La
prefazione di Jean Malaurie non lascia adito a dubbi: è un libro da
leggere!
E’ il resoconto del lungo viaggio intrapreso da un giovane africano
proveniente dal Togo che, appena ventenne, decide di raggiungere la
più grande isola del mondo, la Groenlandia.
E’ considerato una pietra miliare della letteratura togolese e
costituisce uno dei pochi esempi di “contro-sguardo”: “l’Africa non
solo si alza e si prepara, ma parte alla scoperta del mondo e lo
giudica secondo i suoi principi”, come sottolinea nell’introduzione
Malaurie, uno dei massimi esperti mondiali di storia e cultura
groenlandese.
Kpomassie ci offre una prospettiva nuova ed insolita, quella che è
sempre mancata a noi bianchi europei per allargare la nostra visione
del mondo: l’Artico, sino a quel momento percorso solo da
esploratori e missionari, viene “scoperto” da un ragazzo africano,
curioso ed intraprendente, che suo malgrado ha subito il destino
comune a tutti i popoli colonizzati, Inuit compresi: quello di
essere considerati primitivi ed incivili.
Kpomassie si avvicina agli Inuit perché riconosce nella loro cultura
il fascino della tradizione orale, simile a quella africana, perché
intuisce nella loro educazione la minaccia della colonizzazione
bianca, come per quella africana, perché ritrova nelle loro
abitudini un legame essenziale ed una similitudine nascosta con le
sue usanze africane.
All’età di sedici anni, Kpomassie subisce uno
choc psico-fisico fortissimo: precipita da una palma da cocco sulla
quale si è arrampicato a mani nude per raccogliere i rami con i
quali intrecciare cestini... un grosso serpente gli si attorciglia
sulla testa e gli scorre lungo la schiena e nonostante i suoi
tentativi di divincolarsi lo terrorizza al punto da fargli perdere
l’equilibrio e da farlo precipitare a terra... prostrato
dall’evento, rimane a lungo sospeso tra la vita e la morte e viene
condotta dal padre presso la sacerdotessa dell’ordine degli
adoratori dei serpenti, venerato nel villaggio come una divinità...
il ragazzo viene sottoposto ad un rito di purificazione, attraverso
un bagno freddo di erbe aromatiche ed un incontro ravvicinato con un
pitone gigantesco che gli si arrotola lungo le gambe e gli sibila
con la lingua nelle orecchie e sul viso... una prova durissima!
Colpita dalla sensibilità del giovane, la sacerdotessa lo invita a
tornare da lei una volta guarito ed il ragazzo, forse per il terrore
di rientrare nella foresta o forse perché sedotto da una lettura
conclusa durante la convalescenza, sceglie di andare a vivere con
gli Inuit della Groenlandia, un paese dove non crescono gli
alberi e dove sicuramente non esistono i serpenti!
Così Kpomassie si mette in viaggio, lavora in diversi paesi
africani, dal Ghana alla Costa d’Avorio, dal Senegal al Libano,
attraversando numerose frontiere, sempre via terra o via mare;
impara l’inglese ed il francese e presta servizio come interprete e
traduttore presso molte ambasciate straniere, e nell’era dei viaggi
intercontinentali impiega sei anni per lasciare la sua Africa ed
altri due per trasferirsi dalla Francia alla Danimarca, dove
finalmente, dopo molti mesi e molte resistenze, il commissario per
la regione artica gli concede il visto e gli augura buon viaggio:
“Una volta là, non si faccia schiacciare da un iceberg”!
Già la prima parte del racconto, le prime cento pagine, sono un
viaggio nel viaggio, un resoconto appassionante delle disavventure
di un avventuriero... preparano all’arrivo nell’Artico, fanno
assaporare la meraviglia, fanno pregustare l’incontro con il Grande
Nord!
Autodidatta, Kpomassie passa le sue ore libere a Copenaghen alla
Biblioteca o al Museo Nazionale, che conservano una notevole
collezione di opere d’arte Inuit... spinto da una innata
curiosità per quel popolo lontano scopre prima di raggiungerlo che
vive in un mondo di ghiacci e di temperature bassissime, difficili
da comprendere per un africano abituato al caldo afoso della sua
terra desertica... ma forse il deserto, africano e artico,
costituisce un punto di unione nel viaggio di scoperta di Kpomassie
e lui stesso afferma di non essere stato capace di immaginare una
temperatura inferiore ai dice gradi ma di avere sognato soltanto
“una freschezza continua”.
