TATIYAK - letture

Congratulazioni Nunavut!
Sortite antropologiche nella terra degli Inuit
Cesare Pitto - Centro Editoriale e Librario 2003

Scheda del 22 settembre 2009 a cura di Tatiana Cappucci

E’ uno scritto antropologico, un testo universitario, un volume di ricerche sul campo e di osservazioni dotte di uno dei massimi studiosi italiani di antropologia culturale.
Una lettura a tratti difficile, specie nell’introduzione, che ripercorre le tappe della crescita strutturale e dell’affermazione professionale del Dipartimento di Scienza dell’Educazione dell’Università di Arcavacata della Calabria, e forse un pò lenta nei capitoli complessi dai titoli impegnativi come “Multiculturalismo critico come innovazione ancestrale.

Superati però i primi ostacoli interpretativi e presa dimestichezza col linguaggio peculiare dell’antropologia culturale, il libro introduce ad una appassionante disamina della nascita del Nunavut, la “Nuova Terra” degli Inuit Canadesi; dopo una breve analisi del faticoso ed altalenante processo italiano ed europeo di riconoscimento e di integrazione delle minoranze etnico-linguistiche, il richiamo alle realtà federali canadesi, decisamente più avanzate sotto il profilo della valorizzazione delle differenze, ci permette di comprendere come il multiculturalismo inteso come elemento centrale delle moderne società abbia reso possibile “una reale convivenza tra culture diverse e società diverse”.
L’autore ci prende per mano e ci illustra le varie tappe del processo di autonomia del Nunavut, il risultato della più lunga ed ininterrotta trattativa diplomatica e politica nella storia del Canada, iniziata già negli anni ‘60 e ’70 e sfociata negli anni ’90 negli accordi sulle rivendicazioni territoriali, con il sorprendente referendum del 1993 che ha gettato le basi per la costituzione delle prime istituzioni governative del Nunavut, quando il Parlamento del Canada fissava finalmente la data del 1° aprile 1999 per l’acquisizione dei pieni poteri per il nuovo Governo degli Inuit canadesi.

Il Nunavut, che in lingua Inuktitut vuol dire “La nostra terra”, è stato ricavato dalla divisione dei Territori del Nord–Ovest e conta su un territorio di 2.000.000 kmq sul quale vive una popolazione di appena 22.000 abitanti, di cui la maggior parte (circa 18.000) appartenenti all’etnia Inuit.
Il problema più sentito dalle popolazioni Inuit è ancora quello di ottenere la libera circolazione lungo l’area circumpolare, che a ragione è considerata “il serbatoio mondiale dell’acqua pura”, un ambiente estremamente delicato che gli stessi Inuit ritengono di dover proteggere dallo sfruttamento irragionevole delle risorse operato dagli Occidentali.
Le forti spinte al riconoscimento del Nunavut affondano quindi le radici nella necessità per gli Inuit di vedersi attribuito il loro proprio territorio, l’unico sul quale hanno elaborato la capacità di sopravvivere (al di là della linea degli alberi, la tundra), oltre che nel bisogno di identificarsi nella propria cultura, religiosità e lingua.
“Va ascritto agli Inuit il merito di aver trovato nella propria cultura la capacità di continuare a vivere e lottare, ma va anche ascritto al Canada contemporaneo, che si è saputo dare una costituzione multiculturale e federale, la realizzazione di un processo democratico che proponga, in questa fase di globalizzazione del mondo, una capacità di essere peculiari e federali, liberi e solidali, tradizionali e moderni”.

   
La perimetrazione del nuovo territorio del Nunavut e le tre sub regioni amministrative del Nunavut

“Molti hanno scritto intorno agli effetti distruttivi del colonialismo sulle società aborigene e gli Inuit hanno sperimentato concretamente molti di questi problemi, la caduta dei vincoli sociali e familiari, la perdita della cultura, l’alcoolismo e il suicidio... Questi problemi sono stati meno gravi che in altre parti del mondo per almeno due ragioni. La prima è che gli Inuit sono stati risparmiati da un’affluenza di massa di gente proveniente dal Sud perché le loro terre sono state trovate inospitali per la maggior parte dei bianchi... La seconda ragione è che gli Inuit hanno dimostrato di essere pieni di risorse e determinati a prendere di petto questi problemi prima che diventassero ingovernabili...”

