Ad Itaca arriviamo in un assolato pomeriggio di fine agosto, dopo
aver circumnavigato sia Cefalonia che Zante, perle dello Ionio greco.
Veniamo accolti e cullati sia dalle onde del mare che fu di Ulisse e sia dalle
note familiari di una canzone intramontabile, che Valentino intona alla
perfezione e che gli amici romani accompagnano in coro, battendo ritmicamente le
mani sul ponte dei kayak, sorridendo per la gioia del canto e forse anche per
l’allegria dell’incontro... io, che sono una femminuccia, in queste occasioni mi
emoziono fino alle lacrime, e quel momento me lo porto dentro da allora come uno
dei ricordi più preziosi dell’intero viaggio: 15 folli che si incontrano in
mare, che ridono felici come bambini, che cantano e si abbracciano... la
traversata non poteva chiudersi meglio di così!
Tanto più che le emozioni del viaggio ad Itaca sono appena cominciate!!!
Dunque, noi quattro, Mauro, Hanry, Raffaele ed io, siamo reduci da due settimane
di campeggio nautico lungo le coste delle altre isole ioniche, un po’ stanchi ma
decisamente soddisfatti per l’esperienza accumulata sia in mare che a terra, il
legame stretto con la barca e con gli amici si è rafforzato ogni giorno di più e
l’esperienza piace a tutti...
Gli altri 11 naviganti sono i valorosi componenti del Gruppo Canoe Roma,
capitanati dal mitico Gianni Montagner, il cui nome avevo sempre sentito
pronunciare con un certo timore reverenziale nel mondo della canoa... quindi, il
piacere di conoscerlo in mare è stato grandissimo!
Ritrovare con lui gli amici già incontrati in altre pagaiate collettive (Capraia
e Ponza) ha reso il viaggio ad Itaca indimenticabile!
Piero, Betty, Rossella e Valentino viaggiano su una mastodontica polinesiana a 4
posti, ribattezzata Tatanka per la sua capacità di reggere il mare (e direi
anche per la sua capacità di carico, visto l’enorme mole di suppellettili
trasportate); Gianni, Marco, Antonello, Marzio, Roberto, Duilio e l’agguerrita
Francesca, invece, si sono messi in viaggio con i loro rispettivi 7 kayak da
mare, carichi fino all’inverosimile, le linee di galleggiamento sempre a pelo
d’acqua, i ponti coperti da materiale in quantità tale da farli assomigliare a
dei profughi del mare: sacche stagne da 60 litri sui ponti posteriori, sacche
stagne piene di fotocamere e telecamere sui ponti anteriori, barilotti bianchi
con tappo rosso posizionati subito dietro i pozzetti...
Il gruppo dei romani è eterogeneo, allegro e caciarone, cantano in navigazione,
chiacchierano all’infinito, ridono per ogni cosa, si sfidano continuamente in
piccole gare che terminano immancabilmente con un’animata discussione sul
vincitore... sono davvero un bel gruppo, uniti ed affiatati, rispettosi delle
decisioni del Capitano, vestiti tutti uguali, sia in kayak che a terra, abituati
a stare in mare, quasi militareschi quando si accingono a montare quei teli
mimetici componibili che costituiscono un elemento obbligatorio della loro
dotazione nautica e che usano per riposare, per mangiare, per ripararsi dal
vento o dalla pioggia... li usano tutti vicini, per stare sempre tutti
insieme...
E’ un vero piacere stare ad osservarli, ci avrei passato delle ore a guardare le
loro manovre, a curiosare nei loro gavoni, a scrutare rituali consolidati… sono
capaci di imbandire in spiaggia una tipica cena romana con pochi ingredienti
determinanti, con qualche minuto di trepidante attesa davanti ai fornelli e,
soprattutto, con tante chiacchiere infarcite di espressioni dialettali così
colorite da farti rotolare nella sabbia dalle risate...
Ad un certo punto, Raffaele detto Papele per le sue origini napoletane, mi
sussurra complice nell’orecchio: “Tata, ma parlano come i centurioni romani di
Asterix, manca solo che dicano “Aò, stanno arrivà li Galli, scappamo!”.
