Smilla è una donna fiera, ribelle, scontrosa.
Smilla è una scienziata, una glaciologa, una groenlandese.
L’anno in cui nacque, la madre andò in Groenlandia occidentale e da lì riporto
il nome di Millaaraq. Poiché ricordava al padre la parola danese mild, dolce, e
poiché lui voleva sottoporre tutto ciò che era groenlandese ad una
trasformazione che lo rendesse europeo e familiare, e poiché dissero che la
neonata gli avesse rivolto un sorriso, in danese smill, i suoi genitori di
accordarono su Smillaaraq, “che per l’usura cui il tempo sottopone tutti noi fu
abbreviato in Smilla”.
La
madre di Smilla era una cacciatrice inuit.
Quando intorno ai dodici anni, accompagnando il padre a caccia di foche, si
accorse che l’uomo sbagliava la mira e mancava le prede perché stava diventando
cieco, la donna valutò le diverse possibilità per il suo futuro: “il sussidio
sociale, che al giorno d’oggi in Groenlandia è al di sotto del minimo necessario
per la sopravvivenza, oppure la morte per fame, che non era insolita, o ancora
una vita sulle spalle dei parenti, che già non riuscivano a cavarsela da soli...
quando la foca rimise fuori la testa, lei sparò, e a partire da quella foca
divenne cacciatrice.
Usava un kayak costruito come nel XVI secolo, prima che l’arte del kayak
scomparisse dalla Groenlandia settentrionale. Ma usava come galleggiante da
pesca una tanica di plastica sigillata. Anche se non era usuale, accadeva che
molte donne cacciassero come gli uomini, “nella certezza, ovvia in Groenlandia,
che ciascuno dei due sessi racchiude in sé potenzialmente l’altro”. In tal caso,
le donne dovevano vestirsi da uomini e rinunciare alla vita familiare, perché la
collettività poteva sopportare un cambiamento di sesso, ma non uno stati di
transizione fluttuante. Il caso della madre di Smilla, però, era diverso: “lei
faceva l’amore e partoriva i suoi figli, sparlava dei suoi amici e puliva le
pelli come una donna. Ma sparava, andava in kayak e trascinava la carne a casa
come un uomo”.
Ma poi trovarono i resti del suo kayak e da quelli conclusero che fosse stato un
tricheco (i trichechi sono imprevedibili, possono essere ipersensibili e schivi,
ma se solo si spingono un po’ più a sud, ed è un autunno con poco pesce, si
trasformano negli assassini più rapidi e meticolosi del grande mare). La madre
di Smilla scomparve in mare e non fece più ritorno (chi cade in mare in
Groenlandia non torna più a galla perché l’acqua è sotto i quattro gradi e a
quella temperatura ogni processo di decomposizione si ferma, viene a mancare la
fermentazione del contenuto dello stomaco, che normalmente procura ai suicidi
una nuova spinta verso l’alto e li riporta a riva, cadaveri restituiti dal
mare).
Il fratello di Smilla era stato un grande cacciatore per dieci anni,
incontestato re del ghiaccio; ma quando chiusero lo spaccio del commercio
groenlandese e lo costrinsero a trasferirsi in città, lui andò a spazzare i moli
del porto. L’anno dopo si impiccò, proprio quando il tasso di suicidi in
Groenlandia fu il più alto del mondo: la difficile conciliazione tra la
modernizzazione ed il mestiere di cacciatore.
Il padre di Smilla è un famoso medico danese, avido di denaro e morbosamente
attaccato alla figlia; quando muore la madre, la costringe a seguirlo in
Danimarca e per anni Smilla, incapace di comprendere la cultura europea, ha
cercato di tornare in Groenlandia.
Smilla sa leggere la neve... è idrofoba ma adora il ghiaccio: copre l’acqua e la
rende solida, sicura, percorribile, trattabile. Smilla ha sempre avuto paura del
mare e non è mai riuscita a salire in kayak, anche se sapevo che questo era il
grande desiderio della madre.
Smilla ha uno straordinario senso dell’orientamento, che ha poco a che vedere
con le teorie scientifiche e molto con il suo dna.
Smilla sa sempre esattamente che distanza percorre quando fa un passo: in
Groenlandia le distanze si misurano in sinik, in “sonni”, nel numero di
pernottamenti che un viaggio richiede; non è una vera distanza, perché secondo
il tempo e la stagione, il numero di sinik può cambiare; non è nemmeno un
concetto temporale, perché con una tempesta in arrivo un tragitto che avrebbe
richiesto due pernottamenti può diventare un viaggio di una sola spossante
tirata. Sinik è un concetto spazio temporale che descrive l’unione di spazio,
movimento e tempo, connubio ritenuto naturale dagli inuit ma termine
inafferrabile per una lingua europea.
