TATIYAK - racconti di viaggio

Isola di Zante
18 - 28 agosto 2007

 

L’isola di Zante, la più bella delle isole ioniche della Grecia, ha da sempre ispirato molti superlativi: i veneziani l’avevano ribattezzata “Fior di Levante”, i poeti greci la consideravano uno dei Campi Elisi, il buon Foscolo ha dedicato alle sue “sacre sponde” una lirica che l’ha resa familiare.
Zante, come Cefalonia, è andata completamente distrutta dal terribile terremoto del 1953 e la quasi totalità dei campanili veneziani che abbellivano porti e città sono andati perduti; sfortunatamente, il terremoto non è stata l’unica catastrofe che ha colpito l’isola ed in tempi più recenti le sue coste sono state martoriate da una selvaggia speculazione edilizia!
Così, se l’entroterra di morbide colline punteggiate di cipressi allineati in ordinati filari e di casupole dai tetti rossastri ricorda vagamente il paesaggio umbro-toscano, la costa orientale di lunghe spiagge sabbiose è stata purtroppo trasformata in una selva di stabilimenti balneari che ne hanno fatto la brutta copia della riviera romagnola...

La traversata lunga e monotona da Cefalonia, su un mare piatto come una tavola (il famoso mare “forza olio”), ci aveva un po' provati, non tanto per le quattro ore di navigazione silenziosa tra pesci volanti e gabbiani del vento, quelli paffuti dal bel piumaggio sfumato marrone sul dorso che planano sul pelo dell’acqua senza mai battere le ali, quanto piuttosto per lo sbarco forzato e sofferto in una calettina rocciosa e lontana, dove siamo rimasti abbarbicati agli scogli come tre granchi... del resto, oltre Capo Skinari non ci sono spiagge accessibili per diversi chilometri, il versante orientale è occupato dalle Blue Caves, quello settentrionale da una costa alta e rocciosa, inaccessibile, per sbarcare occorre sommare ai 15 chilometri della traversata almeno altri 6-10 chilometri lungo costa...
Scendiamo dai kayak, ma non riusciamo a scendere a terra, almeno non propriamente... incastriamo due kayak tra gli scogli e, siccome non c’è altro spazio disponibile, dobbiamo sospendere il kayak di Hanry su due scogli talmente alti e talmente distanti che ci possiamo comodamente passare sotto; per raggiungere il terzo scoglio, su cui abbiamo imbandito la tavola per il pranzo, dobbiamo fare attenzione ad ogni passo, poggiare i piedi è pericoloso ovunque per il rischio di scivolare o di rimanere incastrati... la nostra psiche non regge a lungo allo stress causato da un luogo tanto impervio e così, dopo una mezz’ora scarsa, tiriamo faticosamente giù i kayak dagli scogli e riprendiamo il mare, stanchi ma felici!
Abbiamo cominciato così il periplo dell’isola di Zante, tornando verso Capo Skinari, punta estrema delle splendide Blue Caves, archi naturali e grotte profonde che si susseguono in numero incredibile lungo un tratto di costa che prende il nome dal colore intenso del mare... dopo poche pagaiate si perde il conto delle grotte in cui si è lasciata scivolare la prua del kayak, si dimentica anche la sequenza degli antri alti o bassi e degli ingressi triangolari o circolari e delle volte lisce o ricamate di stalattiti... insomma, un tripudio di grotte!
Raggiunto il porto di Agios Nikolaus ci concediamo una meritata pausa per gustare una birra locale e poi scegliamo di tagliare al largo il golfo di Alikès, per tenerci a distanza di sicurezza dai primi stabilimenti balneari, rinunciando alla visita del lago salato retrodunale, che tanto dalla riva non avremmo potuto vedere perché ormai imbavagliato da una fitta schiera di alberghi e residence... procediamo decisi, nonostante la percorrenza giornaliera di quasi 40 chilometri, perché abbiamo appena ricevuto conferma che il nostro amico napoletano è sbarcato al porto di Zante e siamo impazienti di incontrarlo...