Insomma, l’avventura continua!
Itaca è davvero un’isola incantevole, diversa dalle altre, meno spettacolare ma
carica di un fascino antico… poche pagaiate lungo le sue coste frastagliate ci
hanno fatto apprezzare subito la sua natura selvaggia e la sua bellezza
conturbante...
Itaca è talmente bella che non è affatto difficile capire perché Ulisse volesse
tanto tornare a casa... Itaca è l’isola mitica, è l’isola della capre, sono
ovunque, anche lungo la costa, ne incontriamo di continuo...
Le sue coste sono affascinanti, non così imponenti come quelle di Zante, dove le
pareti rocciose lasciano senza fiato, né così variegate come quelle di
Cefalonia, dove oltre ogni capo il paesaggio muta radicalmente, ma sono comunque
particolari, quasi rilassanti!
Perché ad Itaca non è arrivato il turismo di massa, Itaca non si è riempita di
stabilimenti balneari, ad Itaca non hanno costruito alberghi sul mare... così
Itaca non è andata a fuoco, non è stata distrutta dagli incendi, non è sporca nè
affollata, non è attrezzata, non è mondana... Itaca è rimasta antica, solitaria,
silenziosa, selvaggia e senza tempo!
Mentre il gruppo dei romani valuta attentamente se la piccola spiaggia di Andri
può accoglierli tutti per la notte, noi 4 sfruttiamo gli ultimi vigori di un
vento stranamente a favore per raggiungere la minuscola chiesuola di Agios
Ioannis e l’invisibile faro di Capo Mounda, una lucina bianca posta alla sommità
di una esile struttura in ferro dipinta di bianco che a malapena si scorge tra
la folta vegetazione della costa!
Proseguiamo decisi verso la baia di Perapigadi, con il vento che ha ripreso a
soffiare, ora in direzione contraria, e non facciamo in tempo a sbarcare che ci
raggiungono vigorosi i nostri 11 amici romani, stanchi e sudati, sbarcano in
fretta perché in fretta vogliono mettersi a tavola e poi in tenda...
La cala scelta per la notte è davvero bella, piena di ciottoli levigati e
colorati, chiusa da pareti verticali di roccia rossastra e qualche grotta,
incastonata tra declivi morbidi e lussureggianti... qui ad Itaca sembra proprio
che la natura abbia avuto la meglio sull’edilizia, il verde è il colore
dominante, per ore ed ore non si vedono case o costruzioni da nessuna parte si
volga lo sguardo… che meraviglia di isola!
Lo spettacolo della cala è accresciuto da quello mozzafiato di una luna rossa
gigantesca, piena e maestosa che sorge dal mare proprio ad un palmo dai nostri
nasi...
E poi non c’è solo la luna rossa, in quella cala da sogno, c’è anche la
bottiglia di crema di wiskie di Gianni e c’è la scatola offerta da Piero e Betty di
pasticcini greci, gommosi e zuccherosi da impastare tutta la bocca, ma bevendo
si sciolgono che è un piacere... e c’è una leggera risacca che concilia il
sonno...
Ma uno grido squarcia quella notte d’incanto, Hanry chiama Mauro disperatamente,
sempre più forte, sempre più insistente... accorriamo tutti preoccupati, pensando
che abbia battuto la testa per la quarta volta, pare sia la costante di questo
suo viaggio in Grecia, battere la testa!
Invece le urla, stavolta, sono dovute alla stizza provocata da un furetto che ha
avuto l’ardire, avvolto dall’oscurità, di infilarsi nel pozzetto del kayak di
Hanry, aggrapparsi ad una pesca succulenta e non mollarla neanche quando il
nostro amico scozzese ha cercato di stendersi accanto al kayak per il solito
bivacco notturno... il furetto era piantato lì e non si muoveva, non voleva
rinunciare ad un pasto tanto prelibato quanto inaspettato, insomma eravamo noi
gli intrusi che avevamo invaso il suo territorio, del resto quella era pur
sempre casa sua... ed infatti, per niente intimorito dalle luce frontali che gli
puntavamo contro, non fosse altro per capire di che tipo di animale selvatico e
rabbioso si trattava, se ne rimaneva impalato sulla spiaggia di ciottoli ad un
passo dalla “sua” pesca, si aspettava giustamente che ce ne tornassimo da dove
eravamo venuti e che gli lasciassimo finire la cena...
