“L’isola dimenticata di Cefalonia sorge del tutto inattesa dal mar Ionio; è così
immersa nell’antichità, che le sue rocce esalano nostalgia, e la terra rossa è
stordita non soltanto dal sole ma anche dal peso impossibile della memoria. Le
navi di Ulisse erano state costruite con i pini di Cefalonia, le sue guardie del
corpo erano giganti cefalleni e alcuni sostengono che la sua reggia si trovasse
qui e non ad Itaca”.
L’irrequietezza dei miei compagni di viaggio mi distoglie dalla lettura del
romanzo “Il mandolino del Capitano Corelli” proprio quando il traghetto
attraversa il braccio di mare che separa Cefalonia da Itaca: il panorama che si
apre davanti ai nostri occhi, per quanto familiare, lascia senza parole!
Il viaggio a lungo preparato ci porterà a costeggiare Cefalonia, Zante
ed Itaca, 500 km in tre settimane di navigazione e di campeggio libero lungo le
isole greche del mar Ionio, caldo ed immenso, aperto sull’orizzonte lontano ad
ovest e chiuso da una miriade di isole vicine ad est, il Peloponneso dato alle
fiamme che ci guarda da lontano, il fascino misterioso e continuamente rinnovato
del viaggio in mare...
L’acqua è spettacolare, limpida e cristallina, calda ed invitante, uno specchio
sui fondali anche più profondi, una tavolozza di colori che si riempie di tutte
le gradazioni dal verde smeraldo al turchese al blu cobalto, una finestra aperta
su un mondo affascinante… “attraverso l’acqua del mare di Cefalonia vedere è
persino più facile che attraverso l’acqua di qualunque altro luogo; un uomo può
galleggiare in superficie, avvistare il lontano fondo marino e scorgere
chiaramente le lugubri razze che, per chissà quali ragioni, sono sempre
accompagnate da minuscole sogliole”...
Le razze non le abbiamo viste, stavolta, ma due tartarughe Caretta Caretta hanno
incrociato la rotta dei nostri kayak al tramonto e qualche intrepido pesce
volante ha accompagnato le nostre traversate; è stato un viaggio ricco di
incontri fortunati: molti rapaci hanno disegnato voli concentrici nel cielo
azzurro e pulito, colorati martin-pescatore hanno volato veloci lungo la costa
frastagliata che andavamo scoprendo e tantissime capre hanno accompagnato da
riva il nostro silenzioso passaggio in mare!
Il primo giorno pagaiamo solo qualche centinaia di metri lungo la strada
litoranea e subito incontriamo le imponenti ruote dei Katavòtres, antichi mulini
ad acqua alimentati dal mare, un fenomeno ammantato di mistero fino agli anni
sessanta, quando dei ricercatori, colorando l’acqua del mare, hanno scoperto che
l’isola di Cefalonia la inghiotte ad Argostòli, la trattiene sotto terra per ben
due giorni e poi la libera a Sami, attraverso un complicato reticolo ancora
inesplorato di grotte e cunicoli che crea un tale dislivello da far girare le
pale ormai arrugginite di questi mulini un tempo gloriosi… rimangono solo due
ruote superstiti ai lati opposti dell’isola, una ad aspettare l’alba, l’altra a
salutare il tramonto.
Proseguiamo il nostro viaggio verso nord e la prima sosta in una bella caletta
ridossata ci permette di saggiare quanto ci attende nei giorni successivi: un
vero e proprio trionfo della natura!
In ogni caletta scorgiamo, tra una casetta diroccata e qualche pianta di ulivo,
un pugno di terra rossastra puntinata di ciottoli levigati dal mare e sbiancati
dal sole, con cui i bagnanti si divertono a scrivere i loro nomi.
Il primo campo notturno scegliamo di montarlo in una delle tante baie riparate
ed accoglienti, piccole ed isolate, pulite e silenziose: arbusti profumati per
stendere l’attrezzatura, spiaggia livellata per montare le tende, vicini
francesi in rada con la barca a vela che scendono a terra silenziosi e discreti
per un romantico barbecue notturno, sotto il muro diroccato della casupola
d’ordinanza, la luna piena ad augurarci la buona notte.
Al mattino scegliamo di procedere decisi verso Fiskardo.
La guida descrive il paesino più settentrionale di Cefalonia come un piccolo
borgo marinaro miracolosamente scampato al devastante terremoto del 1953,
caratteristico per l’atmosfera che ancora si respira, per la suggestione delle
casette basse sul lungo mare, per le viuzze contorte imprigionate tra muri
colorati a tinte forti... ci concediamo una sosta, sorseggiando una birra fresca
all’ombra profumata di una voluminosa buganvillea color fuxia!