L’incontro in mare con Raffaele è esaltante, una pagaia lontana che si alza verso il cielo, un urlo di gioia che sovrasta il gorgheggiare delle ondine della sera, i kayak che si avvicinano veloci, si affiancano in un battibaleno, baci schioccati e abbracci lanciati dalle rispettive imbarcazioni, l’amicizia non teme l’acqua ed un appoggio deciso aiuta a recuperare la posizione! Fantastico!
Ci sistemiamo per la notte in un luogo per noi assolutamente inospitale: il porticciolo di Kavos, realizzato nel 2006 intorno ad una fonte naturale di acqua potabile e meta notturna della gioventù locale, che pare divertirsi unicamente trascorrendo lunghe ore a consumare i copertoni delle auto nel disegnare cerchi concentrici sull’asfalto dell’ampio piazzale antistante le banchine...
La mattina dopo siamo depressi, fisicamente e psicologicamente, ma il mare ci chiama e noi torniamo a pagaiare... solo che prima tergiversiamo qualche ora per passare in rivista il carico, fare il bucato, asciugare i panni, integrare la riserva di acqua potabile ed indugiare in lunghe e ripetute docce di acqua dolce... almeno, sfruttiamo i pochissimi vantaggi offerti dalla sosta in un porto!
Navighiamo, poi, lungo una costa anonima che non ci aiuta a recuperare il buon umore; dopo la pausa pranzo, trascorsa all’ombra di un albero di fico tanto imponente da protendere i suoi rami carichi di frutti violacei fino in mare, superiamo decisi il porto di Zante, evitando i molti traghetti di linea che vi fanno scalo “nascondendo” i kayak tra le petroliere ancorate in rada ed arriviamo così alla spiaggia attrezzata ma discreta di Vasilikos, dove scegliamo di montare il campo notturno su una piccola duna ricolma di gigli profumati.
Finalmente il giorno dopo la costa torna ad essere interessante, specie oltre Capo Gerakas.
Sbarchiamo sul piccolo isolotto del Pelouzo, poco distante dalla costa, ma un guardia-parco ci avvicina subito in gommone per spiegarci gentilmente che la sosta lì non è consentita, siamo entrati nel cuore del Parco nazionale marino di Zante e le regole ferree pare che vengano rigidamente rispettate: non si può navigare con nessun tipo di imbarcazione entro il tratto di mare delimitato dalle boe, non si può rimanere in spiaggia tra il tramonto e l’alba, non si possono piantare ombrelloni, non si possono tenere accese le luci... e l’opuscolo che il guardia-parco si affretta a consegnarci, scritto in quattro lingue, spiega anche che non si può scavare nei nidi (!!!) e che non si devono raccogliere i piccoli e portarli verso l’acqua, perché è vitale per il loro sviluppo che raggiungano il mare con le proprie forze!
Per la notte il “Magic Land” ci accoglie nel suo ampio terrapieno, quattro ombrelloni e tre sdraio, sgabelli ricavati dai ciocchi di un albero, una doccia solare poco distante con alcuni gazebo in legno ed un capanno centrale che serve ai pochi avventori birra fresca ed insalata greca... l’atmosfera è familiare, piacevolmente rilassata, stranamente informale ed assolutamente singolare, non è un vero campeggio ma è spartano come piace a noi, i gestori sono simpatici e ci lasciano montare le tende sul prato, anche se loro ci dicono che non rimarranno sul posto per la notte, ci godiamo il tramonto preparando la cena sui fornelli da campeggio e sorseggiando le dieci bottiglie di birra fresca immersa nel ghiaccio del frigo-bar che ci ha gentilmente fornito la signora del “Magic Land”!
L’ampia laguna che si stende ai nostri piedi rimane immota per gran parte della mattinata seguente, non tira una bava di vento, il fondale è talmente basso da diventare a tratti melmoso, la baia è così ampia e riparata che non stentiamo a capire la preferenza accordata dalle tartarughe marine!
La mattina dopo visitiamo di volata l’isolino di Marathonissi, di volata perché non facciamo a tempo a raggiungerlo che attraccano due barconi che vomitano in acqua tanti turisti che con le loro testoline scure trasformano subito la caletta in una sorta di minestrina gigante... di volata anche perché poco dopo si alza un venticello gentile e deciso che ci fa tornare a terra in un baleno, giusto in tempo per pranzare al ristorantino turistico di Limni Keriou, dove ci attardiamo fin troppo, abbrutiti dal caldo afoso e soffocante... se avessimo saputo che ci aspettava un pomeriggio indimenticabile, non ci saremmo trattenuti due minuti più del necessario!