Le aree in cui si è meglio manifestata la capacità di rinascita degli Inuit sono sicuramente l’educazione, la lingua e la comunicazione.
All’inizio degli anni ’40 esistevano unicamente scuole missionarie, anglicane o cattoliche; poi il governo canadese ha istituito collegi che sono sempre apparsi come uno strumento di ulteriore colonizzazione perché sradicavano i bambini dal proprio tessuto sociale e familiare per condurli in istituti dove veniva loro insegnata un’altra lingua e dove veniva di fatto distrutto il loro senso di appartenenza, oltre che mortificate le loro abilità tecniche, trascurate le loro conoscenze della vita nell’Artico e perfino vietate le trasmissioni orali attraverso i racconti degli anziani. Solo negli anni ’70 il governo canadese ha ipotizzato cambiamenti nell’insegnamento scolastico per favorire la conservazione della cultura Inuit, favorendo il decentramento dell’educazione, la proposizione delle lingue native ed il generale miglioramento del sistema educativo.
Attualmente, nella capitale Iqaluit (ex Frobischer Bay) funziona il Nunavut Artic College, che si propone di formare un centro studi operativo per le arti, i mestieri e la ricerca nell’Artico e che ha adottato una formazione non accademica, tanto che la traduzione in lingua Inuktitut dell’istituto centrale suona Silattuqsarvik, che significa grosso modo “il luogo dove acquistare abilità e saggezza”.
Non esiste una lingua unica nell’area artica, ma tre lingue principali: aleut, iupik ed unipiak (dalla quale derivano l’Inuktitut per il Canada Artico ed il Kalaallitut per la Groenlandia) e nel processo di riconoscimento del Nunavut grande attenzione è stata quindi posta sulla unificazione della lingua senza degradare i vari dialetti al fine di salvaguardarne l’identità; il termine occidentale “satellite”, per esempio, entrato nella lingua parlata dei popoli artici solo in tempi moderni, è stato coniato in Inuktitut come “un oggetto che è stato fatto volare” proprio per nobilitare la lingua che per millenni ha consentito la comunicazione tra quelle genti.
I mezzi di comunicazione, infine, hanno costituito i gli elementi di più forte innovazione e cambiamento; basti pensare che nel volgere di una sola generazione, gli Inuit sono passati dal silenzio dei grandi spazi artici alla radio, alla televisione e al computer; nonostante le innegabili difficoltà, sono però stati capaci di valorizzare la propria cultura, arrivando a ideare, realizzare e distribuire programmi radiotelevisivi multilingue in inglese, francese ed Inuktitut al fine di promuovere la standardizzazione della lingua e lo scambio interlinguistico e culturale. L’Inuktitut, infatti, è diventato la lingua operativa delle adunanze pubbliche ed è ampiamente usata nell’Assemblea Legislativa e, usualmente scritta in un sistema sillabico, ora può essere battuta anche a macchina e su computer!

I tratti distintivi della cultura Inuit sono stati preservati e valorizzati: gli inukshuit, che punteggiano il territorio con la loro imponenza di pietra, i giochi vocali, che animano le riunione familiari e sociali, le figure di corda, che allietano le pratiche infantili con funzione educativa per lo sviluppo dell’immaginazione e delle abilità manuali, le sculture di pietra saponaria, che identificano le manifestazioni artistiche di un popolo altamente espressivo e creativo.
Tutte queste note distintive rientrano come per magia nella bandiera e nello stemma del Nunavut: per la bandiera è stato celebrato un concorso molto partecipato tra i bambini delle scuole e gli artisti del paese e la Commissione appositamente costituita ha preferito scegliere i colori oro, bianco e blu per simbolizzare le ricchezze della terra, del mare e del cielo; l’inukshuk simboleggia i monumenti di pietra che guidano la gente sulla terra e contrassegnano i luoghi sacri per gli Inuit, in coloro rosso in omaggio al Canada; la stella polare, Niqirtsuituq, simboleggia la tradizionale guida dei naviganti, che rimane sempre fissa come gli insegnamenti degli anziani nella comunità!
Il simbolismo racchiuso nello stemma è molto più complesso: al centro domina un tondo che rappresenta il cosmo; nella parte inferiore l’inukshuk rappresenta l’amicizia e la qulliq, la lampada di pietra saponaria, la luce ed calore della famiglia e della comunità; nella parte superiore le cinque sfere dorate rappresentano ognuna le proprietà di dare vita del sole quando, ondeggiando sopra e sotto l’orizzonte, illumina il giorno della nascita del Nunavut; la stella polare al centro rappresenta la saggezza incrollabile degli anziani; più in alto, l’igloo rappresenta la vita tradizionale e significa la “sopravvivenza” ma simboleggia anche i membri dell’Assemblea legislativa che si riuniscono per il bene del Nunavut, con la corona reale sovrastante che rappresenta il Governo democratico del popolo del Nunavut e l’egual valore di questo territorio con gli altri territori e province della Confederazione Canadese.
I due animali sacri, tuktu (caribù) e qilalugaq tugaalik (narvalo), gli animali della terra e del mare parte dell’ecosistema del Nunavut, costituiscono il nutrimento per gli esseri umani.
Nella parte inferiore dello stemma sono rappresentati la terra ed il mare, rispettivamente sulla sinistra sotto gli zoccoli del caribù e sulla destra sotto la coda del narvalo, e sono raffigurate tre importanti specie di flora artica.
Il motto, scritto alla base dello stemma, recita “Nunavut Sanginivut”: Nunavut, la nostra forza!

