E’ uno scritto antropologico, un testo universitario, un volume di ricerche sul
campo e di osservazioni dotte di uno dei massimi studiosi italiani di
antropologia culturale.
Una lettura a tratti difficile, specie nell’introduzione, che ripercorre le
tappe della crescita strutturale e dell’affermazione professionale del
Dipartimento di Scienza dell’Educazione dell’Università di Arcavacata della
Calabria, e forse un pò lenta nei capitoli complessi dai titoli impegnativi come
“Multiculturalismo critico come innovazione ancestrale.
Superati
però i primi ostacoli interpretativi e presa dimestichezza col linguaggio
peculiare dell’antropologia culturale, il libro introduce ad una appassionante
disamina della nascita del Nunavut, la “Nuova Terra” degli Inuit Canadesi; dopo
una breve analisi del faticoso ed altalenante processo italiano ed europeo di
riconoscimento e di integrazione delle minoranze etnico-linguistiche, il
richiamo alle realtà federali canadesi, decisamente più avanzate sotto il
profilo della valorizzazione delle differenze, ci permette di comprendere come
il multiculturalismo inteso come elemento centrale delle moderne società abbia
reso possibile “una reale convivenza tra culture diverse e società diverse”.
L’autore ci prende per mano e ci illustra le varie tappe del processo di
autonomia del Nunavut, il risultato della più lunga ed ininterrotta trattativa
diplomatica e politica nella storia del Canada, iniziata già negli anni ‘60 e
’70 e sfociata negli anni ’90 negli accordi sulle rivendicazioni territoriali,
con il sorprendente referendum del 1993 che ha gettato le basi per la
costituzione delle prime istituzioni governative del Nunavut, quando il
Parlamento del Canada fissava finalmente la data del 1° aprile 1999 per
l’acquisizione dei pieni poteri per il nuovo Governo degli Inuit canadesi.
Il Nunavut, che in lingua Inuktitut vuol dire “La nostra terra”, è stato
ricavato dalla divisione dei Territori del Nord–Ovest e conta su un territorio
di 2.000.000 kmq sul quale vive una popolazione di appena 22.000 abitanti, di
cui la maggior parte (circa 18.000) appartenenti all’etnia Inuit.
Il problema più sentito dalle popolazioni Inuit è ancora quello di ottenere la
libera circolazione lungo l’area circumpolare, che a ragione è considerata “il
serbatoio mondiale dell’acqua pura”, un ambiente estremamente delicato che gli
stessi Inuit ritengono di dover proteggere dallo sfruttamento irragionevole
delle risorse operato dagli Occidentali.
Le forti spinte al riconoscimento del Nunavut affondano quindi le radici nella
necessità per gli Inuit di vedersi attribuito il loro proprio territorio,
l’unico sul quale hanno elaborato la capacità di sopravvivere (al di là della
linea degli alberi, la tundra), oltre che nel bisogno di identificarsi nella
propria cultura, religiosità e lingua.
“Va ascritto agli Inuit il merito di aver trovato nella propria cultura la
capacità di continuare a vivere e lottare, ma va anche ascritto al Canada
contemporaneo, che si è saputo dare una costituzione multiculturale e federale,
la realizzazione di un processo democratico che proponga, in questa fase di
globalizzazione del mondo, una capacità di essere peculiari e federali, liberi e
solidali, tradizionali e moderni”.
La perimetrazione del nuovo territorio del Nunavut e le tre sub regioni
amministrative del Nunavut
“Molti hanno scritto intorno agli effetti distruttivi del colonialismo sulle
società aborigene e gli Inuit hanno sperimentato concretamente molti di questi
problemi, la caduta dei vincoli sociali e familiari, la perdita della cultura,
l’alcoolismo e il suicidio... Questi problemi sono stati meno gravi che in altre
parti del mondo per almeno due ragioni. La prima è che gli Inuit sono stati
risparmiati da un’affluenza di massa di gente proveniente dal Sud perché le loro
terre sono state trovate inospitali per la maggior parte dei bianchi... La
seconda ragione è che gli Inuit hanno dimostrato di essere pieni di risorse e
determinati a prendere di petto questi problemi prima che diventassero
ingovernabili...”
Le aree in cui si è meglio manifestata la capacità di rinascita degli Inuit sono
sicuramente l’educazione, la lingua e la comunicazione.
All’inizio degli anni ’40 esistevano unicamente scuole missionarie, anglicane o
cattoliche; poi il governo canadese ha istituito collegi che sono sempre apparsi
come uno strumento di ulteriore colonizzazione perché sradicavano i bambini dal
proprio tessuto sociale e familiare per condurli in istituti dove veniva loro
insegnata un’altra lingua e dove veniva di fatto distrutto il loro senso di
appartenenza, oltre che mortificate le loro abilità tecniche, trascurate le loro
conoscenze della vita nell’Artico e perfino vietate le trasmissioni orali
attraverso i racconti degli anziani. Solo negli anni ’70 il governo canadese ha
ipotizzato cambiamenti nell’insegnamento scolastico per favorire la
conservazione della cultura Inuit, favorendo il decentramento dell’educazione,
la proposizione delle lingue native ed il generale miglioramento del sistema
educativo.
