“Una storia marittima” è un romanzo che vale la pena di essere letto, non solo
perché sulla copertina campeggia la bella immagine di un kayak in pelle di foca
adagiato sui ghiacci, ma anche perché i brevi racconti che riempiono le sue 150
pagine sono freschi e taglienti come l’aria che si respira nel Grande Nord.
Capitani burberi ed impacciati che capiscono di essersi innamorati “in un punto
indefinito tra il 71° ed il 72° parallelo, scheletri desiderosi di visitare il
mondo che lasciano per qualche tempo il corpo del loro pigro padrone, gigolo a
caccia di donne che confondono clamorosamente la costa occidentale abitata con
quella orientale frequentato solo da cacciatori, provetti poeti che fuggono
sugli iceberg alla deriva pur di non rientrare in patria per il timore di
incontrare le donne tanto a lungo sognate, scalatori sprovveduti che si lasciano
sottrarre ingenti riserve di birra e ancor più preziose scorte di acquavite.
I protagonisti dei racconti non sono gli Inuit, non sono gli uomini dagli occhi
a mandorla che per millenni hanno abitato quelle lande desolate; sono invece
uomini bianchi sedotti dalla “zona bianca” ancora inesplorata e poco conosciuta,
un gruppo di amici che abita in lontani rifugi isolati e che aspetta di anno in
anno l’arrivo della solita vecchia nave, un manipolo di avventurosi cacciatori
che adorano riempire le lunghe notti invernali di racconti fantasiosi ed
alcoolici, almeno finché uno di loro non fa saltare in aria la casa in cui
trascorrono le festività natalizie.
Una nuova serie di skrøner - vero genere letterario che mescola la frottola e
l'imprevisto - in cui gli abitanti della costa orientale della Groenlandia
animano la loro vita quotidiana, dura ma libera: la fantasia si mescola con i
dettagli del più crudo realismo, che fanno rivivere l'atmosfera del periodo
compreso tra gli anni Venti e Cinquanta, quando un gran numero di cacciatori
danesi e norvegesi si era insediato nelle stazioni costiere della Groenlandia.
Sullo sfondo, tempeste che alzano nuvole di neve, nebbie che si depositano sulla
banchisa, il ghiaccio che improvvisamente si anima intonando un canto sinistro
di lastre che si schiantano le une sulle altre… quel piccolo angolo di geografia
che la maggior parte di noi ama e di cui ha nostalgia.
Jørn Riel è uno degli scrittori danesi più conosciuti ed apprezzati.
Esploratore ed etnologo, all’età di vent’anni si unisce alla spedizione del
geologo danese Lauge Koch: affascinato dai racconti fantastici di alcuni
esploratori artici conosciuti personalmente e irresistibilmente attratto dalle
‘zone bianche’, ancora inesplorate o scarsamente conosciute, della carta
geografica, si imbarca per la Groenlandia con l’incarico di effettuare rilievi
sullo spessore del ghiaccio e di inviare i dati per radio in Danimarca. E in
Groenlandia decide di fermarsi, trascorrendo tra i cacciatori artici sedici anni
della sua vita e imparando la lingua degli Inuit.
I rapporti duri e morbidi, bisbetici e stretti ad un tempo, talvolta persino
delicati, che si instaurano tra questi uomini groenlandesi senza storia, Riel li
ha raccontati magistralmente in una lunga serie di racconti, gli skrøner: il
concetto di skrøne è tipicamente nordico e indica un racconto fatto di una buona
invenzione, condita con un pizzico di esagerazione, qualche sana risata e anche
un po’ di brivido.
In Groenlandia è ambientato anche il romanzo d’esordio di Riel, La casa dei miei
padri, il cui giovane protagonista, Agojaraq, è il frutto della convivenza di un
piccolo gruppo di cacciatori di pelli con una generosa ragazza polare: cinque
sono i suoi possibili padri e ognuno di loro è convinto di essere quello vero.
Già in questo primo romanzo Riel fa mostra di una scrittura vivace e divertente
e descrive un mondo artico molto concreto, in cui la vita va vissuta ad ogni
costo e non si sopravvive senza tolleranza e senso dell’umorismo.
A questo seguono e la trilogia “La ragazza che cercò la madre del mare", 1972,
ed il romanzo "Prima di domani", 1975, ispirati a leggende Inuit.
L’universo descritto da Riel è il sogno, l’utopia di una comunità di uomini
senza confini nazionali, senza il diritto di proprietà, in cui la responsabilità
si costruisce nella lotta per la sopravvivenza e l’uomo non è giudicato in base
al potere materiale o alla forza fisica ma a partire “dal proprio essere e dalle
proprie azioni”. Un messaggio, questo, che ha catturato lettori di tutto il
mondo, che lo scrittore, ormai da anni in Malesia con la famiglia e un piccolo
branco di scimmie, ama da sempre incontrare durante i suoi frequenti e
irrinunciabili viaggi intercontinentali.
Nel 1995 riceve il premio dell’Associazione del Librai danesi come autore
dell’anno e nel 1998 il Premio della Letteratura Nordica in Francia.
In Italia sono pubblicati con Iperborea altri quattro suoi romanzi, sempre
ambientati in Groenlandia:
dell’ultimo abbiamo pubblicato una scheda in questa stessa sezione.
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