Ed infatti, nonostante il suo abbigliamento “procurato a buon
prezzo” (un paio di vecchie scarpe militari, un cappotto imbottito,
due maglioni di lana e due paia di muffole... in effetti un po’
leggero per l’Artico!) e nonostante il suo primo impatto con la
neve, il ghiaccio e tutto quello “scintillio abbagliante”, Kpomassie
non soffrirà mai il freddo, né la lontananza da casa, né la radicale
diversità di abitudini sociali... si integra perfettamente nei
piccoli villaggi di cacciatori groenlandesi, si sposta continuamente
alla ricerca della vera anima Inuit, si ingegna per raggiungere il
Nord della Groenlandia e trascorrere un inverno tra i ghiacci
durante la lunga notte artica, impara a pescare, cacciare e guidare
una slitta trainata dai cani come fosse un giovane Inuit, capace di
apprendere quei segreti tanto necessari per sopravvivere
nell’Artico!
Se Kpomassie non è il primo africano a varcare le soglie del mondo
dei ghiacci (l’esploratore Robert Peary sul finire dell’800 nella
corsa alla conquista del Polo Nord era accompagnato dall’americano
Matthew A. Henson, suo fedele assistente di colore), è sicuramente
il primo ad avere riportato un dettagliato diario di viaggio che
documenta la curiosità e la fascinazione suscitata dalla sue pelle
scura e dalla sua notevole statura presso il popolo Inuit.
Mentre i suoi compagni africani cercavano di garantirsi un futuro
emigrando in altri paesi e mente i vari stati africani lottavano per
l’indipendenza dalle potenze coloniali e cercavano di costituire una
identità panafricana, Kpomassie lascia il suo paese, il suo
villaggio e la sua famiglia per cercare le sue radici altrove, per
costruire il suo futuro lontano, per arricchire il suo bagaglio di
conoscenze ed esperienze in un viaggio intorno al mondo!
Senza risorse economiche, senza borse di studio o finanziamenti
pubblici, senza sostegni di familiari o istituzioni, Kpomassie si
avventura verso il Grande Nord con molti libri letti ma senza un
progetto chiaro e definito, inseguendo il suo forte desiderio di
raggiungere la Groenlandia!
Deve evidentemente rispondere ad un richiamo ancestrale, ad una
esigenza esistenziale, ad un bisogno profondo di sottrarsi al suo
destino e di affrontare l’incognito...
Il 27 giugno 1964, finalmente, Kpomassie sbarca a Julianehab, K’akortoq
“la Bianca”, e con suo grande stupore capisce che partito per
scoprire, diventa lui stesso una scoperta: la sua statura
impressiona gli Inuit, spaventa i bambini, meraviglia gli uomini e
seduce le donne... “un uomo molto grande, con i capelli come la lana
nera”!
Sperimenta i primi cibi groenlandesi, il matak, pelle cruda
di balena con lo spessore “della polpa di papaia”, gli ammassat,
pesciolini secchi simili ad aringhe, e le tipiche bevande
groenlandesi: la birra, imiak, la grappa, akvavit, il
caffè, kafemik, bevuto caldo e zuccherato con l’aggiunta di
un pezzetto di grasso che in parte si fonde, formando cerchi oleosi
in superficie; impara le prime parole della lingua locale, namik
(non è vero), mamapok (è buono), kayit (sedetevi a
tavola), issipok (che freddo), utorkat igluat (casa di
riposo per anziani); indossa i primi abiti groenlandesi, i kamik,
gli stivali in pelle di foca, i sirkenak, i pantaloni corti
in pelle di foca, e l’anorak, una tunica di tela decorata con
perline colorate e motivi di pelle a risalto, che costituiscono i
tre pezzi del costume tradizionale.
Scopre le prime storture della comunità
groenlandese: l’alcool dilagante ed i suicidi dei giovani,
l’assistenza garantita dai sussidi statali anche agli uomini “ancora
validi”, la perdita dei valori tradizionali perché la scuola non
aiuta i bambini ad apprezzare il loro stile di vita; ma anche la
libertà sessuale delle ragazze groenlandesi e l’assoluta mancanza di
riservatezza perché tutti entrano senza bussare, la mimica
affascinante degli anziani nel raccontare le storie di caccia, il
grande amore che nutrono per la propria terra e l’assoluta mancanza
di prigioni... anzi una sola costruzione con sei posti che
assomiglia ad un’aia ed il cui carceriere non è armato, perché i
detenuti rimangono liberi durante il giorno, non indossano una
divisa e scontano generalmente la metà della pena, consapevoli
dell’importanza del reinserimento sociale che tanta fatica costa
ancora a noi occidentali!
