Antefatto. Se chiedessi ad uno sciatore specializzato nel salto perché in
quella disciplina si utilizzi quel particolare tipo di sci, invece di quello che
usa un altro sciatore, ma specializzato nel fondo, nella migliore delle ipotesi
si metterebbe a ridere e non mi risponderebbe neppure. Analogamente succederebbe
se chiedessi ad un ciclista velocista perché invece della bicicletta specifica
non ne utilizzi una da cross.
Gli esempi potrebbero andare avanti quasi all’infinito perché, anche se gli
sport capostipiti, quelli, passatemi i termini, “puri” e “primordiali”, sono
relativamente pochi, nel tempo, tutti si sono evoluti in moltissime varianti che
hanno portato allo sviluppo di altrettante specialità che spesso poco hanno in
comune l’una con l’altra.
Ognuna di queste specialità, per poter essere praticata con soddisfazione e,
naturalmente, con prestazioni sempre maggiori, necessita di strumenti, di mezzi
e di attrezzature adeguate. Queste attrezzature sono state anch’esse sviluppate
nel tempo, con il contributo e la ricerca delle aziende costruttrici, di
sportivi professionisti ed anche di semplici praticanti. Ogni nuova versione si
differenziava leggermente da quella precedente, ma aveva in se qualche cosa di
particolare che la rendeva unica ed irrinunciabile per chi voleva continuare la
sua evoluzione di sportivo.
Se, a distanza di diversi anni, confrontiamo il particolare modello di
quell’attrezzo, accessorio o strumento su cui s’impernia una certa specialità,
che naturalmente era all’avanguardia nel periodo iniziale considerato, con
quello invece ora usato, credo ci stupiremo dalle differenze riscontrate. Spesso
l’evoluzione e la diversificazione sono state tali da rendere quasi
incomprensibile come si poteva praticare quella particolare specialità con quel
“coso”.
Un po’ di storia. Nessuno sport, o meglio, nessuna pratica
sportiva, è rimasta immune da quest’evoluzione, neanche il kayak. Anch’esso,
partendo da quell’unico esemplare portato in Inghilterra, verso la metà del
secolo scorso, da Gino Watkins, un esploratore che è vissuto diverso tempo in
Groenlandia con i popoli Inuit dai quali apprese l’uso del kayak, si è
moltiplicato in moltissimi modelli e varianti, ognuno dei quali pensato,
progettato e costruito per offrire le migliori prestazioni in un ben specifico
campo d’impiego.
E’ importante notare che, in Europa, anche la tecnica dell’eschimo ha avuto
origine da quel primo esemplare; infatti, con il primo kayak, Watkins portò con
se anche alcune manovre della vastissima tecnica groenlandese che imparò sul
luogo di origine e che si sono poi diffuse ed adattate ai vari tipi di barche.
Vorrei porre l’accento anche sulla particolarità del kayak: qualsiasi linea,
modello o caratteristica gli uomini gli abbiano dato per adattarlo ad impieghi
specifici, il kayak era ed è l’unica barca esistente che, una volta capovolta,
si può raddrizzare senza dover sbarcare o uscire da essa. Possiamo anche
facilmente immaginare quale fu il motivo che spinse gli Inuit in un accanimento
progettuale esasperato delle barche e nello sviluppo di decine di tecniche di
raddrizzamento della barca stessa: non potevano neppure pensare di uscire dal
kayak con la temperatura dell’acqua sempre a pochi gradi, sarebbero morti
assiderati per ipotermia in pochi minuti; chi si ribaltava e non riusciva a
raddrizzarsi… non tornava più a casa.
Il progenitore di tutti i moderni kayak, era quindi l’imbarcazione tipica dei
popoli Inuit, comunemente e volgarmente chiamati eschimesi (un termine che loro
reputano molto offensivo, pensiamo per un attimo alle definizioni con cui i
nostri meridionali e settentrionali si appellavano a vicenda, in era
pre-extracomunitari, e capiremo il riferimento), i quali la utilizzavano per
spostarsi, per la caccia e per la pesca. Quella barca era nata ed utilizzata in
ambiente marino e da essa discendono direttamente tutti i moderni kayak da mare,
sia pur con le utili aggiunte dei gavoni stagni, bussole, derive, timoni ed
accessori vari.