Capo Marathia viene seduta stante ribattezzato ”Capo Groviera”, ricco com’è di grotte gigantesche, archi naturali mastodontici, faraglioni immensi, falesie altissime e pareti strapiombanti!
Uno spettacolo continuo, indicibile ed elettrizzante: grotte con ingressi multipli, con oblò sulla volta, a forma di croce, di T e di L, antri profondi decine di metri, con passaggi sommersi dai riflessi turchini e con uscite multiple nascoste da giochi di luci ed ombre, cavità con volte basse che si ingigantiscono pochi metri oltre la soglia e con cunicoli articolati che penetrano nelle profondità della terra… due archi naturali di dimensioni mai viste prima, l’arco di luce di oltre 20 metri, faraglioni forati e lastroni di roccia che scivolano nel mare color petrolio, spiagge di ciottoli bianchi incastonate tra falesie immacolate, tutto da lasciare senza fiato!
Rimaniamo affascinati, completamente rapiti dalla bellezza travolgente del paesaggio, totalmente immersi nel silenzio ruggente delle grotte scure, definitivamente sedotti dal misterioso fascino di questa terra lambita dal mare… perdiamo un po’ il contatto con la realtà e quasi non ci accorgiamo che il tempo scorre, incapaci di rinunciare alla visita dell’ennesima grotta che si apre davanti ai nostri kayak, anche se sarà la trentesima grotta che incontriamo ed ormai comincia ad imbrunire...
Ed è così che ci capita un imprevisto, non del tutto spiacevole e fortunatamente senza gravi conseguenze: la carta indica una cala sotto il faro di Capo Keri e la guida parla di una spiaggia dalla quale godere il tramonto, lontano dai flash dei turisti accalcati sulla sommità della parete a strapiombo sul mare… sennonché, già individuare il faro non è impresa da poco, visto che han deciso di issarlo sulla sommità di una falesia alta circa 300 metri, per giunta, il terremoto del 1953 ha cancellato definitivamente ogni traccia della famosa cala sotto il faro, e per finire, la piccola spiaggia superstite non invita neanche per una sosta, minacciata com’è dalle frane, figuriamoci per un campo notturno!!!
Siamo costretti a proseguire, non c’è alcuna possibilità di sbarco!
Cala il tramonto e si intensifica l’oscurità, gli occhi si abituano lentamente alle graduali variazioni cromatiche del buio, perdiamo il profilo della costa ma la mezza luna che sorge ci disegna la scia, l’acqua calma ci culla sulle onde lunghe e l’aria calda della sera ci accompagna per alcune ore ancora... pagaiamo vicini, concentrati ad ascoltare i rumori della notte, scura, avvolgente e silenziosa, parliamo poco per non alterare l’equilibrio magico ed incerto che si è creato intorno a noi... sappiamo di dovere pagaiare ancora a lungo, altri 15 chilometri, forse, fortunatamente non soffriamo il freddo, spira una leggera brezza tiepida che non ci impone di indossare la giacca d’acqua, sentiamo però di essere stanchi per la lunga giornata di mare e per le molte ore di navigazione, capiamo di avere ancora poche risorse ma confidiamo nelle nostre capacità e soprattutto nella forza che nasce dal gruppo coeso e solidale...
Lasciamo il faro di Capo Keri che manca poco alle otto di sera ed arriviamo a toccare terra a Porto Vromi che sono da poco passate le undici di notte... qualche luce in lontananza, poco oltre gli scogli di quell’ultimo promontorio, di quel capo che speriamo ardentemente sia davvero l’ultimo, e poi una baia riparata piena di pescherecci, finalmente, siamo salvi ma non sappiamo ancora come sbarcare, qualche pagaiata ancora ed intravediamo nell’oscurità una scivolo di cemento miracolosamente ricavato tra gli scogli aguzzi, evviva, sbarchiamo!
Abbiamo percorso 35 km, di cui 15 in notturna, ed abbiamo pagaiato per 10 ore, di cui 3 in notturna!
Siamo esausti, nevrotici ed elettrici, talmente contenti che riusciamo a lavarci, cambiarci e sederci a tavola in meno di venti minuti, fortuna che un ristorante è ancora aperto!
Un’esperienza indimenticabile!
E non possiamo immaginare che il bello deve ancora arrivare!!!