Il Nunavut è la testimonianza delle determinazione di un popolo per riprendere il controllo della propria esistenza. Il Nunavut ha saputo superare ogni aspettativa ed oggi non è solo una sorta di autogoverno per gli Inuit ma una forma democratica di governo aperta a tutti i suoi cittadini, qualunque sia la loro appartenenza etnica. Il Nunavut ha dato una grande prova di democrazia ed è ora osservato da molti governi nel mondo, quelli che con meno successo cercano di rispondere alle domande di riconoscimento ed autonomia dei loro popoli indigeni. Il Nunavut ha fatto sorgere le speranze per molti altri popoli. Il Nunavut ha dato finalmente un senso di orgoglio e di autostima agli Inuit, requisito indispensabile per ogni comunità che voglia affrontare e superare i problemi collegati allo squilibrio sociale ed economico.
Gli Inuit hanno saputo dare prova di grande equilibrio, lungimiranza e tolleranza, sono stati capaci di portare a termine una lunga serie di delicate trattative diplomatiche e hanno capito come trasformare un ritardo sociale in forte opportunità di crescita... “si può costruire lì autonomia con tanta sofferenza, ma senza violenza, senza rancori secolari e con un’ottima dimostrazione di democrazia. E’ un insegnamento, e gli Inuit sono un popolo pedagogico!”

Cesare Pitto è un antropologo molto conosciuto ed apprezzato.
Laureato in Sociologia presso l’Istituto di Scienze Sociali di Trento nel febbraio 1971, dopo la laurea ha iniziato come assistente di Sociologia all’Università di Sassari e dal 1974 ha ottenuto l’incarico di Antropologia culturale. Dal 1975 è docente di Antropologia culturale (professore associato dal 1981) all’Università della Calabria. Ha svolto attività d’insegnamento presso le Università di Bologna, di Modena, di Catanzaro e ha partecipato a ricerche presso University of Alberta, University of Windsor, UBC (Canada), University of Wisconsin-Parkside (USA) e University of Western Australia.
Dal marzo 2007 è professore straordinario di Antropologia culturale al DAMS dell’UNICAL, dove insegna anche Antropologia dei media e Cinematografia documentaria. E’ supplente di Antropologia culturale per lo spettacolo nella laurea specialistica in Scienze dello spettacolo della facoltà di Lettere e Filosofia, UNIGE, Polo d’Imperia. E’ autore di numerosi volumi, curatele, saggi, articoli, recensioni e schede su antologie e riviste di ricerca teorica e applicata.
Tra i suoi campi di ricerca si ricordano l’insularità, i movimenti migratori e gli Inuit.

È attualmente direttore dell’Osservatorio dei Processi Migratori della Calabria, struttura di ricerca del Dipartimento di Scienze dell’Educazione; Presidente del Centro Radio Televisivo dell’UNICAL; componente del CTS dell'Istituto Geografico Polare "Silvio Zavatti" di Fermo; Advisory Board Member of Canadian Centre of Multicultural Development and Documentation a Windsor, Ontario.

Le sue ricerche, tutte svolte con lunghe indagini sul terreno, hanno riguardato le problematiche dell’antropologia urbana, gli studi sulle comunità di minoranza etnico linguistica (in particolare arbëreshë, grecanici, franco-provenzali, liguri), le migrazioni del ‘900, gli studi sulla multiculturalità, i temi dell’insularità (nelle isole Eolie, a Trindad e Tobago, a Cuba, nelle Føroyar, fra gli Haida delle Queen Chalotte’s Islands e fra gli Inuit del Nunavut). Fra gli attuali interessi di ricerca si segnalano i sistemi scolastici nelle culture “altre”, in particolare la scuola nelle isole minori del Mediterraneo – in particolare Stromboli (ME) ed Ustica (PA) – e la scuola fra i Nency del Distretto Autonomo di Jamal, Siberia Occidentale.

Innumerevoli le pubblicazioni di volumi, saggi, articoli tra cui si citano: Antropologia urbana (1980); Mutamento sociale e territorio (1981); Al di là dell'emigrazione (1988); La Calabria dei "paesi" (1990); La metamorfosi di un'isola. Continuità e conflitto a Stromboli, in “La ricerca folklorica” (1990); L'identità, il multiculturalismo, i diritti umani (2001); Congratulazioni Nunavut! (2003); La lingua degli Inuit, in Serianni G. (a cura di), Gli italianismi nel mondo, 2006; Per una mappa delle molteplicità nel paese delle ombre lunghe, in Faldini L. (a cura di), Verso le Americhe (2007).

 

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