Il
libro di Ottorino Tosti è un piccolo capolavoro della letteratura di viaggio.
Trasuda amore per la Groenlandia e per la regione orientale di Angmagssalik da
ogni pagina.
E’ una guida sui generis per conoscere da vicino la realtà difficile di quel
popolo artico.
Quando mi accade di pensare alla mia fanciullezza
e ricordare tutte le vecchie memorie di quei giorni
allora la gioventù sembra il tempo
in cui ogni cibo era succoso e tenero
e nessuna preda troppo veloce per il cacciatore.
Ora, ho soltanto le vecchie storie
e i canti da ricordare.
Con questo canto malinconico di un vecchio cacciatore Inuit si apre il racconto
dell’autore.
Da Genova, sua città natale, Ottorino ci accompagna fino al circolo polare
artico, volando su un traballante elicottero della compagnia di bandiera
groenlandese che collega giornalmente Tasiilaq, il centro più importante ed il
capoluogo di Angmagssalik, all’aeroporto internazionale di Kulusuk, “il petto
nero di un’uria” nel nome locale.
Le guide della collana *Il Dragomanno* conducono per mano il viaggiatore
all’essenza del viaggio: non solo offrono uno sguardo complessivo generale dei
luoghi ma esortano anche e soprattutto a soffermarsi sui particolari che li
rendono caratteristici e spesso unici.
Il volume di Ottorino su Angmagssalik ha l’ambizione di farci entrare nello
spirito del luogo con un linguaggio semplice e scorrevole. Non ci sono
fotografie a corredo dei racconti, salvo quella dell’iceberg riprodotta sul
retro di copertina, ma solo schizzi usciti dalla matita di un
artista-viaggiatore: le chine di Mauro Pierri comunicano emozioni e fantasie...
Sempre
sul retro di copertina si legge che Angmagssalik, con i panorami selvaggi
offerti dai ghiacciai da cui si staccano giganteschi iceberg, i villaggi con le
casette di legno colorato, la disponibilità degli abitanti, rappresenta uno
degli ultimi angoli immacolati del Pianeta, favorevole al richiamo di un turismo
alla ricerca di nuovi mondi: dal remotissimo villaggio di Isertoq, con un
avvicinamento di poche ore, si raggiunge l’Inlandsis, si possono ricercare e
studiare specie botaniche rare o endemiche, osservare la fauna artica. Si
possono inoltre praticare il trekking, lo scialpinismo, il kayak, le uscite
invernali sulle slitte trainate dai cani, le gite in barca, il bird-watching
estivo e l’avvistamento delle foche, l’alpinismo e la glacio-speleologia: non
dimentichiamo che la Groenlandia rappresenta, per questa manifestazione estrema
ed avanzata della speleologia, un mondo ancora tutto da esplorare.
Anche
per il kayak da mare è un po’ così: la remota regione di Angmagssalik è
una delle più affascinanti mete del turismo ecologico e naturale, dei viaggi
guidati in campeggio nautico, dell’esplorazione della costa pagaiata dopo
pagaiata.
La particolare conformazione orografica del terreno e soprattutto la costa
incisa da diversi fiordi molto profondi, rendono la regione molto attraente per
l’esplorazione nautica ed il kayak è l’imbarcazione ideale, ereditata dalle
antiche tradizioni locali.
Noi abbiamo trasformato il kayak in barca da gioco e da diletto, per escursioni
o gare, ma alle origini della sua storia era il più efficace strumento di caccia
e di pesca ideato dagli Inuit.
I kayak originari della regione orientale della Groenlandia sono quelli che
hanno mantenuto nei secoli le forme più allungate e sottili, le più affascinanti
per i cultori della tradizione...
“E’ basso sull’acqua per dare poca presa al vento e, visto da lontano, pare che
l’uomo che ci sta dentro sia seduto sull’acqua... E’ filante e leggero, fasciato
di pelli di foca, e viene costruito su misura del corpo del proprietario. Non a
caso è sempre stato detto che il cacciatore inuit ‘indossa’ il kayak,
infilandolo esattamente come una mano infila un guanto...”
Continui i rimandi agli studi antropologici di
Emilio Zavatti,
Guido Monzino,
George Qupersiman,
Paul-Emile Victor e
Robert Gessain: quest’ultimo ricercatore francese viene citato dall’autore
per spiegare come il termine kayak sia stato bandito da Angmagssalik dopo la
morte di un uomo che aveva lo stesso nome. Da qual momento è diventato tabù ed è
stato sostituito dalla parola karkit.