Insomma, una serata indimenticabile!
La mattina dopo ci aspetta una magnifica giornata: lungo la costa incontriamo
presto un promontorio bellissimo che ribattezziamo “Punta Sfogliatella”, per
quella sua curiosa stratificazione rocciosa che tanto lo fa assomigliare alla
prelibatezza napoletana; poco oltre un capo altrettanto bello che ribattezziamo
“Punta Spada” per le sue ravvicinate ed inquietanti lame di roccia protese verso
il cielo; poi ancora una bella cala ampia che pure merita di essere
ribattezzata, stavolta “Spiaggia Robinson Crusoe” per quella incredibile
palafitta in legno sulla riva, la balaustra ricoperta di reti da pesca, grandi
pinne di madreperla infilate tra le maglie sfilacciate… una scala nella roccia
conduce ad un sentiero nella macchia, la guida parla di un sentiero che in circa
un’ora permette di raggiungere la cittadina più vicina, Vathy, ma il cammino è
sconsigliato sotto il sole d’agosto.
Oltre Capo Skinos scorgiamo da lontano una caletta davvero incantevole, una
casupola in pietra all’ombra di cipressi pini ed abeti talmente possenti e
frondosi da non credere che siano cresciuti sul mare, ad incorniciare la baia
forse più bella sinora incontrata sull’isola...
Vathy non si vede dal mare, con i kayak dobbiamo entrare in una grande baia
esterna, dalla quale ancora non si scorge il paesino, poi virare in un’altra
baia più piccola, dalla quale ancora si fatica ad individuare il porticciolo,
per poi passare tra due bassi promontori sormontati da una chiesuola bianca e
blu e da un castelletto fortificato, e finalmente accedere alla parte più
interna di questa immensa insenatura a scomparsa, in fondo alla quale,
completamente riparata dal mare aperto e definitivamente nascosta allo sguardo,
si apre la modesta e discreta cittadina che funge da capoluogo... arrivando
laggiù e guardandosi indietro, sembra quasi di essere in un piccolo lago,
contornata com’è la baia da montagne alte, profili sfalsati in un gioco
prospettico ingannevole, quasi che l’isola abbia voluto raggomitolarsi su se
stessa, come a volersi proteggere...
Scegliamo di girare intorno all’isolotto profumato di resina di pino che
troneggia all’ingresso del porto e di proseguire alla scoperta della baia
successiva, intravista poco prima e apparsa molto attraente, all’ombra di ulivi
nodosi e di ombrelloni bianchi, gonfiati da una leggera brezza che allieta il
nostro pranzo frugale nella “kantica” locale: alte fette di pane casereccio,
pomodoro fresco, aglio, feta, olive ed origano profumato... il ragazzo della
taverna, scusandosi rammaricato e spiegandoci che ormai la stagione turistica
sta volgendo al termine, ci dice che lo yogurt col miele che avevamo scelto per
dessert ormai l’ha terminato, così per consolarci e giustificarsi ci offre tre
abbondanti cucchiaini di zucchero, vaniglia e cannella e chissà cos’altro che
non capiamo né vogliamo capire, rapiti da sapore di quell’impasto “tonificante”
da far scioglier ma non troppo in un bicchier d’acqua fresca... misteri isolani!
Proseguiamo il nostro giro dell’isola e raggiungiamo in breve anche il bel
porticciolo di Kioni, facile da riconoscere per la presenza sul promontorio
antistante l’insenatura di tre mirabili torri in pietra bianca che stagliano il
loro nobile profilo sul mare turchese e pulito... pensiamo siano torri di
avvistamento, l’isola ne è piena, si intravedono anche sui declivi più alti
delle montagne interne, sempre a portata di vista gli uni con gli altri... ma
presto capiamo che si tratta, invece, dei resti ben conservati di antichi mulini
a vento, il legno non ha resistito agli assalti del tempo e agli attacchi del
mal-tempo ma gli ingranaggi interni in alcuni sono ancora perfettamente
conservati.