Il giorno dopo, il 24 di agosto, prendiamo i kayak e torniamo indietro!
Senza discuterne troppo, decidiamo tutti insieme che vale la pena di vedere da vicino la costa che la sera prima abbiamo dovuto tagliare al largo, di perlustrare di giorno il tratto fatto al chiaro di luna: rimaniamo letteralmente a bocca aperta, uno spettacolo senza eguali, unico ed indescrivibile!
Pagaiare tra Capo Keri e Porto Roxa può richiedere ben più di una sola giornata, normalmente sufficiente per coprire una distanza di poco superiore ai 15 chilometri!
Falesie alte 300 metri, bianche e strapiombanti, archi naturali e grotte e faraglioni e calette e ancora grotte in numero e bellezza decisamente superiore a “Capo Groviera”, talmente belle da stordirci, tanto che dopo alcune ore di perlustrazione dentro e fuori ogni buco cominciamo a non poterne più...
Raffaele si lamenta: “Questa costa è peggio dei miei calzari, è piena di buchi dappertutto”.
Quest’avventura meravigliosa ed indimenticabile, forse irripetibile, dura poi la bellezza di quattro giorni, quattro lunghissime giornate trascorse in kayak a pagaiare silenziosi e affascinati lungo un tratto di costa talmente ricco da lasciare senza parole, talmente bello da lasciare a bocca aperta, talmente particolare da lasciare senza forze... nel senso che dopo quattro giorni siamo quasi stanchi di panorami mozzafiato e scogliere spettacolari e grotte immense e archi naturali e tramonti infuocati!
Ma la cosa davvero incredibile, forse per la zona impervia o per la lontananza dal paese, forse per la pigrizia degli uomini o per il mistero della vita, vai a sapere, è che navighiamo per quattro giorni consecutivi senza incontrare NESSUNO, né una barca a vela, né un motoscafo, né un gommone di sub, neanche la benché minima ombra di un barcone di turisti, niente, nessuno, nessuno a riva, nessuno all’orizzonte, nessuno che naviga su questi mari!!!
Siamo soli, noi 4 ed i nostri kayak, soli su un lembo di mare incredibilmente spettacolare, nessun altro ad incrociare il nostro sguardo e ad intralciare il nostro navigare, nessuno a disturbare il nostro sogno ad occhi aperti... fantastico, abbiamo scoperto un paradiso per i kayakisti!
La sera torniamo a dormire a Porto Roxa e ci accoccoliamo sulle sdraio allineate sotto gli ombrelloni di palme delle terrazze realizzate sopra il piccolo porto naturale che si apre nella costa; per attirare turisti in questo angolo dimenticato dell’isola, sia le sdraio che gli ombrelloni sono gratuiti, si possono occupare liberamente, basta ordinare qualcosa al bar; libero è anche l’ingresso alla piccola vasca ricavata nella roccia, che si riempie di acqua salmastra e che assomiglia ad una piscina per bambini, nonché l’accesso allo scivolo di alaggio per gommoni e piccole imbarcazioni, anche se di pescatori non ne abbiamo incontrato neanche uno...