Attualmente, nella capitale Iqaluit (ex Frobischer Bay) funziona il Nunavut
Artic College, che si propone di formare un centro studi operativo per le arti,
i mestieri e la ricerca nell’Artico e che ha adottato una formazione non
accademica, tanto che la traduzione in lingua Inuktitut dell’istituto centrale
suona Silattuqsarvik, che significa grosso modo “il luogo dove acquistare
abilità e saggezza”.
Non esiste una lingua unica nell’area artica, ma tre lingue principali: aleut,
iupik ed unipiak (dalla quale derivano l’Inuktitut per il Canada Artico ed il
Kalaallitut per la Groenlandia) e nel processo di riconoscimento del Nunavut
grande attenzione è stata quindi posta sulla unificazione della lingua senza
degradare i vari dialetti al fine di salvaguardarne l’identità; il termine
occidentale “satellite”, per esempio, entrato nella lingua parlata dei popoli
artici solo in tempi moderni, è stato coniato in Inuktitut come “un oggetto che
è stato fatto volare” proprio per nobilitare la lingua che per millenni ha
consentito la comunicazione tra quelle genti.
I mezzi di comunicazione, infine, hanno costituito i gli elementi di più forte
innovazione e cambiamento; basti pensare che nel volgere di una sola
generazione, gli Inuit sono passati dal silenzio dei grandi spazi artici alla
radio, alla televisione e al computer; nonostante le innegabili difficoltà, sono
però stati capaci di valorizzare la propria cultura, arrivando a ideare,
realizzare e distribuire programmi radiotelevisivi multilingue in inglese,
francese ed Inuktitut al fine di promuovere la standardizzazione della lingua e
lo scambio interlinguistico e culturale. L’Inuktitut, infatti, è diventato la
lingua operativa delle adunanze pubbliche ed è ampiamente usata nell’Assemblea
Legislativa e, usualmente scritta in un sistema sillabico, ora può essere
battuta anche a macchina e su computer!
I tratti distintivi della cultura Inuit sono stati preservati e valorizzati: gli
inukshuit, che punteggiano il territorio con la loro imponenza di pietra, i
giochi vocali, che animano le riunione familiari e sociali, le figure di corda,
che allietano le pratiche infantili con funzione educativa per lo sviluppo
dell’immaginazione e delle abilità manuali, le sculture di pietra saponaria, che
identificano le manifestazioni artistiche di un popolo altamente espressivo e
creativo.
Tutte queste note distintive rientrano come per magia nella bandiera e nello
stemma del Nunavut: per la bandiera è stato celebrato un concorso molto
partecipato tra i bambini delle scuole e gli artisti del paese e la Commissione
appositamente costituita ha preferito scegliere i colori oro, bianco e blu per
simbolizzare le ricchezze della terra, del mare e del cielo; l’inukshuk
simboleggia i monumenti di pietra che guidano la gente sulla terra e
contrassegnano i luoghi sacri per gli Inuit, in coloro rosso in omaggio al
Canada; la stella polare, Niqirtsuituq, simboleggia la tradizionale guida dei
naviganti, che rimane sempre fissa come gli insegnamenti degli anziani nella
comunità!
Il simbolismo racchiuso nello stemma è molto più complesso: al centro domina un
tondo che rappresenta il cosmo; nella parte inferiore l’inukshuk rappresenta
l’amicizia e la qulliq, la lampada di pietra saponaria, la luce ed calore della
famiglia e della comunità; nella parte superiore le cinque sfere dorate
rappresentano ognuna le proprietà di dare vita del sole quando, ondeggiando
sopra e sotto l’orizzonte, illumina il giorno della nascita del Nunavut; la
stella polare al centro rappresenta la saggezza incrollabile degli anziani; più
in alto, l’igloo rappresenta la vita tradizionale e significa la “sopravvivenza”
ma simboleggia anche i membri dell’Assemblea legislativa che si riuniscono per
il bene del Nunavut, con la corona reale sovrastante che rappresenta il Governo
democratico del popolo del Nunavut e l’egual valore di questo territorio con gli
altri territori e province della Confederazione Canadese.
I due animali sacri, tuktu (caribù) e qilalugaq tugaalik (narvalo), gli animali
della terra e del mare parte dell’ecosistema del Nunavut, costituiscono il
nutrimento per gli esseri umani.
Nella parte inferiore dello stemma sono rappresentati la terra ed il mare,
rispettivamente sulla sinistra sotto gli zoccoli del caribù e sulla destra sotto
la coda del narvalo, e sono raffigurate tre importanti specie di flora artica.
