Il volume è uno di quelli poderosi, di grande formato, con la copertina rigida e
rivestita, le pagine satinata che profumano anche dopo anni, le foto grandi e
belle.
Sul retro di copertina è spiegato il progetto: “Ogni museo ha il suo doppio.
Sono le raccolte che il visitatore non vede, quelle nei depositi o riservate
alla consultazione. Anche il Museo Nazionale della Montagna del CAI di Torino
non fa eccezione. Nell’area documentazione [...] è conservato un grande
patrimonio conosciuto a livello mondiale. Quest’opera nasce con lo scopo di
presentare al pubblico i pezzi più significativi del Centro Documentazione:
manifesti di film, turismo, commercio, fotografie ed oggetti di collezionismo”.
Questo bel volume è il quinto dedicato ai giochi e all’idea di giocare con le
montagne.
I giochi su montagna, alpinismo, sci, esplorazione e spedizioni polari,
costituiscono una collezione unica per la consistenza e la rarità dei pezzi
conservati. Sono testimonianze che, attraverso il divertimento, hanno permesso a
generazioni di scoprire la geografia alpina, le vette del mondo e le grandi
avventure.
E’ anche vero che contengono degli errori clamorosi, come i pinguini affiancati
sui ghiacci agli orsi polari, ma forse nei primi anni del Novecento Artico ed
Antartico erano accomunati dal fascino dell’ignoto e dell’inesplorato, senza
distinguere troppo tra Nord e Sud del mondo.
Ci sono giochi da tavolo, puzzle, tiri al bersaglio. Molti dei giochi raccolti
nel volumi sono datati intorno alla metà dell’Ottocento, proprio quando
nascevano i primi club alpini e “gli iscritti “giocavano” con le montagne
inventandosi ricerche spesso fittizie, meri pretesti per legittimare la propria
sete di avventure.
Alcune delle tavole contenute nella raccolta ritraggono anche il kayak,
sia a terra che in navigazione, e quello raffigurato nel tiro al bersaglio dei
pinguini è attrezzato di tutto punto, con la pagaia, l’arpione, il galleggiante
sul ponte posteriore e persino la veletta bianca di mimetizzazione su quello
anteriore. Non ci sono regole, solo i pinguini tra i trichechi...
Riportiamo volentieri quanto scritto da Roberto Mantovani nell’introduzione al
capitolo dedicato alle esplorazione artiche.
“le regioni polari sembrano luoghi fatti apposta per sognare. Terre iperboree
[...] sono frammenti del globo e, contemporaneamente, frazioni della mente, in
cui corrono ad impigliarsi con facilità estrema miti, congetture, meraviglia,
spazi immaginari, anacronismi, speculazione geografica, invenzione. Ce n’è per
tutti, perché il vuoto dei terrains vagues ha bisogno di essere colmato
con l’aiuto della fantasia, di proiezioni mentali, di simboli. Dal Rinascimento,
da quando si sono dissolti gli ultimi brandelli del mondo tolemaico, è stato
naturale per tutti situare il fantastico, l’ipotetico, l’insolito e
l’immaginario nei ghiacci della misteriosa banchisa artica.
Negli ultimi decenni dell’Ottocento le avventure polari hanno costituito lo
scenario di fondo della vita civile e politica di milioni di uomini, consapevoli
che nei luoghi della lontananza estrema, a migliaia di chilometri dagli affanni
quotidiani, sparuti plotoni di ardimentosi continuavano a lottare per un ideale
nell’Artico o nel continente antartico, dopo aver varcato coraggiosamente le
porte dell’ignoto. E nel vuoto delle terre incognite, dove per una magica
attrazione avevano cominciato ad irrompere l’invenzione letteraria e il mito,
col tempo si sono appuntati riferimenti e simboli collettivi, si sono consumati
desideri, sono emigrati spezzoni di una nuova geografia, fantasie e allegorie,
ma si è anche ampliata la vecchia idea di mondo. Le testimonianze degli
esploratori e i resoconti di viaggio, che mischiavano l’autobiografia al
tentativo di sistematizzare gli spazi liminali acquattati alle latitudini
estreme, sono diventati per tutti la bussola con cui navigare idealmente tra i
ghiacci, affrontare con la mente le sterminate distese del pack o addentrarsi
nelle solitudini antartiche. E i giochi da tavolo sulla corsa ai Poli? Per
decenni hanno assolto la funzione di fissare in maniera indelebile, nella mente
di quanti vi si sono accostati anche in una sola occasione, luoghi, personaggi,
ed eventi di un’epoca irripetibile, grazie anche a un’iconografia destinata a
rimanere indelebile nel ricordo e capace di toccare le corde più profonde
dell’animo di un’intera epoca.
Metà dello scenario polare dei giochi raccolti nelle collezioni del Museo della
Montagna è occupato dall’Artico.