Da quel primo modello sono state fatte delle copie e provate in altri ambienti,
prima i laghi, poi i grossi fiumi, poi i torrenti ed ogni volta si scopriva che,
con le opportune modifiche, quell’esile barca si adattava ben presto alle nuove
esigenze e che aveva delle incredibili ed impensabili potenzialità.
Questa continua evoluzione portò ben presto alla suddivisione dei risultati
ottenuti in due grandi famiglie, le quali si caratterizzavano nettamente per gli
ambienti nei quali le imbarcazioni erano utilizzate: l’ambiente dove l’acqua
correva e quello dove invece non aveva corrente, grossomodo potremmo dire il
fluviale ed il marino.
Le forme costruttive, anche se dimensionalmente differenti, restarono molto
simili sino alla scoperta della vetroresina, con la quale i costruttori poterono
veramente differenziare le forme e costruire barche specifiche per l’ambiente
nel quale dovevano muoversi. Questo decretò definitivamente la scissione del
kayak in marino e fluviale. La divisione diventò ulteriormente evidente con
l’avvento dell’era della plastica ed in particolare del polietilene, materiale
eccezionalmente resistente agli urti ed all’abrasione: il materiale ideale per
la costruzione delle barche fluviali.
Vediamo ora alcune caratteristiche dei due tipi capostipiti di kayak.
Il kayak da mare, o più semplicemente marino. Il kayak
marino, pur essendo oggi prodotto in moltissimi modelli e con svariate
caratteristiche sia di prestazioni che di volumi, così da adattarsi meglio al
tipo particolare d’impiego o di corporatura dell’occupante, è il tipo di kayak
che più è rimasto fedele alle linee ed alla filosofia originale. L’unica vera
variante è costituita dai materiali costruttivi che sono passati dal telaio di
legno e copertura in pelle di foca spalmata di grasso, prima al telaio metallico
ed alla tela impermeabile, poi alla vetroresina, al polietilene, al diolene ed
infine alla fibra di carbonio.
Oggi il kayak marino non è più utilizzato per la caccia, ma unicamente per scopi
ludici. Ciò nonostante, esso conserva in se l’originaria destinazione di barca
da escursione e per lunghe percorrenze, mossa con l’unico ausilio delle braccia
e di una pagaia.
Esso deve essere in grado di resistere alla forza del vento, mantenendo il più
possibile la rotta: quindi avrà una linea di chiglia molto pronunciata. Dovrà
resistere alle onde che normalmente s’incontrano in grossi specchi d’acqua
esposti come il mare: quindi avrà gli slanci di prua e di poppa molto
pronunciati e sufficientemente voluminosi. Dovrà essere veloce: quindi lungo e
stretto, ma non così stretto da diventare troppo instabile. In più, proprio per
la destinazione di barca da escursione e da crociera, deve poter stivare, e
all’asciutto, tutto il materiale necessario per essere autosufficiente anche per
più giorni: quindi deve avere dei gavoni stagni. I gavoni stagni assolvono anche
un’altra funzione importantissima: rendono la barca virtualmente inaffondabile.
Il kayak marino dovrà anche avere alcuni accessori che permettono di cavarcela
da situazioni impegnative anche se siamo da soli, ne cito solo alcuni: le linee
di sicurezza, le cime che corrono lungo la coperta, per aggrapparsi facilmente e
velocemente al kayak in caso di ribaltamento con fuoriuscita dal pozzetto od in
manovre d’emergenza. La bussola, non dimentichiamo che con il kayak marino molto
spesso si naviga in mare aperto o lontano dalla costa, quindi valutare l’azione
del vento o di una corrente, oppure sapere quale direzione prendere se non si
vede la destinazione, è molto importante. La pompa di sentina, per vuotare il
kayak nel caso d’infiltrazioni o di rientri in eschimo (In mare non abbiamo una
riva vicina dove sbarcare per vuotare l’acqua). La pagaia di riserva, può
capitare di romperla o di perderla, e non è bello tornare a riva con le mani;
ancora meno se c’è vento e onde. Queste sono alcune delle principali
caratteristiche di un kayak da mare; volutamente tralascio le dotazioni di
sicurezza personali che sono comuni ad entrambe le pratiche, che non devono mai
mancare ed essere sempre indossate.