Il motto, scritto alla base dello stemma, recita “Nunavut Sanginivut”: Nunavut,
la nostra forza!
Il Nunavut è la testimonianza delle determinazione di un popolo per riprendere
il controllo della propria esistenza. Il Nunavut ha saputo superare ogni
aspettativa ed oggi non è solo una sorta di autogoverno per gli Inuit ma una
forma democratica di governo aperta a tutti i suoi cittadini, qualunque sia la
loro appartenenza etnica. Il Nunavut ha dato una grande prova di democrazia ed è
ora osservato da molti governi nel mondo, quelli che con meno successo cercano
di rispondere alle domande di riconoscimento ed autonomia dei loro popoli
indigeni. Il Nunavut ha fatto sorgere le speranze per molti altri popoli. Il
Nunavut ha dato finalmente un senso di orgoglio e di autostima agli Inuit,
requisito indispensabile per ogni comunità che voglia affrontare e superare i
problemi collegati allo squilibrio sociale ed economico.
Gli Inuit hanno saputo dare prova di grande equilibrio, lungimiranza e
tolleranza, sono stati capaci di portare a termine una lunga serie di delicate
trattative diplomatiche e hanno capito come trasformare un ritardo sociale in
forte opportunità di crescita... “si può costruire lì autonomia con tanta
sofferenza, ma senza violenza, senza rancori secolari e con un’ottima
dimostrazione di democrazia. E’ un insegnamento, e gli Inuit sono un popolo
pedagogico!”
Cesare Pitto è un antropologo molto conosciuto ed apprezzato.
Laureato in Sociologia presso l’Istituto di Scienze Sociali di Trento nel
febbraio 1971, dopo la laurea ha iniziato come assistente di Sociologia
all’Università di Sassari e dal 1974 ha ottenuto l’incarico di Antropologia
culturale. Dal 1975 è docente di Antropologia culturale (professore associato
dal 1981) all’Università della Calabria. Ha svolto attività d’insegnamento
presso le Università di Bologna, di Modena, di Catanzaro e ha partecipato a
ricerche presso University of Alberta, University of Windsor, UBC (Canada),
University of Wisconsin-Parkside (USA) e University of Western Australia.
Dal marzo 2007 è professore straordinario di Antropologia culturale al DAMS
dell’UNICAL, dove insegna anche Antropologia dei media e Cinematografia
documentaria. E’ supplente di Antropologia culturale per lo spettacolo nella
laurea specialistica in Scienze dello spettacolo della facoltà di Lettere e
Filosofia, UNIGE, Polo d’Imperia. E’ autore di numerosi volumi, curatele, saggi,
articoli, recensioni e schede su antologie e riviste di ricerca teorica e
applicata.
Tra i suoi campi di ricerca si ricordano l’insularità, i movimenti migratori e
gli Inuit.
È attualmente direttore dell’Osservatorio dei Processi Migratori della Calabria,
struttura di ricerca del Dipartimento di Scienze dell’Educazione; Presidente del
Centro Radio Televisivo dell’UNICAL; componente del CTS dell'Istituto Geografico
Polare "Silvio Zavatti" di Fermo; Advisory Board Member of Canadian Centre of
Multicultural Development and Documentation a Windsor, Ontario.
Le sue ricerche, tutte svolte con lunghe indagini sul terreno, hanno riguardato
le problematiche dell’antropologia urbana, gli studi sulle comunità di minoranza
etnico linguistica (in particolare arbëreshë, grecanici, franco-provenzali,
liguri), le migrazioni del ‘900, gli studi sulla multiculturalità, i temi
dell’insularità (nelle isole Eolie, a Trindad e Tobago, a Cuba, nelle Føroyar,
fra gli Haida delle Queen Chalotte’s Islands e fra gli Inuit del Nunavut). Fra
gli attuali interessi di ricerca si segnalano i sistemi scolastici nelle culture
“altre”, in particolare la scuola nelle isole minori del Mediterraneo – in
particolare Stromboli (ME) ed Ustica (PA) – e la scuola fra i Nency del
Distretto Autonomo di Jamal, Siberia Occidentale.
Innumerevoli le pubblicazioni di volumi, saggi, articoli tra cui si citano:
Antropologia urbana (1980); Mutamento sociale e territorio (1981); Al di là
dell'emigrazione (1988); La Calabria dei "paesi" (1990); La metamorfosi di
un'isola. Continuità e conflitto a Stromboli, in “La ricerca folklorica” (1990);
L'identità, il multiculturalismo, i diritti umani (2001); Congratulazioni
Nunavut! (2003); La lingua degli Inuit, in Serianni G. (a cura di), Gli
italianismi nel mondo, 2006; Per una mappa delle molteplicità nel paese delle
ombre lunghe, in Faldini L. (a cura di), Verso le Americhe (2007).
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