Poco oltre il bel faro di Fiskardo, ci regaliamo un lungo bagno di sole nelle
piscine naturali di Kalo Emblisi, una profonda cala contornata di larghi scogli
piatti che scivolano in un’acqua cristallina, bianchi gradoni naturali che
favoriscono lo sbarco dei kayak e silenziosi angoli ombreggiati che ci ospitano
per il pranzo e per la siesta...
Passare Capo Viotis è divertente e a tratti impegnativo, le onde si rincorrono
vicine e veloci, le creste spumeggianti coprono spesso il ponte del kayak ed il
vento soffia più deciso, ovviamente in direzione contraria, rispettando
pienamente le previsioni meteorologiche che lo davano in aumento da NW!
Per evitare l’onda di ritorno e la famigerata “lavatrice”, scegliamo di
allontanarci un po’ dalla costa, diventata alta e scoscesa, pareti color ocra e
panna che si tuffano a picco nel mare ora profondo, nero e rigonfio di onde
frangenti... dopo oltre due ore di fatica, di appoggi e di correzioni di rotta,
pagaiando in silenzio per ascoltare il mare, scendiamo nella baia di Agia
Jerousalim, protetta da uno scoglio allungato che quasi la nasconde alla vista,
brutalmente deturpata da chiazze di catrame molle che subito si attaccano in
maniera indelebile a kayak, calzari e costumi!
Ci addormentiamo tristi e sfiduciati, la natura non ha strumenti adeguati per
difendersi dalle aggressioni dell’uomo, ma ci svegliamo rinfrancati dall’odore
familiare del caffè appena fatto, una moka fumante offerta da un vicino in
camper tanto ospitale quanto loquace: ci aveva salutati al nostro arrivo e che è
quasi contrariato nel vederci preparare di nuovo i kayak “ripartite di già? non
vi fermate a mangiare i ricci di mare? noi leccesi ne andiamo matti!”
Qualche pagaiata sulle onde ancora gonfie e ci troviamo ad Assos, una cartolina
di paese, la doppia fila di casette colorate affacciate sulle due sponde
dell’istmo, il porticciolo ricavato nell’ansa naturale che si apre ai piedi del
promontorio, la cima ornata dalle mura del castello in rovina, terrazzamenti di
ulivi abbandonati e colori decisi ovunque, in cielo in terra ed in mare... ci
fermiamo per bere una birra, ovviamente!
A questo punto cominciamo a scoprire il vero fascino di Cefalonia, la sua natura
incontaminata, selvaggia, irraggiungibile... la costa diventa alta, impervia e
scoscesa, sulla cresta della montagna si intravedono in lontananza le pale
eoliche, nella roccia si aprono fenditure e grotte, gli accessi alle spiagge si
riducono e solo la famosa Mirtos è collegata all’entroterra da una strada tutta
curve e tornanti interamente occupata da automobili in sosta... del resto, è
giusto il 15 di agosto!
Pagaiamo al largo ed è tutto un tripudio di colori, non solo per gli ombrelloni
dei bagnanti, ma anche per l’acqua azzurra un pò lattiginosa, per le scogliere
nere spruzzate di bianco dal mare, per la terra rossastra bruciata dal sole, per
la rada vegetazione di un verde intenso, per il cielo celeste, ampio e chiaro,
senza traccia di una bava di vento o di una nuvola sfilacciata...
Il gran caldo ci costringe a fare un’altra sosta per bere un’altra birra…
Il porticciolo di Zola è tranquillo ed isolato, tipicamente cefalleno, riservato
quasi solo ai locali, impegnati nel pranzo di ferragosto che si protrae sino al
tardo pomeriggio, tavolate imbandite di pesce e calamari fritti, chiacchiere
rilassate all’ombra del portico, vasi fioriti sui davanzali delle finestre
incorniciate di blu, portate abbondanti innaffiate di ouzo ghiacciato, potente
liquore greco a base di anice che ha lo straordinario potere di lenire ogni
dolore!
Riprendiamo il mare ben oltre le 5 del pomeriggio, con l’intenzione di tagliare
il golfo e di puntare diretti a Porto Atheras, dove la guida dice che potremmo
scovare un “free camping” sulla spiaggia di sabbia, una taverna a conduzione
familiare che apre orti e giardini ai campeggiatori di passaggio durante la
bella stagione... ma Porto Atheras dovrà attendere, perché appena girato il capo
ci si apre davanti agli occhi un panorama da lasciare letteralmente senza fiato!