La terza giornata procediamo verso nord e ci imbarchiamo poco dopo l’immersione di una dozzina di sub tedeschi, arrivati fin sullo scivolo del porticciolo con un furgone carico di bombole e di attrezzature... loro in 5 minuti si sono vestiti e si sono inabissati, discreti ed ordinati, noi dopo mezz’ora eravamo ancora lì sul molo, chiassosi impacciati e giocosi!
Oltre la cala di Porto Limnionas la costa riprende ad essere alta, scoscesa e mozzafiato, se possibile più varia e frastagliata di quella dei due giorni passati: grotte di tutti tipi, falesie bianche e rossastre, scogli dalle forme curiose e fantastiche (persino un elefantino accucciato a terra con la proboscide protesa in acqua), e poi fori, archi, insenature e spiagge dove ti viene voglia di trascorrere almeno un paio di mesi!
Rimaniamo di stucco entrando nella grande insenatura di Ormos Katevasma, davanti alla grande “Grotta Madre” che allarga le sue 5 arcate di ingresso sul mare profondo e solcato solo dalle chiglie dei nostri kayak; speriamo di incappare prima o poi in un po' di anonima monotonia, e invece niente, ancora grotte e archi naturali e falesie, siamo stanchi di tutto questo tripudio di architettura naturale, decidiamo di comune accordo che quello là in fondo sarà l’ultimo arco sotto cui passeremo!
E invece no, perché subito dopo si apre un altro arco naturale, bianco come la neve, e come se non bastasse, oltre la doppietta di archi, si apre a raggiera una cinquina di grotte, tutte e cinque perfettamente allineate ai piedi di una falesia così alta che non se ne vede la fine e così chiara che non si vede proprio niente, perché il riflesso della luce sull’acqua è talmente forte da risultare quasi fastidioso… così ci tocca di trovare rifugio nella prima grotta, profonda e fresca, poi anche nella seconda, scura e silenziosa, e poi ancora nella terza, borbottona per l’acqua che ribolle nelle sue profondità, e alla fine non possiamo mica disdegnare la quarta e la quinta!
Basta, per carità, basta grotte!
Sappiamo di trovarci sotto Kambi perché sulla sommità di una falesia troneggia una croce che deve essere gigantesca, tanto è grande vista da quaggiù; qui le falesie si tuffano tutte a strapiombo nel mare e sono tutte alte 300 metri, mai meno di 200, tanto è vero che non si distinguono gli omini che si sporgono da lassù per guardare il panorama, si intravedono solo i puntini rossi delle loro giacche.
Pranziamo sull’unica spiaggia di sabbia che incontriamo, nella baia di Ormos Skiza, ai piedi di una falesia imponente ed inquietante, ogni tanto si sente scivolare giù qualche ciottolino, ma dobbiamo riposare più che le stanche membra questi nostri occhi strapieni di immagini sconcertanti...
Per grazia ricevuta, poco dopo la costa si abbassa ed il primo barcone di turisti si avvicina, ci saluta con un colpo di tromba e si infila nell’ultima grotta, che noi insperatamente ci risparmiamo di visitare!
Siamo salvi, solo scogli bassi ed anonimi, per alcuni chilometri possiamo annoiarci un po’, la costa è tornata monotona, almeno fino a Ormos Stenitis, dove seguiamo un piccolo fiordo che si insinua nella costa rocciosa tanto in profondità da farci perdere di vista il mare... peccato che nella caletta in fondo si sia accumulata tanta di quella “monnezza” che non ci permette di sbarcare né di fare una foto!

Ci avviciniamo nuovamente alla civiltà, ancora un capo ed entriamo a Porto Vromi, punto di partenza per le gite in barca verso la Baia del Relitto, odori rumori e visioni di un mondo che appena ritrovato ci ricordiamo di apprezzare poco... forse era meglio rischiare la nausea tra le grotte!
Però la modernità ci sfiora solamente, scegliamo la cala di destra, più riparata e meno animata, un solo chiosco sulla spiaggia di ciottoli e qualche pescatore ancora intento a sistemare il suo gozzo... Scopriamo anche con piacere che al chiosco stanno organizzando una festicciola, ai quattro barcaioli rimasti sul molo si uniscono presto le belle mogli sorridenti, i figli abbronzati di tutte le età comprese tra l’infanzia e adolescenza, le numerose zie pienotte e persino una nonna molto attesa e festeggiata, forse è il suo compleanno o forse è lei che ha preparato lo stufato di lepre... siccome stiamo anche noi cenando, ma con dei miseri tramezzini, ci offrono presto e volentieri sia lo stufato che il formaggio casereccio, e poi anche il vino della loro cantina!
Senza sapere come, ci ritroviamo tutti a ballare danze greche tradizionali, abbracciati in un circolo multietnico e pericolosamente vorticoso, passi difficili per noi principianti, piedi pestati, sandali abbandonati, e giù risate fino alle lagrime! Raffaele si esibisce in un sirtaki indimenticabile, danzato su imitazione dei nostri impagabili ospiti intorno ad un bicchiere ricolmo di ouzo che deve essere bevuto d’un fiato al termine della musica… e Raffaele si scopre d’un tratto gran ballerino e gran bevitore!
Terminate le danze, Hanry si accascia sul materassino, Mauro si accoccola sulla scalinata, e solo Raffaele ha ancora la forza di infilarsi nel sacco a pelo... io, invece, devo liberarmi dall’abbraccio energico del più alticcio dei barcaioli, che a mezzanotte suonata insiste ancora per portarmi a fare un giro nelle grotte!!!
La mattina dopo, ovviamente, siamo inservibili!
Sei chilometri e scendiamo, il cerchio alla testa non dà tregua e appena raggiunta la Baia del Relitto tiriamo in secca i kayak ed aspettiamo: qui al Navagio, la spiaggia più famosa e fotografata di Zante, abbiamo fissato l’incontro con gli amici del Gruppo Canoe Roma... li aspettiamo volentieri, anche tutto il giorno, se necessario!

