Abbiamo solo quattro giorni, troppo pochi per raggiungere mete
lontane.
Nell’Adriatico settentrionale, però, scoviamo un’isola appetibile, di cui
abbiamo sentito a lungo tessere le lodi e con uno sviluppo costiero
perfettamente compatibile con la nostra piccola vacanza in kayak.
Decidiamo così di trascorrere il ponte del 2 giugno a Rab, in Croazia.
L’isola di Rab, conosciuta anche con il nome di Arbe, è la più piccola delle
quattro isole che compongono l'Arcipelago del Quarnero; i suoi circa 90 km di
coste basse e frastagliate presentano un clima eccezionalmente mite, tanto che
anche d'inverno sono rare le giornate senza sole e le temperature sotto zero.
Rocciosa ad est, sul versante battuto incessantemente dai forti venti locali, è
ricca di verde e di spiagge sugli altri lati, anche se spesso gli sbarchi sono
resi difficili dalla fitta macchia mediterranea che spesso si spinge sulle rocce
bianche e taglienti fino a lambire le acque fredde e limpide.
Rab è sicuramente la più bella delle isole sorelle, Lussino, Krk e Cherso; la
“perla del Quarnero” è nota per almeno tre motivi: ha dato i natali a San
Martino, il frate tagliapietre andato a lavorare lontano, fondatore dell’omonima
Repubblica; ha ospitato numerosi stuoli di nudisti, sin da quando nel 1936
Edoardo VIII e Wally Simpson prendevano il sole in costume adamitico nella baia
di Kandarola; infine, perché il suo capoluogo, che dà il nome all’isola, non è
il solito villaggio di pescatori ma una piccola città d’arte, ricca di case
d’epoca dai portali effigiati con gli stemmi araldici e dalle facciate abbellite
con finestre rinascimentali. Le sue torri campanarie di pietra dorata si
stagliano sul mare come gli alberi di una nave, richiamo familiare e
rassicurante dopo una lunga giornata di navigazione!
Noi abbiamo campeggiato in una della tre cale che si incontrano ad ovest
entrando nella stretta insenatura di Sant’Eufemia: pontili in legno che
facilitano la discesa, moli in cemento per montare la tenda in piano, sentieri
tra i boschi per delle belle passeggiate a piedi ed il profilo della cittadina
al tramonto... qualche grillo, poche zanzare, tantissimi pesci che saltellavano
nell’acqua poco profonda della baia.
Rab è meta prediletta degli amanti del mare, degli appassionati di vela, degli
avventurosi esploratori delle profondità marine... il mare è freddo ma le sue
acque sono limpide, di un colore intenso come difficilmente capita di
incontrarne altrove, forse è la luce o forse è il vento.
Mi sono subito tornati alla mente alcuni brani letti prima di partire dello
scrittore croato Pedrag Matvejevic (lo stesso autore di libri duri ed importanti
come “I signori della guerra” sulla guerra dei Balcani e “Mediterraneo” sul
nostro grande mare comune): “Sulla costa orientale dell’Adriatico il sole
scompare immergendosi nel mare. Su quella occidentale si adagia sulle colline,
come se si appoggiasse sulla terra. Lungo la sponda dalmata, infatti, le
popolazioni hanno coniato il termine suton, il sole affonda. Sul litorale
appenninico usano invece la parola tramonto, il sole si perde in mezzo alle
montagne, nell’entroterra... All’alba, sull’una e sull’altra sponda i ruoli
cambiano. A Est la luce si fa viva in cima ai monti, ai colli, alle rocce. A
Ovest, invece, il sole sorge dal grembo del mare...”
E appena vedo il mare, ho un sussulto: che bello!
Dopo ore di viaggio in auto lungo strade secondarie serpeggianti tra i boschi o
fermi in coda per i lavori di adeguamento della tangenziale di Fiume,
affacciarci dall’alto su quella tavola blu è stato emozionante e liberatorio:
siamo finalmente a casa, al mare!