L’autore è tornato più volte ad Angmagssalik ed è diventato un profondo ed
appassionato conoscitore di quei luoghi e di quella gente.
Ha conosciuto Robert Peroni, esploratore, alpinista e sciatore italiano che lì
gestisce la Red House, la Casa Rossa, inizialmente una casa sociale che col
tempo è diventata un’accogliente Guest House per il supporto delle spedizioni
sulla calotta polare o nei fiordi della regione.
Ha scoperto pozzi e grotte nei ghiacciai Rasmussen e Karale, grandi lingue
glaciali che sfociano nel fiordo di Sermiligaaq, il bellissimo fiordo
ghiacciato.
Ha vissuto in prima persona lo straniamento della solitudine, del freddo, del
silenzio artico... e della triste sorte di questo popolo gioviale: “pochi
decenni prima credevano di essere gli unici uomini a popolare la terra,
vent’anni dopo si sono trovati a dover vivere in una società consumistica”.
Un passo del libro mi ha particolarmente colpito, quando l’autore si spinge con
due inuit a visitare la base abbandonata di Ikateq, una zona militare costruita
dagli americani durante la seconda guerra mondiale per rifornire gli aerei che
volavano verso l’Europa. Il piccolo fiordo è, dopo più di cinquant’anni, ancora
occupato da centinai di bidoni arrugginiti, da pneumatici ancora in pressione,
da carri, gru, verricelli: “... allora mi vengono in mente le parole di un amico
che un giorno mi disse: ‘Noi occidentali siamo fra i pochi popoli al mondo che
mangiamo tutti i giorni e, fra questi, i pochissimi che mangiano ben due volte’.
Ed è forse questo, rifletto, il motivo per cui noi che rappresentiamo, nel bene
e nel male, la parte trainante del pianeta, abbiamo il dovere di portare i
nostri occhi a guardare oltre le finestre di casa per vedere, capire e modulare
le nostre azioni sulle necessità di tutti i viventi”.
Ma il tono non è mai pessimistico, velato solo di una nota di malinconia per il
tempo perduto.
Gli spazi all’intorno sono maestosi, teatrali, sconvolgenti: “qui, tra questi
ghiacci eterni, lunghe, bellissime ed interminabili giornate risarciscono gli
uomini della breve durata della vita”.
Il libro si legge tutto d’un fiato, è accattivante, poetico e profondo: ha una
serie di brevi capitoletti che bene riassumono le esperienze vissute dall’autore
e che altrettanto bene riflettono le emozioni elaborate in quei giorni trascorsi
tra i ghiacci artici. Il volume è anche corredato da uno scarno vocabolario di
parole Tunumisiut, la lingua ufficiale della Groenlandia, una per tutte
imaa, mare. Chiude l’opera, insieme ad una significativa bibliografia, un
intenso capitolo di una ventina di pagina sulle informazioni utili , quasi un
altro viaggio: come arrivare, dove alloggiare, dove andare, cosa vedere, come
pagare, persino come telefonare.
Un libro, insomma, che non può mancare nella biblioteca degli amanti
dell’artico, della cultura inuit e del kayak...
Otorino Tosti è nato a Genova nel 1950.
Dalla
quarta di copertina si legge che ha iniziato giovanissimo a dedicarsi alla
speleologia, ricercando ed esplorando grotte nei massicci calcarei delle Alpi
Marittime e Apuane. Alla fine degli anni ’90 ha iniziato ad interessarsi alle
frotte nei ghiacciai.
Nel 2008 è per la prima volta in Groenlandia orientale, dove predispone un piano
per le ricerche nei ghiacciai di Angmagssalik. Nel 2009 si reca nelle Ande
settentrionali alla ricerca di resti della civiltà Inca. Di questi due mondi ha
apprezzato gli ambienti naturali e primitivi, ma soprattutto gli abitanti,
semplici e genuini. E’ nata così in lui la volontà di aiutare le popolazioni che
vivono in condizioni di difficoltà e che stanno perdendo la propria cultura per
la pressione che il mondo occidentale esercita su di loro.
Nel 2008, al ritorno dal suo primo viaggio in Groenlandia, crea il “progetto
ItaliAmmassalik”, per promuovere la conoscenza di questo dimenticato mondo
artico. Nel 2012 il progetto diviene
Associazione, che
egli stesso coordina in qualità di Presidente.
Attraverso di essa, diffonde con conferenze e mostre fotografiche la conoscenza
degli Inuit di Angmagssalik...
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