A stretto contatto con i cacciatori Inuit capirà cos’è l’isteria
artica che attanaglia durante il buio inverno artico, vedrà per la
prima volta l’aurora boreale che descrive come un sipario
fosforescente con pieghe ampie e fluttuanti, conoscerà
l’aggressività e la fedeltà dei cani husky... imparerà a cacciare la
foca, la balena, gli ippoglossi e perfino gli squali azzurri
destinati a sfamare i cani... sincronizzerà il suo orologio
biologico su quello artico, che richiede, per esempio di spedire i
regali natalizi con ampio anticipo, altrimenti rischiano di essere
recapitati a marzo o aprile... vivrà con gli Inuit la giornata del
1° maggio e capirà che le battaglie salariali sono uguali in tutte
la parti del mondo: “a lavoro uguale, salario uguale”, reclamano gli
operai groenlandesi per ottenere lo stesso trattamento degli operai
danesi...
C’è il kayak, nei racconti di Kpomassie, il kayak
che aiuta nella caccia e che procura la morte.
Il kayak costruito in pelle di foca, custodito davanti alla
casa del cacciatore, trasportato con cura; il kayak utilizzato per
le lunghe battute di caccia tra i ghiacci e per assicurare il
sostentamento alla famiglia che attende a casa...
“Il cacciatore esce a cercare un taadotat, un grembiule per
kayak di pelle di foca; è una specie di pantalone senza cavallo, che
termina con un orlo nel quale passa un cordone di cuoio. Prima di
lasciarsi scivolare nel kayak attraverso l’apertura circolare, il
cacciatore solleva questo grembiule sopra i pantaloni, come una
gonna stretta in vita; poi, seduto con le gambe allungate nel kayak,
attacca la parte inferiore del taadotat al bordo
dell’apertura; questo gli permette di essere tutt’uno con
l’imbarcazione e, contemporaneamente, di impedire che l’acqua entri
nell’apertura... Rimasto fuori tutta la notte, il taadotat
gelato è rigido come un pezzo di lamiera. Con forza, il cacciatore
lo piega diverse volte per ammorbidirlo e lo strofina con un pesante
pezzo di grasso giallo... Poi lo appende a un chiodo ricurvo del
soffitto... scalda le muffole, le fodera con i licheni, dopo averli
sfregati tra le mani, stacca il taadotat, lo riscalda, poi va
a imbarcarsi nel suo kayak...
Il cacciatore rientra, pagaiando alternativamente a destra e a
sinistra senza interruzione. Accosta alla roccia, stacca il
taadotat, poi si solleva tirandosi fuori dal kayak e
appoggiandosi goffamente all’argine roccioso. L’ingresso e l’uscita
da questa fragile imbarcazione sono due operazioni difficili che
richiedono un grande equilibrio... Ripone la pagaia nella parte
finale appiattita del kayak che termina con un osso bianco bel
levigato. La barca, portata con una mano e appoggiata sull’anca,
viene appesa a due legni sporgenti del grande essiccatoio davanti
casa... lontano dalla portata dei cani che divorano tutto ciò che è
in pelle, anche le fruste...”.
Tété-Michel Kpomassie è nato a Atoeta,
in Togo, una manciata di capanne di mattoni di fango coperti di
paglia.
Il padre vive secondo le tradizioni del paese: elettricista di
professione e santone di elezione, vive in un complesso di capanne
con le sue otto mogli ed i suoi ventisei figli. Kpomassie è il primo
figlio della terza moglie del padre.
La madre non sapeva leggere ma lui ha potuto studiare e ha
conseguito il diploma scolastico a Lomè, studiando la storia
francese e non quella africana.
Al rientro dal suo viaggio, viene “scoperto” da Jean Malaurie, che
ha sentito raccontare la sua strana storia da alcuni giornalisti
francesi: lo invita così a raccontare la sua esperienza in un
resoconto scritto.
La cronaca del suo viaggio in Groenlandia ha vinto nel 1981 il “Prix
Littéraire Francophone International” e la sua traduzione inglese è
stata riconosciuta nel 1983 come libro dell’anno dal prestigioso “
New York Times”.
Kpomassie ha scritto numerosi articoli e racconti per diverse
pubblicazioni francesi ed è spesso invitato a rilasciare interviste
in rassegne e festival letterari:
http://www.festivalandco.com
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