Le previsioni meteo davano pioggia, temporali e bora fredda; noi troviamo una
giornata di sole senza vento e soprattutto un’acqua invitante che a me sembrerà
a lungo molto calda, almeno rispetto a quella gallese che ho dovuto più volte
sperimentare solo una settimana prima per il corso BCU che ho seguito ad
Anglesey... brrrr, mi vengono ancora i brividi, quando ci ripenso!
Raggiungiamo facilmente il molo di Stinica, un piccolo paesino di villette a
schiera che sembra più un villaggio turistico abbandonato che non un animato
porticciolo di pescatori; in effetti, è tutto stranamente silenzioso e deserto.
Il primo autoctono che incontriamo accompagna con la mano una certa cantilena
“mosce, mosce, mosce”, lasciandoci intendere che possiamo lasciare l’auto sul
ciglio del molo, un secondo più risoluto ci chiede invece di spostarla in paese,
masticando qualche parola di italiano per spiegarci che quella non è una terra
baciata dagli dei ma solo dal diavolo! Forse si riferisce al vento...
Appena poniamo i kayak in acqua, alle 16 da poco suonate, si alza una leggera
brezza che rende piacevole la breve traversata, lungo una rotta parallela a
quella del traghetto che da Jablanak raggiunge Rab in soli 20 minuti; siamo
curiosi di costeggiare l’isola e avere incrociato da lontano due kayak colorati
ci sembra di buon auspicio; due ne avevamo incontrati anche lungo la strada, tra
le centinai di moto e sidecar...
Non ci facciamo deprimere dal versante orientale dell’isola che spicca sullo
stretto di mare dall’alto dei 400 metri del monte Kalenjak, brullo e desolato,
quasi sconfortante perché non c’è davvero niente, oltre ai sassi acuminati che
si tingono di rosa ed arancio al tramonto... avvistiamo una sola pecora.
Appena superato il piccolo porto di attracco dei traghetti provenienti dalla
terraferma, infatti, lo sguardo si posa rinfrancato sul versante occidentale,
ricco di vegetazione rigogliosa, vigneti ed ulivi, tanti muretti di contenimento
di pietra bianca, il profumo inebriante della menta e della resina dei pini
marittimi.
Altro che terra del diavolo, questo sembra un piccolo paradiso!
Peccato solo che tutta la costa sino alla città sia stata edificata ed è segnata
ad intervalli regolari da moli di cemento all’apparenza mai terminati, con
strane bitte in cemento di forma tronco conica rovesciata che tanto richiamano i
vasi di fiori dai quali sono state forse ricavate… paese che vai, usanza che
trovi.
Il giro in senso orario dell’isola è consigliato sia per le correnti ed i venti
dominanti, sia per potersi lasciare subito alle spalle la zona più antropizzata
e meno seducente.
L’isola di Rab vista sulla carta ha la forma di un’aragosta, la lunga coda a Sud
e le due gigantesche chele a Nord-Est (Kalifront) e Nord-Ovest (Lopar).
Delle due chele, entrambe molto frastagliate, quella di Nord-Ovest è
caratterizzata da bassa roccia bianca e tagliente sferzata dal vento e dalle
onde, ricoperta da una fitta macchia mediterranea molto profumata ed in
primavera carica di fiori colorati; la vegetazione rigogliosa, però, rende
difficili gli sbarchi e anche quando si aprono delle calette riparate (difficile
trovare sabbia su questo versante dell’isola, solo sassi acuminati) rende quasi
impossibile montare il campo per la notte... tanto più che in alcune cale poco
più ampie svettano brutti alberghi con campi da tennis.
La chela di Nord-Est, invece, è caratterizzata da ampie spiagge di sabbia dorata
incastonate tra pareti di arenaria color grigio e ocra, meta prediletta di
nudisti perché molto distante dal centro abitato più vicino, luogo ideale per le
escursioni in kayak: se la prima chela può risultare un po’ monotona, la seconda
saprà rinnovare il vostro spirito avventuroso e vi inviterà ad ispezionare
ognuna della infinite cale e calette che si aprono lungo la costa frastagliata!