Il kayak fluviale (o da torrente) è quello che, rispetto
all’antenato originario, ha avuto nel tempo l’evoluzione maggiore. D’altra parte
è naturale, l’uso del kayak nei torrenti, o più generalmente dove l’acqua è in
veloce movimento (Nel ben conosciuto gergo: acqua bianca), è stato un impiego
nuovo, e questo ha portato a dover adattare la barca al luogo dove doveva essere
utilizzata. In pratica, a riprogettare il kayak.
I modelli primordiali di kayak fluviale non erano altro che dei kayak marini in
miniatura con le punte arrotondate e costruiti con gli stessi materiali e,
purtroppo, spesso chi li utilizzava viveva delle esperienze da vero brivido:
bastava un piccolo urto e la barca si distruggeva, con immaginabili conseguenze
per l’occupante. Analogo destino hanno subito i “nostri temerari”, anche se con
meno frequenza e con conseguenze meno tragiche, quando i kayak erano costruiti
con il telaio in metallo e copertura in tela.
Fu però con la scoperta della vetroresina che il kayak fluviale decollò
veramente ed iniziò la sua gran diffusione. La vetroresina resisteva
egregiamente agli urti ed abbastanza bene alle abrasioni, perciò, a meno di
botte veramente forti e dirette, gli scafi permettevano di compiere cose
veramente valide… ma ancora non era arrivato al massimo.
Poi, venne l’era della plastica e, per fortuna, con i moderni materiali
plastici, è stato possibile la costruzione di barche robuste ed affidabili,
particolarità che finalmente hanno decretato la maturità costruttiva e di
progetto delle barche fluviali. Finalmente non ci fu che l’imbarazzo della
scelta per poter sfogare i propri desideri: se qualcosa non si trovava, era solo
perché nessuno aveva ancora pensato a costruirla.
Tutti i modelli di kayak fluviale, sia pur nelle differenze di linea e di volume
che l’impiego in una particolare specialità o nell’altra impongono, hanno in
comune alcune caratteristiche che ne caratterizzano l’impiego. Vediamone alcune.
Il kayak fluviale deve essere insensibile alla spinta della corrente: quindi
avrà il fondo piatto e senza spigoli. Deve poter “perforare” con facilità i
riccioli statici: quindi avrà gli slanci di prua e poppa appena accennati e poco
voluminosi, spesso piatti. Deve essere stabile e sopportare bene gli scossoni e
le turbolenze che l’uso in rapida comporta: quindi sarà abbastanza largo ed
arrotondato da ammortizzare facilmente improvvise variazioni di flusso che le
asperità del fondo generano. Deve essere maneggevole: quindi sarà abbastanza
corto da permetterci dei facili movimenti anche in spazi angusti.
Il kayak fluviale, al contrario del suo cugino marino, non dovrebbe avere in
coperta nessuna sporgenza o cima che si possa impigliare in rami od ostacoli del
percorso, specialmente quelli sotto il pelo dell’acqua nel caso di rovesciamenti
in rapida. Spesso anche le utilissime maniglie di presa e di trasporto,
costituiscono un possibile pericolo di impigliarsi e la tendenza attuale e di
non farle più “penzolanti” ma rigide e leggermente arretrate rispetto alla prua
ed alla poppa.
In comune con il kayak marino, il fluviale ha la necessità d’essere
inaffondabile e di imbarcare la minor quantità d’acqua possibile in caso di
rovesciamento e fuoriuscita dal pozzetto. Come abbiamo visto, nel kayak marino
quest’importantissima funzione è svolta dai gavoni stagni; nel fluviale, invece,
è ottenuta o con materiale espanso a cellule chiuse fissato internamente a prua
ed a poppa, riempiendo tutto lo spazio che non serve al pagaiatore, oppure con
dei palloncini sagomati (sacche) tenuti sempre ben gonfi d’aria. In caso di
dover trasportare del materiale, per esempio attrezzatura da campeggio, la
funzione di riempitivo e galleggiamento, può benissimo essere assolta dall’aria
residua delle sacche stagne nelle quali stiviamo il materiale, mettendole al
posto delle sacche di prua o poppa e fissandole bene. Le comuni norme di
sicurezza, ma soprattutto il buon senso, dicono di non utilizzare mai un kayak
privo delle sacche di galleggiamento: se si riempie d’acqua, e riusciamo ad
uscirne, possiamo quasi certamente dire addio al nostro caro compagno!
