La spagnola “Spedizione Circumpolare Mapfre ‘92” ha attraversato l’Artico
nordamericano dalla città di Narsaq in Groenlandia a quella di Valdez in Alaska
nell’arco di ben tre anni, dal 12 febbraio 1990 al 25 marzo 1993.
Seguendo il mitico “Passaggio a Nord-Ovest”, i quattro componenti del gruppo
hanno utilizzato unicamente i mezzi di trasporto tradizionali Inuit: slitta di
cani, kayak e marcia a piedi.
Hanno così coperto oltre 14.000 chilometri, senza utilizzare appoggi aerei per i
rifornimenti, né mezzi meccanici per il viaggio né sistemi elettronici per la
navigazione: si tratta della più lunga traversata polare non meccanizzata della
storia, che ha superato di più di 4.000 chilometri il precedente record
stabilito nel 1974-1976 dal giapponese Naomi Uemura!
Ramon
coinvolge nella spedizione altri tre amici e riesce innanzitutto a vincere due
pregiudizi: che per battere un record si deve fare tutto nel minor tempo
possibile e che per realizzare grandi imprese occorre molto denaro.
Pensano dapprima di ottenere sovvenzioni dal governo spagnolo in occasione dei
festeggiamenti per il Cinque Centenario della conquista dell’America ma poi
arrivano i fondi dell’agenzia assicurativa per la quale lavorava il padre, Mapfre appunto: nei tre anni trascorsi nell’Artico solo Ramon non fa mai ritorno
in Spagna, mentre i suoi tre compagni si alternano per accompagnarlo durante il
cammino via terra o via acqua.
Le loro relazioni interpersonali sono state talvolta difficili ma hanno permesso
loro di scoprire come un grande legame di amicizia, affetto e rispetto reciproco
permetta di superare ostacoli talvolta insormontabili: la determinazione, la
forza e l’ingegno, oltre alla loro buona stella, li hanno aiutati a fare il
resto, per compiere un’impresa davvero eccezionale.
Una vaga idea della spedizione è fornita dalla mappa dell’itinerario seguito,
una della varie carte riportate in appendice al volume, insieme ad una
moltitudine impressionante di dati sugli avvistamenti di animali selvatici e
sugli “altri membri della spedizione” (ben 69 cani husky elencati con nome
proprio e slitta di appartenenza), sulle distanze coperte e del tempo impiegato
(4.000 chilometri solo in kayak!), sui dati geografici (71 villaggi visitati, di
cui 61 Inuit!), su quelli meteorologici (temperatura oscillante tra i -51°C di
Kaltag ed i +25°C di Inuvik!) e sulle varie rilevazioni effettuate (i membri
della spedizione sono caduti in acqua 9 volte per le fratture del ghiaccio ed
una per avere perduto l’equilibrio in kayak!!!).
Il
volume è particolarmente interessante perché è scritto ad otto mani: tutti e
quattro i membri della spedizione hanno contribuito trascrivendo parte del
proprio diario di viaggio e raccontando ciascuno la propria esperienza; colpisce
sopra ogni altra cosa il forte legame che li ha uniti e la grande carica di
comprensione che li ha animati per tutta la durata del viaggio.
Le difficoltà logistiche dei primi tempi, dovute all’inesperienza nella
conduzione della slitta trainata da una muta di cani ed alla difficoltà di
comunicazione con gli abitanti dei villaggi Inuit, vengono a poco a poco
superate dalla passione dei quattro per l’ambiente polare e dalle prime e solide
amicizie strette con i locali: “non ho mai visto niente di simile a questo
villaggio (Sondre Upernavik nel Nord-Ovest della Groenlandia), tutti ridono
costantemente, dai bambini agli anziani e si nota un ambiente sano nella
comunità”.