Pagaiamo verso riva a bocca aperta, sempre più ammaliati dal fascino della
costa, sedotti dalla bellezza del paesaggio e decisi a passare la notte su
quella spiaggia laggiù, la “spiaggia 10 e lode”: una lunga distesa di ciottoli
bianchi che hanno assorbito calore per tutto il giorno e sono ancora caldi, alle
spalle una macchia mediterranea lussureggiante e profumata, odorosa di mirto,
lentischio e terra umida, ai due lati alte scogliere triangolari di un bianco
abbacinante che strapiombano verticali nel mare turchino, un tramonto che tinge
tutto di rosso e diffonde un senso generale di felicità allegra e palpabile… non
c’è nessuno, neanche una barca all’orizzonte, gli ultimi pescatori sono già
rientrati, un gommone di bagnanti ritardatari si affretta a consegnarci la cala
deserta, gabbiani e pesci han smesso di inseguirsi e sfuggirsi, grilli e cicale
si godono con noi il cielo stellato e lentamente cala un silenzio quasi irreale...
un posto meraviglioso!
La mattina dopo ripartiamo un po’ a malincuore, vorremmo fermarci
ancora ed approfittare di questo luogo magico, ma il viaggio è ancora lungo e
sospettiamo che l’isola ci riserverà altre piacevoli sorprese...
Infatti, entrati nella profonda baia di Porto Atheras e gustata l’ennesima birra
davanti alla bella chiesetta intonacata di azzurro, ci rimettiamo in viaggio
navigando verso sud e scopriamo subito un lungo tratto di costa incontaminato:
saggiamo l’incredibile magia di uno spazio senza tempo!
Abbiamo pagaiato per circa 10 miglia lungo pareti rocciose mangiate dal
terremoto, come se un ciclope affamato avesse inciso la costa con un enorme
coltello, massi enormi rotolati nelle fenditure e rimasti in bilico l’uno
sull’altro, rocce frantumate che hanno sommerso spiagge un tempo frequentate,
frane sprofondate in mare che hanno colorato l’acqua in maniera curiosa e
talvolta inquietante...
Quando sbarchiamo a Petani, invece, inquietante davvero è il frastuono della
civiltà, musica martellante dei chioschi sulla spiaggia, motoscafi rombanti che
sfrecciano veloci tra le boe, voci stridule di mamme ansiose che cercano i
propri figli nascosti tra cento bambini nell’acqua piatta e calda della baia...
rumori molesti che non si placano neanche quando il sole si tuffa lentamente in
mare, e la sua palla di fuoco è talmente grande che sembra di sentirla
sfrigolare sull’acqua...
Cerchiamo comunque di gustarci la cena in taverna a base di calamari fritti,
insalata greca e tzatziki, senza farci sopraffare dalla confusione disordinata
della località turistica e, quasi per compensare, decidiamo di passare la notte
in bivacco… ma mai scelta fu più sbagliata, l’umidità scende a secchi, la parete
alta alle spalle della spiaggia arresta la brezza di mare che calda e secca si
alza sempre all’imbrunire e così la mattina dopo ci svegliamo inzuppati come dei
pulcini...
Poco più a sud della baia di Petani, oltre le Twelve Island, si apre una delle
spiagge più incantevoli dell’intera isola, Platia Ammos, una parete aperta a
mezza luna sulla lunga spiaggia di sassolini levigati, talmente belli e ricchi
di striature colorate da volermeli portare tutti a casa, una immensa frana a
nord e una scalinata infinita a sud, tutta tortuosa e pericolante, che sale fino
al cielo seguendo a zig-zag la profonda fenditura nella parete rocciosa e che
dall’alto offre un panorama incredibile ed indimenticabile!!!
Dopo aver nascosto furtivamente qualche sassolino nel gavone del kayak, evitando
lo sguardo inquisitore di Mauro che mi rimprovera di appesantire ulteriormente
il carico con i miei continui “ritrovamenti” in spiaggia (sassi e conchiglie a
non finire), ci imbattiamo in uno dei pochissimi veri fari dell’isola, questa
volta non solo imponente e maestoso nel suo profilo alto e slanciato sulla costa
divenuta improvvisamente bassa e pianeggiante, ma anche dal nome
indiscutibilmente fantastico: Faro di Gerogombos!
Si apre un breve tratto di costa ricamata di grotte rossastre, illuminate dai
riflessi dorati dell’acqua turchina, scogli sistemati ad arte tra bassi
promontori e piccole insenature, archi naturali e buchi e bucherelli aperti
nella roccia apparentemente friabile come un torroncino alle mandorle...
Vogliamo sbarcare perché io comincio a sentire un certo appetito e perché Hanry
sembra entrato in crisi di astinenza... scorge due persone in lontananza, zaino in
spalla in una rada desolata, e comincia a snocciolare quella che credo una
filastrocca scozzese “Dove c’è gente, c’è strada; dove c’è strada, c’è casa;
dove c’è casa, c’è pub e dove c’è pub, c’è BIRRA!”