Tiriamo le somme. Dopo questa lunga chiacchierata è
evidente che le due tipologie di barche hanno in comune unicamente il nome,
kayak; ed è altrettanto evidente che l’unica altra cosa che le accomuna, è che
galleggiano sull’acqua. Le forme, le dimensioni, gli accessori e soprattutto
l’ambiente acquatico per il quale sono state progettate e costruite, e nel quale
danno il massimo delle loro prestazioni, le rendono differenti, specifiche,
uniche e non intercambiabili.
Questo non vuol dire che non posso andare in un grosso fiume con un kayak da
mare, certamente però non andrò mai in una rapida, dove finirei per schiantarmi
sul primo sasso dove la corrente mi sospinge e che la scarsa manovrabilità della
barca non mi consentirebbe di evitare.
Parallelamente non penserei neanche lontanamente di fare un’escursione di decine
di chilometri in mare con un kayak fluviale, non perché non si possa fare o sia
rischioso il farlo, ma solo perché non avrei a disposizione quegli accessori
indispensabili alla navigazione: il kayak fluviale non li ha. Non lo farei anche
perché potrei tenere una velocità di crociera ridottissima, proprio per la
forma, dimensione e progetto della barca e quindi le tappe sarebbero cortissime.
Non lo farei specialmente se dovessi aggregarmi ad un gruppo di barche marine,
perché finirei per sudare sette camicie per stare al passo con gli altri, mentre
i miei compagni sbufferebbero di noia perché l’andatura è da lumaca. Non lo
farei perché in mare l’unica costante è il movimento dell’aria e, se va bene, è
solo una leggera brezza, ma solitamente è vento, e dovrei continuamente
correggere la rotta. Lo farei ancora meno se dovessi stare in giro per diversi
giorni, perché non avrei abbastanza spazio da stivare tutto il materiale
all’interno del kayak e dovrei metterne parte sul ponte, alzando il baricentro e
rendendo così precario l’equilibrio, senza contare la maggiore presa al vento.
Non voglio con questo dire categoricamente che il mare sia solo per il kayak da
mare: se volessi giocare nel surf e sulle onde, ci andrei con un kayak fluviale
e sicuramente mi divertirei moltissimo. Tutto questo discorso serve per dire
che, anche nel mondo del kayak, l’evoluzione ha portato allo sviluppo di barche
specifiche che consentono di godere in sicurezza dell’ambiente nel quale
intendiamo muoverci, perché non approfittarne? Perché sprecare energie per
raggiungere la nostra meta spingendo qualcosa di non adatto, quando, una volta a
destinazione, potremmo impiegare le energie risparmiate per arrampicarci su un
promontorio e godere ulteriormente del luogo dove siamo sbarcati?
E’ vero, possiamo fare tutto quello che vogliamo, quindi siamo liberi di andare
in mare con qualsiasi cosa che galleggi ed avventurarci in escursioni
impegnative, e raccontarle poi agli amici una volta tornati a casa… Siamo anche
liberi di andarci senza le attrezzature adeguate alla situazione ed
all’ambiente, niente e nessuno lo impediscono. A volte lo facciamo anche senza
le dotazioni minime di sicurezza, nessuno ci controlla.
Io dico che è ora di cambiare. E’ ora di usare nella nostra pratica sportiva una
briciola di furbizia. E’ ora di utilizzare la barca più adatta alla cosa che
intendiamo fare, ed è anche ora di capire che, fra l’altro, questo è il motivo
stesso per il quale quella particolare barca esiste. E infine, è ora di ottenere
da quello che facciamo quel pizzico di valore aggiunto per esserne ogni volta
sempre più appagati e trarre da quest’appagamento un sempre nuovo stimolo per
progredire...
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