D’altra parte la “conquista” del Polo Nord geografico, conclusasi nel 1909 con
l’impresa della statunitense Robert Edward Peary (o dal connazionale Frederick
Albert Cook, un anno prima? - quando comparvero sul mercato le tavole illustrate
a colori con i giochi di percorso (la cui logica perlopiù consisteva in “Pig the
flag to the Pole”, pianta per primo la bandiera al Polo) e di abilità – era
ancora fresca di cronaca o addirittura in pieno svolgimento.
In più di un caso, l’epopea polare è stata proposta agli utenti come gara tra le
nazioni, ma assai più spesso sono state le caratteristiche del paesaggio e della
fauna delle estreme latitudini boreali ad imporsi come icone della geografi
artica. Nelle immagini che corredano i percorsi di gioco compaiono di frequente
feroci e aggressivi orsi polari, foche e trichechi, renne, in qualche caso
persino pinguini (peraltro non presenti nell’Artico), che fanno da muti
spettatori alle gesta dei pionieri, e molto spesso cani da slitta, il vero
motore delle imprese di quegli anni.
E poi la banchisa, i sastrugi, gli iceberg e i lastroni di ghiaccio
galleggianti, gli igloo, gli accampamenti mobili dei viaggiatori del grande nord
e dell’estremo sud. Gli eroi polari, Peary, Cook, ma anche Nansen, compaiono
spesso: a volte se ne vede il volto o se ne intuisce semplicemente la presenza
per via della bandiera o dell’itinerario; altre volte sono rappresentati come
figure anonime infagottate in abiti di pelliccia.
E qua e là si vedono anche gli sci, usati solo dagli esploratori di origine
scandinava, magari calzato con attacchi improbabili, oltre alle immancabili
slitte, ai kayak, ai pony, a pagaie, arpioni e fucili.
Poi ovunque ci sono navi e vascelli (alcuni intrappolati tra i ghiacci
dell’inverno polare), indispensabili per varcare le porte dell’Artico.
E ancora, si notano eventi e luoghi ricavati dai riferimenti della letterature
d’esplorazione dell’epoca, la cartografia, le rotte navali e io percorsi degli
esploratori, utilissimi per farsi un’idea abbastanza precisa del dedalo di terre
emerse affacciate sul Mar Glaciale Artico. Ma ancora non è tutto: oltre ai dadi
– in un caso definiti “cubici” (sic!) – le scatole che contengono i giochi
(spesso belle almeno quanto le tavole illustrate) sono corredate da figurine in
metallo o in piombo che rappresentano navi, personaggi, slitte, cacciatori. E
per immaginare, senza le sagome in metallo, il giocatore è invitato a ingegnarsi
col fai-da-te, ritagliando e incollando personaggi di cartone.
In ogni caso, l’epopea del Polo Nord non finisce con la sua “conquista”. Negli
anni tra le due guerre mondiali gli editori continuano a mandare sul mercato
altre avventure, ad esempio quelle contemporanee dei dirigibili, veri o
immaginari...”
Aldo
Audisio è il direttore del Museo Nazionale della Montagna di Torino e del
Forte di Exilles.
Ha promosso l’incremento e la valorizzazione dei fondi iconografici del Centro
Documentazione del Museo della Montagna, costituendo la collezione dei giochi
con un programma di acquisizioni. Ha curato “Montagne per gioco”, prima mostra
del settore, allestita in Italia, Francia, Svizzera e Polonia, e i due volumi
del catalogo.
Antonella Lombardo è la responsabile delle raccolte del Museo Nazionale
della Montagna di Torino.
Collabora alla realizzazione dei progetti editoriali e dei volumi di catalogo
delle mostre temporanee. Ha curato gli interventi conservativi della collezione
dei giochi, seguendone la repertori azione e la schedatura.
Ulrich Schädler è archeologo e conoscitore della storia culturale dei giochi
soprattutto relativi al periodo dell’Antichità e del Medioevo. E’ il Direttore
del Musée Suisse du Jeu de La Tour-de-Peils per il quale ha curato i volumi
“Jeux de l’Humanité” e “Créateurs de ciance. Les loteries en Europe”. Per il
Museo della Montagna ha curato la mostra ed i cataloghi Montagne per gioco e la
sezione dedicata ai giochi nel volume “Iconografie delle montagne”.
Roberto Mantovani è un giornalista ed uno storico dell’alpinismo. E’ stato
direttore della “Rivista della Montagna” e degli speciali “Alp”. Ha pubblicato
una ventina di libri e ha curato le tre edizioni dell’enciclopedia “La Montagna”
(DE Agostini). E’ stato conservatore del CISDAE, il centro di documentazione
dell’alpinismo extraeuropeo, al Museo Nazionale della Montagna di Torino. E’
collaboratore fisso della trasmissione “TGR Montagne” di RAI2.
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