Il 7 giugno 1990 Ramon e Manuel cominciano la prima traversata in kayak della
spedizione, da Narsarsuaq a Ukkusissat per risalire l’intera costa occidentale
della Groenlandia, ma ad Aassiat l’incidente quasi mortale occorso a Manuel,
caduto dal kayak per il forte vento e le grandi onde che ostruiscono uno
stretto, convincono Ramon a proseguire in solitaria per la seconda metà del
tragitto; al suo arrivo, scopre di avere un nome Inuit e tutti lo chiamano
felici a gran voce: Aroni! Aroni! Aroni!
I due kayak utilizzati per la prima parte della spedizione in Groenlandia sono
due fiammanti modelli della Valley dalle linee marine e filanti; i tre kayak
della traversata finale verso l’Alaska, invece, sono dei Prijon con timone, più
larghi e più corti, che non consentono di stivare tutta l’attrezzatura nei
gavoni... ma che si rivelano perfetti, con la loro chiglia piatta, quando
dovranno essere trainati sulle immense distese stagnanti della tundra al tempo
del primo disgelo!
Quando sbarcano al Club di kayak di Nuuk conoscono Jonas Moller, uno degli
ultimi costruttori di kayak tradizionali groenlandes,i anche se ormai utilizza
tela impermeabilizzata invece di pelle di foca per il rivestimento esterno: “la
struttura del kayak si fabbrica con pezzi di legno arcuati, legati con corde di
pelle di foca; potrebbe sembrare inverosimile, ma non si utilizzano né chiodi,
né viti né altri pezzi metallici per la costruzione di una imbarcazione tanto
sofisticata. L’ultima fase consiste nella realizzazione con osso, pelle di foca
e legno della pagaia e di tutti gli arnesi per la caccia: il risultato è
un’opera d’arte”.
Mentre Jonas spiega loro come costruire un kayak tradizionale, non perde
comunque occasione per criticare kayak in vetroresina dei “spaniamiut
pingasut” (tre spagnoli in Inuktitut)!
Oltre alla tradizionale tecnica di caccia e pesca, i quattro imparano presto
anche una nutrita serie di espressioni idiomatiche ed aumentano la loro capacità
di comunicazione con i locali, tanto da allacciare anche relazioni sentimentali
con le ragazze Inuit: il taalutaq è la vela bianca per la caccia che si
posiziona sul ponte di prua del kayak per rendere il cacciatore invisibile alle
prede, il kakavik è l’arpione col tridente utilizzato per la pesca dalla
riva del salmone, il nissik è il gancio per arpionare le foche, il
tooq è il rompighiaccio per allargare i buchi di respirazione che le foche
aprono nel ghiaccio, il mattaq è la pelle di narvalo apparentemente molto
gustosa.
E poi issi per freddo, naamatooq per buono, naamangitooq per
cattivo, nerrivik per tavola, sinirfik per letto, pilluarisi
per auguri, qujanaq per grazie, ingerlalluarisi per buon viaggio!
Un
giorno partono con altre famiglie che si spostano per la caccia: “siamo uno
spettacolo meraviglioso: formiamo una carovana di otto slitte con più di cento
cani, uomini e donne vestiti con abiti in pelle di parka di caribù, pantaloni di
orso polare e stivali di pelle di foca”!
Notano subito che gli Inuit non usano né bussola né mappa, hanno tutto
registrato “en la cabeza” e possono riconoscere senza fatica diversi tipi di
ghiaccio: quello nuovo, di un anno, di vari anni di età, degli iceberg, umico,
secco, dolce, salato, dell’autunno e della primavera e, scrive Ramon, “quando si
imparano a riconoscere, tutti risultano chiaramente differenti”!
“La navigazione mi sembra uno delle sfide più appassionanti del viaggio poiché
esige costantemente di scrutare il terreno e di notare anche la cosa più
insignificante, di pensare e di razionalizzare. Le chiavi per orientarsi sono
nella Natura e l’idea di questo viaggio è di legarsi a questa Natura selvaggia e
di accettare le sue sfide”.