Surfiamo sulle ondine spumeggianti gonfiate dal vento di nord ovest che sta
caparbiamente rinforzando e seguiamo a distanza Mauro che diventa veloce come un
gabbiano... quando a qualche metro dalla spiaggia vira decisamente verso sinistra,
capiamo che, se non è improvvisamente impazzito, deve avere scovato un angolo di
paradiso!
Infatti, si delinea il profilo inconfondibile di una tipica taverna greca,
capanno di legno con foglie di palma sul tetto circolare, pavimento di sabbia
rossa tenuta volutamente bagnata, tavolini in legno e seggiole da capitano di
vascello, con una particolarità non trascurabile che rende la taverna “Spiaggia”
unica ed inarrivabile: una padrona inglese naturalizzata greca, poche parole
sulla bocca tirata, humor inconfondibile e glaciale come l’ouzo che serve
abbondante e ghiacciato ai numerosi avventori... Hanry lamenta mancanza di
disciplina e non riusciamo più a smettere di ridere!
Un po’ brilli cerchiamo di doppiare Capo Akrotiri e... meraviglia, sbrachiamo
sulla “Luna”!
Quando pensavamo di aver concluso in bellezza una giornata indimenticabile, ci
troviamo a vivere un’altra grande emozione!!!
La “Luna”: una baia chiusa di acqua bassa e limpida, una spiaggia stretta di
sabbia rossa, calda e setosa, una parete di creta grigio perla, che con le luci
della sera si anima di bassorilievi egizi, come suggerisce Mauro, che deve
essere ancora completamente ubriaco, tanto che non smette di parlare, ridere,
incespicare e chiedere di scattare fotografie alla laguna di Koulopetra; un
paesaggio lunare che al tramonto acquista colori prima di fuoco e poi di
ghiaccio... indimenticabile!
La giornata seguente, purtroppo, non poteva essere altrettanto emozionante:
Lixouri è la più brutta città di mare mai incontrata, Argostòli è la capitale
più deludente mai visitata ed il pronunciato golfo interno è la delusione più
cocente del viaggio!
Inoltre, ci tocca pure di superare la prova più ardua della giornata: due
stabilimenti balneari carichi di gente e ricoperti di ombrelloni, le spiagge di
Makris e Platis Gialos, nel cui specchio di mare rischiamo la vita nell’estremo
tentativo di evitare una selva di motoscafi impazziti che trascinano sulle onde
a velocità inaccettabili dei gommoncini dalle forme assurde (banane, ciambelle e
matterassoni a 4 posti) con il solo scopo apparente di compromettere
definitivamente la capacità motoria degli occupanti...
Incredibilmente, appena oltre le due affollate e rumorose spiagge attrezzate, si
apre uno degli spettacoli più affascinanti dell’isola, un breve tratto di costa
rocciosa pennellata di bianco rosso e marrone a tinte forti; visto che nessuno
dei turisti impegnati a rompersi l’osso del collo se ne accorge, recuperiamo
velocemente il silenzio e la pace che solo un angolo di natura incontaminata sa
trasmettere!
Montiamo il campo sulla spiaggia di sabbia incastonata nella roccia lavica che
delimita la pista di atterraggio dell’aeroporto di Argostòli, l’unico
dell’isola, e ci riprendiamo dalle fatiche di una tappa più lunga del solito (34
chilometri) osservando ammaliati un enorme uccello di metallo che distende le
sue ali lucenti sulle nostre teste, così basso che sembra non voler decollare...
Il sole si colora di arancio vivo mentre ci laviamo via uno spesso strato di
salsedine, di amaranto intenso mentre ci prepariamo una cena fumante e
sostanziosa a base di cous-cous, e di cobalto scuro mentre ci montiamo la tenda
per la notte… tra uno sbuffo di sigaro di Mauro ed un sorso di ouzo di Hanry,
accoccolata tra le rocce porose di questo luogo magico, cerco la mia
costellazione preferita, il Delfino, chiudo il diario e mi addormento felice...
L’indomani sarà anche l’ultimo giorno su Cefalonia prima della traversata verso
Zante e ci sentiamo già proiettati verso nuovi orizzonti: l’isola grande ci
regala un promontorio di quarzo che sembra un albero di Natale illuminato dai
riflessi del sole, qualche cala che ricorda ancora la “Luna” ed una lunga
pagaiata sotto il fianco alto ed imponete del monte Enos, che domina l’intera
isola e che da lassù sembra quasi volerci salutare...
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