Smilla racconta che il sinik non è una distanza ma che aiuta a misurare la
distanza: quando correva dietro alla slitta perché il cielo era nero di pioggia,
sapeva che lo spazio intorno diventava la metà del numero di sinik che occorreva
quando si faceva trascinare sul ghiaccio nuovo; con le nebbia raddoppiava, con
una tempesta di neve arrivava a decuplicarsi. “La distanza europea, invece, il
metro universale di Parigi, è qualcos’altro. E’ un concetto per riformatori, per
individui la cui prima e principale idea del mondo è che deve essere
trasformato”!
Smilla ha un solo amico: Esajas, un bambino di origine groenlandese, figlio di
una donna alcolizzata, la personificazione dei benefici dell’alcool: da sobria è
rigida, muta e impacciata, da ubriaca è vivace e contenta come una pasqua; il
padre di Esajas è morto in circostanze oscure durante una missione scientifica
in Groenlandia alla ricerca di un meteorite sprofondato in un ghiacciaio, e così
la famiglia riceve una ricca pensione ed ottiene un alloggio popolare nelle
cosiddette Cellule Bianche, scatole prefabbricate di cemento bianco alla
periferia di Copenaghen.
Smilla leggeva per Esajas, gli leggeva gli Elementi di Euclide (“Un punto è ciò
che non può essere diviso. Una linea è una lunghezza senza larghezza, un
semicerchio è una figura determinata da un diametro e dalla circonferenza
tagliata dal diametro”) ma per Esajas era lo stesso, Smilla avrebbe potuto
leggere anche l’elenco del telefono oppure il manuale di classificazione del
ghiaccio: ghiaccio frazil (una membrana di breve durata che il vento e le onde
infrangono presto), grease ice (una poltiglia saponosa), pancake ice (le cui
lastre unite formano la banchisa), hiku (il ghiaccio permanente, il continente
di mare ghiacciato lungo il quale tutti navighiamo), hikuaq e puktaaq (banchi di
ghiaccio galleggiante; i più pericolosi sono i banchi blu e neri, pura acqua di
fusione, pesante e profonda; a causa della loro trasparenza hanno assunto il
colore dell’acqua circostante), ghiaccio bianco (proveniente dai ghiacciai),
ghiaccio marino grigiastro (colorato da particelle d’aria), ivuniq (banchi di
ghiaccio spinti dalla corrente e dagli urti fra le lastre), maniilaq (zolle di
ghiaccio), apuhiniq (neve che il vento ha compresso in dure barricate),
agiuppiniq (cumuli di neve che si seguono con la slitta quando cala la nebbia),
killaq (buche nel ghiaccio), sikussaq (ghiaccio vecchio formatosi nei fiordi
protetti, che col tempo si è staccato ed è stato spinto in mare), qanik (la neve
che turbina, grossi cristalli quasi senza peso che cadono in grande quantità e
coprono la terra con uno strato di bianco gelo polverizzato...)
Smilla ed Esajas facevano spesso il gioco dei salti, che lei aveva giocato tante
volte nella sua infanzia groenlandese: uno salta su una superficie di neve
pulita, l’altro aspetta, girato dall’altra parte, e dopo cerca di ricostruire i
salti del primo sulla base delle orme lasciate sulla neve. Esajas saltava come
un sacco di pulci, era astuto, faceva un giro e mezzo in aria e atterrava su un
piede solo, poi tornava indietro sulle sue orme. Ma ogni volta, ogni volta
Smilla indovinava!
Smilla voleva bene ad Esajas, le riempiva una vita divenuta vuota e dava un
senso alla sua solitudine, oltre a ricordarle quotidianamente le sue origine
groenlandesi (“Ti voglio raccontare perché mi sento legata agli eschimesi: per
la loro capacità di sapere, senza ombra di dubbio, che l’esistenza ha un senso.
Per il modo in cui vivono coscientemente nella tensione fra contraddizioni
inconciliabili senza sprofondare nella disperazione e senza cercare una
soluzione semplicistica. Per il loro rapido passaggio all’estasi. Perché possono
incontrare una persona e vederla com’è, senza giudicarla e senza che la lucidità
di mente sia indebolita da pregiudizi”).