Le sfide saranno molte: perderanno un intero tiro di cani, fuggiti nella nebbia
e affogati nel mare ghiacciato forse attirati dall’odore di un orso polare e
piangeranno lacrime amare mentre saranno costretti a proseguire in due su una
sola slitta; perderanno un compagno di viaggio, perché la relazione già
difficile tra Ramon e Rafael peggiora col passare del tempo e convince tutti che
le riprese video fotografiche debbano essere concentrate solo in alcune tappe
per non obbligare i due a viaggiare ancora insieme; perderanno anche il buon
umore e l’allegria, quando il lungo inverno polare comincerà a pesare sul loro
morale, ampliando la nostalgia di casa e aumentando lo stato di prostrazione
psicofisica in cui a turno cadranno tutti. Però porteranno a termine con
successo la spedizione ed impareranno a rispettare se stessi, gli altri, la
Natura e soprattutto l’Artico!
Il
volume è arricchito da una serie di schizzi e disegni, realizzati
presumibilmente dai quattro esploratori, che ritraggono alcune scene di vita
quotidiana (la costruzione dell’igloo, la pesca dai buchi nel ghiaccio, l’attesa
nella caccia alla foca) ed alcuni dei momenti più emozionanti ed avventurosi del
viaggio, oltre a tutti i singoli attrezzi utilizzati durante la marcia con le
slitte (qamutit), dalle imbragature per i cani (anu) alla frusta
di lattice (iperaataq) al coltello (savik).
Il libro non è facilmente reperibile e non è mai stato tradotto in italiano:
risulta di facile consultazione ma occorre avere un minimo di dimestichezza con
la lingua latina cugina perché è interamente scritto in spagnolo.
Noi abbiamo avuto la fortuna di trovarlo nel rifornito negozio di “Menorca en
kayak” quando siamo stati sull’isola in kayak, ma solo perché due degli autori
da qualche anno vivono lì.
Quando Ramon ci ha autografato il volume, ci ha confermato che anche in Spagna
non si trova quasi più e lui stesso ne ha conservate solo poche copie...
Ramon Hernando de Larramendi è stato il direttore della spedizione
quando aveva appena 25 anni.
Nato a Madrid nel 1965, sin da quando era un ragazzo ha coltivato un enorme
interesse per le regioni polari e per le grandi traversate senza mezzi
meccanici; per preparasi alla spedizione, ha incontrato i maggiori esploratori
polari per ascoltare i loro racconti e raccogliere i loro consigli.
Dopo aver realizzato nel 1985 la traversata dei Pirenei con gli sci e
dell’Islanda con gli sci e la pulka, ha partecipato nel 1986 alla spedizione
Transgroenlandia; nel 1988 ha circumnavigato in kayak la penisola iberica (3500
chilometri) e nel 1989 ha pagaiato lungo la costa della Norvegia da nord a sud.
Dopo qualche anno ha fondato “Tierras Polares”, un’agenzia di viaggi
specializzata nelle regioni polari; abbiamo avuto occasione di incontrarlo e
conoscerlo nel febbraio 2011 al festival della montagna di Bergamo e ne abbiamo
parlato sul nostro blog:
http://tatiyak.blogspot.com/2011/02/ramon-larramendi-at-orobie-film.html
http://tatiyak.blogspot.com/2011/02/arctic-dreams.html
Antonio Martinez Peral è nato a Madrid nel 1960 e ha seguito gli studi
di ingegneria industriale; pratica l’alpinismo dall’età di 15 anni e poi si
appassiona di speleologia, oltre che alle regate veliche e al parapendio.
Manuel Olivera Marañon è nato a Palma di Maiorca nel 1963 e anche lui ha
seguito gli studi di ingegneria industriale. La sua attività principale è
l’arrampicata su roccia e ghiaccio, ma pratica anche speleologia, parapendio e
sci, oltre che il kayak, naturalmente.
Rafael Peche Acosta, il membro più giovane della spedizione, è nato a
Madrid nel 1968; fotografo e cineoperatore ha realizzato alcune traversate a
piedi ed in kayak e pratica lo sci, la subacquea e la scherma.
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