Scendiamo a montare il campo per la notte in una cala alle porte di Frikès, il
terzo porto di Itaca, anche questa incastonata tra due torri in pietra che
troneggiano sulle alture ai lati della baia...
Noi troviamo ospitalità in un uliveto abbandonato, costruito a gradoni ripidi e
ravvicinati proprio sul limitare del mare, alberi frondosi dai tronchi nodosi
che contribuiscono con la loro presenza leggendaria a rendere indimenticabile
anche la seconda notte trascorsa sull’isola!
Un gatto rosso si affeziona ad Hanry immediatamente dopo lo sbarco e ci tiene
compagnia per tutta la sera, cena con noi sotto gli ulivi, accoccolato tra i
ciocchi di legno che ci fanno da sgabelli e da tavola, miagola quando ci
ritiriamo per dormire, chi in tenda chi in bivacco... è un luogo magico,
frequentato anche da altri “avventori”, una sorta di campeggio libero animato da
tende discretamente mimetizzate sotto le fronde ombrose degli ulivi, da cime
tirate tra i rami per stendere pezze colorate ad asciugare e poi forse
dimenticate, da piatti sparsi un po’ ovunque per soddisfare la fame atavica del
micino rosso... di notte, nel silenzio profondo dell’oscurità, sentiamo senza
vedere dei passi pesanti, scarponi da montagna, una ragazza si ritira sul suo
giaciglio, un materassino nascosta sulla riva... al nostro risveglio dorme
ancora, ci saluta indifferente solo quando riprendiamo il mare, restituendole la
piena sovranità sul quello spicchio di mondo libero...
L’ultimo giorno ad Itaca trascorre lento e malinconico… la costa passa
silenziosa accanto ai nostri kayak, le calette nascoste e deserte si susseguono
senza soluzione di continuità, solo qualche vela all’orizzonte, chiuso dal
profilo delle altre isole dell’arcipelago, per il resto niente, niente case,
niente auto, niente motori...
Nessun turista in spiaggia fino all’ampia Cala di Marmaka, cinque belle
spiaggette di ciottoli bianchi aperte a ventaglio sulla baia, chiusa al largo da
un isolotto circolare che ospita una chiesuola nascosta dalla fitta vegetazione!
Gli amici romani ci diranno poi di aver pensato di sbarcare a Marmaka per
pranzare sotto il frondoso ulivo della spiaggia centrale, ma di essere stati
brutalmente respinti in mare dal nauseabondo odore dello stagno retrostante... non
sempre quel che si vede dal mare corrisponde a ciò che si trova a terra!
La costa è ancora molto frastagliata fino a Capo Drakon Pidime che chiude a nord
l’isola di Itaca e che delimita il canale di mare che la separa dall’isola di
Lefkada.
Navighiamo volutamente a qualche decina di metri dalla costa, per goderci il
panorama assolutamente selvaggio, boschi di cipressi che nascondono bene le
poche case del posto, per lo più vecchie masserie, alberi di alto fusto che
ancora ci chiediamo come siano potuti crescere tanto vicino al mare, talmente
vicini da dare l’impressione di essere in montagna, forse anche per questo Mauro
ha cominciato a chiamarli scherzosamente “querciulivi”...
Ci concediamo una prima pausa pranzo nella cala di ciottoli bianchi dell’ampio
Golfo di Afales, disseminato di vistose frane, forse anche queste frutto del
micidiale terremoto del 1953 che ha provocato ingenti danni su tutte le isole
Ioniche della Grecia, e poco dopo una seconda pausa pranzo nella baia di Polis,
un piccolo porto di pescatori locali che porta ormai i segni della fine
stagione, gli ombrelloni tenuti chiusi, le sdraio già accatastate, i frigo del
locale desolatamente vuoti, il menù ridotto all’essenziale e gli ultimi ospiti,
per lo più greci, in vacanza nel “loro” mare nel periodo migliore dell’anno!