Tra le due chele, la testa dell'aragosta separa a nord due ampie baie che
nell'interno diventano paludose perché il fondale digrada molto lentamente.
Proprio sulla testa si trovano tre isolette idilliache, la più grande delle
quali (Maman, se le carte non ingannano) presenta una spiaggia che si apre a
doppia mezza luna, a nord di ciottoli e a sud di sabbia.: imperdibile,
incantevole e seducente! Specie per la presenza di "foraminiferi", sassolini
tondi come bottoni di diverse misure, che sono in realtà scheletri fossili
(protozoi ameboidi eucarioti eterotrofi marini, chiaro no?) la cui storia è ben
spiegata nelle tabelle esposte sulle pareti rocciose... con grande disappunto di
Mauro, perché per raccoglierli non ho assaggiato il cous-cous della cena e non
l’ho neanche aiutato a montare la tenda, io ne ho portati a casa tre chili!
La bora è una costante della costa dalmata e croata; quel vento freddo che
d’inverno raggiunge velocità incredibili e che in Italia è spesso abbinato
all’immagine di Trieste e delle signore con le gonne svolazzanti che tentano di
mantenere una postura eretta aggrappandosi ai lampioni delle strade.
In Croazia, invece, il regno incontrastato della bora è il Quarnero.
La bora, dicono da quelle parti, nasce a Segni, si sposa a Fiume e muore a
Trieste, dove arriva che è poco più di una brezza, un vento “moribondo”...
Noi abbiamo incontrato la bora di Segni, proprio nel momento in cui nasceva dai
monti Velebit, alti e possenti, e proprio nel momento in cui decidevamo di
traversare in kayak lo stretto braccio di mare che separa Rab dalla terraferma:
una battaglia impari, tra un vento impetuoso che spazzava il mare e nebulizzava
l’acqua, e due piccole imbarcazioni, rimaste sole nel bel mezzo della
tormenta... non era assolutamente prevista, un debole vento da nord era
annunciato per i due giorni seguenti, non certo al nostro rientro...
Così, mentre costeggiamo l’ultimo tratto brullo e desolato della coda della
nostra gigantesca aragosta, notiamo qualcosa di strano sull’acqua, come
frangenti che battono sulla terraferma, bianchi e rumorosi sul versante opposto
dello stretto che abbiamo preso a traversare... penso che forse riusciamo a
vederli così ravvicinati e a sentirli così roboanti perché il canale si
restringe molto... ma subito dopo capiamo che si tratta della bora ed in pochi
minuti è il finimondo: raffiche di vento freddo a 40 nodi!
Una faticaccia, all'andata avevamo traversato senza problemi, 2 km in pochi
minuti, al ritorno impieghiamo quasi due ore per completare la traversata e per
rifugiarci nel porticciolo di Stinica, ancora battuto dal vento che mulinava e
che, una volta sbarcati sullo scivolo di alaggio, ha sollevato i nostri kayak e
li ha fatti rotolare nuovamente in mare...
Il vento in traversata gonfiava le guance e spesso ho fissato lo sguardo sul GPS
per leggere una desolante velocità di 0.0 nonostante cercassi di pagaiare con
tutte le mie forze... quando sono scesa a terra, mi facevano male i polsi per
quanto avevo stretto la pagaia nel timore di perderla con un colpo di vento!
Se pensate di fare la traversata su Rab, quindi, ascoltate bene le previsioni
meteo-marine e anche quando non sono previsti venti forti aspettatevi l'arrivo
della bora: per la cronaca, il pescatore che ci aveva accolti all’arrivo ci
stava aspettando in porto e ci ha confermato “Grande Bora, Grande: domani 200 km
orari. Ora a casa!”
Testo di Tatiana Cappucci
Immagini di Mauro Ferro e Tatiana Cappucci |