Smilla sa bene che anche Esajas si sente spaesato in Danimarca: “non ho passato
un giorno della mia vita adulta senza stupirmi di quanto male si capiscano
danesi e groenlandesi. Naturalmente i groenlandesi sono nella posizione
peggiore. Non è salutare per il funambolo essere capito male da chi gli tiene la
corda. E in questo secolo la vita degli inuit è stato un esercizio di
funambolismo su una corda fissata da un lato al paese con il clima più duro e
più variabile che ci sia, e dall’altro all’amministrazione danese”.
Quando Esajas muore, cadendo da un tetto, Smilla scoprirà l’amore, l’odio, la
follia, l’avidità, il sospetto, la delusione, la resistenza, la caparbietà;
affrontando un lungo viaggio che la condurrà nuovamente in Groenlandia, Smilla
scoprirà la verità.
Esajas non è caduto, è stato spinto. Lo dice la neve, Smilla lo ha letto nella
neve.
Peter Hoeg è un giovane scrittore danese che vive a Copenhagen con
moglie e figli ma senza cellulare, auto, televisione e senza computer. E
nonostante questa lontananza dalla tecnologia, lo scrittore si distingue fra i
contemporanei per l'interesse nella scienza e per la capacità di sfruttarne le
immagini per spunti narrativi molto interessanti, oltre che per la sapienza con
cui dissemina nei suoi scritti riflessioni lievi sulle contraddizioni del
pensiero occidentale (C’è solo un modo per comprendere un’altra cultura.
Viverla). Anche se talvolta i temi scientifici sono trattati con superficialità,
Hoeg cerca di pescare direttamente nell’immaginario intorno alla scienza (lei
legge romanzi?...): nelle sensazioni che un teorema o un fenomeno fisico evocano
a livello irrazionale, nei sentimenti scatenati dalla conoscenza di un modello
scientifico o di una possibilità matematica.
Prima di diventare famoso con il romanzo “Il senso di Smilla per la neve”, Peter
Hoeg ha fatto molti mestieri: ballerino, attore, insegnante, guida, marinaio.
Dal libro è stato tratto il film "Il senso di Smilla per la neve".
Smilla colpisce per il suo rapporto profondo e particolare con la matematica:
“Se qualcuno mi chiedesse che cosa mi rende davvero felice, io risponderei: i
numeri. La neve, il ghiaccio e i numeri”.
Ma soprattutto Smilla seduce perché è groenlandese ed il suo mondo si popola di
tradizioni inuit (“In Groenlandia si vive così vicini gli uni agli altri. Si
dorme in molti in ogni stanza. Si sentono e si vedono continuamente tutti. La
comunità è così piccola... Il contrasto è con la natura. Ogni cacciatore, ogni
bambino viene preso da un delirio selvaggio quando si allontana
dall’agglomerato”), di racconti familiari (“Ho portato i miei kamik. Le suole
dei kamik sono poco resistenti all’usura. Quando eravamo bambini, non potevamo
indossarli per ballare se c’era sabbia sul pavimento. Potevano consumarsi in una
notte. Ma sulla neve e sul ghiaccio, dove la frizione è diversa, la loro
resistenza è straordinaria), di ricostruzioni storiche (“Secondo la politica
degli anni Settanta, la Groenlandia doveva ufficialmente diventare “la regione
più settentrionale della Danimarca”e gli inuit dovevano essere
ufficialmente chiamati “danesi del nord”, ed “essere educati ai diritti degli
altri danesi”, come disse il capo del governo”), di osservazioni sarcastiche (“I
craniologi francesi ebbero seri problemi in Groenlandia. Erano convinti che ci
fosse un rapporto diretto fra l’intelligenza di una persona e la grandezza del
cranio. Nei groenlandesi, che loro consideravano una forma di passaggio dalla
scimmia all’uomo, trovarono i crani più grandi del mondo”), di parole sapienti
(“ Nell’artico la compassione non è una buona virtù, è piuttosto una specie di
insensibilità: una mancanza di senso degli animali, dell’ambiente, e del valore
della necessità).
E di riflessioni amare, per un popolo che ha inventato ben 49 parole per
descrivere la neve ma nessuna parola per spiegare la guerra: “Ciò che è
diventato ovvio non lo notiamo più. E’ diventato ovvio vedere groenlandesi in
divisa e armati. Ovvio per noi fare la guerra”.
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