Ci rimettiamo in movimento verso le 16,30 e sfruttiamo ancora un poco la brezza
da N che stranamente e fortunatamente, invece di rinforzare, al calar della sera
si attenua... superiamo senza riconoscerla la spiaggia di Aspros Gialos, che avevo
ammirato in tante cartoline ed apprezzata per i suoi ciottoli bianchi che
sprofondano a mezza luna nel mare cristallino, avrei tanto voluto dormirci
almeno una notte!
Scherzando tra noi, ironizziamo sul fatto di esserci ormai trasformati dal
“Gruppo Esploratori Grotteschi” che a Cefalonia e Zante si infilava in ogni
grotta, nel meno onorevole “Gruppo Taglieggiatori” che ad Itaca, invece, taglia
i golfi per rispettare la tabella di marcia e per arrivare puntuali all’incontro
con il traghetto che l’indomani pomeriggio ci dovrà riportare verso casa... sigh!
Sbarchiamo sulla spiaggia di ciottoli di Piso Aetos e con grande gioia
ritroviamo gli amici romani al gran completo, arrivati da poco ma giusto in
tempo per comperare allo spaccio del molo le ultime lattine di birra che
prontamente e collegialmente alzano al cielo per richiamare l’attenzione del
povero Hanry che, dimentico della fatica, delle ore trascorse in kayak e del
desiderio di sbarcare, sembra decisamente intenzionato a soddisfare prima di
ogni altra cosa la sua insaziabile sete di birra, proseguendo in kayak sino al
porticciolo!
La mattina dell’ultimo giorno smontiamo il campo con calma e ripartiamo senza
fretta... Sami è poco distante, solo qualche miglio, 6-8 chilometri al massimo,
è ormai a portata di sguardi e di pagaie...
Noi, però, preferiamo costeggiare, un po’ per completare il periplo dell’isola
ed un po’ per apprezzare le bellezze che sempre si scoprono navigando sotto
costa, come le immancabili caprette che scampanellano in fila indiana lungo i
sentieri che solo loro son capaci di ricavare nella parete rocciosa, oppure come
le incredibili stelle marine, carnose e purpuree, che si intravedono sotto il
pela dell’acqua trasparente!
Traversiamo poi allegri e spensierati, il mare è calmo, il vento è caldo, il
sole è alto e la terra è vicina… nessun pericolo, solo il piacere di pagaiare!
Solo in quel momento, mentre siamo nel bel mezzo del canale e ci guardiamo
intorno per avvistare vele o motori sulla nostra rotta, mi accorgo che Hanry non
si è più tolto il suo cappellone di pile colorato, un alto cilindro nero
impreziosito da un ampio trifoglio verde alla base, un cappello da giullare,
quasi, certo non gli permette di passare inosservato… starà morendo di caldo
sotto quel peso, e chissà dove lo avrà tenuto per tutto il viaggio, preparato
apposta per “omaggiare” l’ultima giornata in kayak… rimango a bocca aperta!
Sbarchiamo a Sami con largo anticipo sull’arrivo del traghetto che ci riporterà
verso casa, così abbiamo tutto il tempo di fare una doccia sulla spiaggia
“attrezzata” alla destra del molo, di cambiarci, di sistemare l’attrezzatura, di
montare i carrellini, di avvicinare i kayak all’imbarco, di dedicarci agli
ultimi acquisti e… di gustare una birra, comodamente seduti ai tavolini del
lungo mare.
Gianni ci riserva un’ultima graditissima sorpresa: le magliette pensate e
realizzate per il viaggio ad Itaca “InvoGando gli dei”, dono graditissimo a
coronamento di un viaggio vissuto all’insegna dell’amicizia!
Cosa si può desiderare di più?
Testo di Tatiana Cappucci
Immagini del Gruppo Canoe Roma e di Tatiana Cappucci |