di sale nascondendo i sacchi dietro la palizzata che ne
ostruisce l’ingresso, e la più famosa Grotta del Bue Marino, dove un tempo
viveva la foca monaca e dove noi abbiamo rischiato un’intossicazione acuta per
essere stati bruscamente preceduti da un motoscafo carico di turisti che a
motore acceso ha percorso buona parte dei 74 metri di profondità della grotta
(che pure si trova nella zona B della riserva marina, dove teoricamente sarebbe
vietata la navigazione a motore, salvo che per le visite guidate che
contribuiscono ad annerire in maniera indelebile le pareti delle grotte!!!).
Una delle zone più suggestive dell’isola è indubbiamente quella che corre lungo
la cosiddetta Ripa del Falconi, dove un tempo nidificavano i falconi divenuti
talmente famosi per la loro aggressività da essere richiesti persino dai celebri
falconieri di Francia per le loro cacce con il falco; qui le pareti rocciose
cadono a strapiombo sull’acqua scura e incutono una cera soggezione tanto da
indurci a pagaiare un po’ più lontani dalla costa!
Però il tratto più incredibile è quello compreso tra il piccolo approdo e Punta
Diamante, all’estremità dell’isola che si affaccia sul Cretaccio, altro luogo
magico dell’arcipelago che abbiamo riservato per la mattina del lunedì...
Su questo braccio di mare si sono incastonati come per magia i Pagliai, un
discreto numero di faraglioni di diverse altezze, grandi covoni di roccia bianca
che richiamano le forme dei pagliai contadini, ricchi di passaggi segreti e
nascosti, pieni di fori di varie forme e dimensioni, scavati da archi naturali
che consentono il passaggio soltanto a piccole imbarcazioni a remi... un vero
parco giochi per il kayak da mare!
Siamo andati avanti e indietro, siamo passati dentro e fuori, abbiamo scattato
foto da un lato e dall’altro, abbiamo cercato di imprimere nella memoria la
fotografia esatta di un piccolo angolo di paradiso che sembra proprio una
cartolina vivente... e non saremmo voluti andare via da lì, anche perché la
sosta per il pranzo sulla spiaggia di sabbia bianca e fine di Cala del Diamante
ci permette di godere dello straordinario paesaggio che si apre davanti ai
nostri occhi in una successione di piani prospettici davvero impressionanti: i
Pagliai subito sotto costa, l’isolotto del Crepaccio poco oltre, il profilo
imponente della rocca di San Nicola sulla destra e la sagoma bassa di Caparra a
chiudere l’orizzonte...
Uno spettacolo indimenticabile, con una nota doverosa sul più piccolo e
apparentemente insignificante isolotto dell’arcipelago, il Crepaccio, dove la
natura si è sbizzarrita a disegnare strisce di roccia colorata che lasciano
davvero senza fiato, una tavolozza di colori dal giallo ocra al rosso ferroso,
dal nero della pietra lavica al bianco della roccia calcarea, dal verde smeraldo
dei fondali al blu intenso del cielo limpido… l’isolotto del Crepaccio acquista
un valore particolare in ragione del fatto che si sta letteralmente sciogliendo
al sole, la sua natura argillosa non resiste all’assalto dei marosi e ogni anno
modifica le sue dimensioni già ridotte a poco più di 30-40 metri di terra nella
strozzatura più piccola… sembra quasi che il piccolo scoglio della Vecchia
sistemato lì affianco, e sul quale i tremitesi vogliono scorgere il profilo di
una vecchina che fila la rocca del tempo, stia aspettando proprio che il tempo
lo riduca ad un pugno di scogli... ma nel frattempo è stato capace di
trasmetterci emozioni forti e di farci apprezzare l’escursione alle isole
Tremiti quasi più delle altre tre isole messe insieme, ognuna con la sua
particolarità e ognuna con la sua nota di colore dominante...
Torniamo a casa con la sensazione netta di avere affrontato un viaggio vero, uno
di quelli capaci di farti scoprire cose notevoli, della natura e delle persone,
un viaggio che ci ha appassionati non solo per la destinazione ma anche per il
tragitto... un viaggio alla scoperta delle cose vere della vita, quelle più
semplici, il tramonto, le stelle, gli amici...
E al collega di studio che al nostro rientro confessava di non potere andare in
vacanza senza motore, aria condizionata e televisore, ho potuto rispondere che
il nostro motore è la pagaia, la nostra aria condizionata è il vento, il nostro
televisore è la natura, e lo spettacolo è di gran lunga migliore!
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