Ed invece il mare cresce, ci appisoliamo beati con la vana speranza di vincere i postumi della sbronza collettiva e ci svegliamo con lo schianto a riva delle onde, un fragore familiare, solitamente consolante, ma nelle nostre precarie condizioni fisiche quasi doloroso, una deflagrazione che mi invade la testa, la risacca è sempre più grossa e spumeggiante, come la mia nausea, come il mal di testa disegnato sui volti provati dei miei compagni… intuiamo che non sarà possibile riprendere il mare, almeno non in giornata, e così, lentamente, molto lentamente, cominciamo a preparare il campo per la notte… gli amici romani ci mandano un messaggio, sono bloccati dal mare grosso e dal vento contrario oltre Capo Skinari, arriveranno domani!
La spiaggia del Navagio è una larga spiaggia di sabbia dorata incoronata da una imponente parete scoscesa tagliata a semicerchio, ricorda vagamente Cala Luna a Ponza, diversamente da quella assolutamente inaccessibile da terra, aperta sul mare immenso che prende gradatamente tutti i colori dal verde acqua al blu cobalto, ora reso lattiginoso dal rimescolio del fondale… tra mezzogiorno e le due del pomeriggio si danno appuntamento al Relitto tutti i turisti che riescono a mettere piede sui barconi che fanno la spola dai paesini più vicini, vengono lasciati scendere per prendere il sole o fare il bagno, il tutto per non più di un’ora, e poi vengono chiamati ripetutamente a bordo da una sirena assordante e anche da un capitano di “bianco vestito” che sulla scaletta di legno si sbraccia animosamente prima di scaricare i suoi polmoni in un megafono gracchiante!
La giornata scorre lenta, non abbiamo nulla da fare, smontate le tende e sistemato il carico, fatta una seconda colazione per ammazzare il tempo, aggiornato il diario e sfruttato il pareo per un pisolino, non abbiamo proprio più niente da fare… oziamo, passeggiamo, guardiamo il mare, pranziamo, dormiamo...
Non ci aspettiamo certo di vedere comparire all’orizzonte i nostri amici romani, con questo mare grosso ed il vento che non accenna a diminuire, sono le due del pomeriggio e devono averlo avuto sempre contrario, ma capiremo presto che sono degli impavidi e ci dimostrano subito di essere dei grandi kayakisti, sbarcando uno dopo l’altro tra onde frangenti che mettono i brividi... la gioia di trovarsi è grande, l’emozione per loro di avere cavalcato quel mare e por noi di averli visti sbucare tra le onde, la concitazione dello sbarco e dei saluti intrecciati, insomma, un incontro in mare davvero molto particolare, per me indimenticabile!
La prima cena tutti insieme la trascorriamo accampati vicino al Relitto, fornelli accessi sotto pietanze le più diverse, tante bottiglie di vino e di liquore dalle crescenti gradazioni alcoliche, ci sentiamo davvero poco “comunitari”, noi che trasportiamo si e no una borraccetta di grappa per uso personale… la differenza tra viaggiare soli e viaggiare in gruppo passa anche dalle bevute che si possono fare intorno al fuoco!
Incredibile, posso ubriacarmi una seconda volta, dimentica della nostra meta finale: Itaca!!!!

Testo di Tatiana Cappucci
Immagini di Hanry Wair e Tatiana Cappucci


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