Aspettiamo con trepidazione l’arrivo di Francesco e Barbara che da giorni
sfidano il maestrale per giungere puntuali al nostro incontro all’Isuledda e
quando ci decidiamo a telefonare per sapere dove sono rimasti bloccati vediamo i
loro kayak avanzare faticosamente verso riva.
Il loro arrivo suscita l’entusiasmo degli amici ospiti nel campeggio che si
affollano intorno alle nostre imbarcazioni, dispensano consigli, lasciano
recapiti telefonici in caso di necessità e scattano foto ricordo; così,
nonostante i buoni proposti, non riusciamo a prendere il mare prima di un paio
d’ore, quando il maestrale ha rinforzato nuovamente.
Impieghiamo oltre due ore per superare Capo d’Orso ed il profilo del promontorio
forse più conosciuto ed amato ci tiene compagnia per l’intera serata; montiamo
il campo in una piccola baia riparata e mentre mi concedo qualche gioco sulle
onde assisto allo spettacolo elettrizzante di una bella razza che nuota sul pelo
dell’acqua.
La mattina dopo superiamo decisi il porto di Palau, sostiamo per uno spuntino a
Cala Elefante e per il pranzo a Cala Trana, belle spiagge isolate dove raccolgo
piccoli tesori a forma di conchiglie e sassolini; tagliamo la stretta
imboccatura di Porto Pozzo schivando imbarcazioni a motore che ci passano troppo
vicine e volgiamo le spalle al gigantesco villaggio turistico Marmorata che
occupa tutto lo spazio disponibile con 8 piani di terrazze rosa, preferendo
montare il campo sulla più silenziosa e solitaria isola Mormorata, dove ci
godiamo il tramonto caldo, il profilo di Lavezzi nitido all’orizzonte, il
profumo del pesce fresco cucinato, le costellazioni in bell’ordine e
l’impagabile compagnia dei due amici siciliani.
La sveglia suona prima dell’alba, Francesco e Mauro sono giustamente preoccupati
per il persistente vento contrario, Barbara è fresca come una rosa ed io sono un
po’ intontita, così mentre gli altri fanno colazione io smonto la tenda e poi mi
ritrovo a fare colazione da sola mentre gli altri smontano il campo...
Oltre Punta Falcone incontriamo una fitta colonia di meduse, piccole e
terribilmente urticanti, trasparenti dai filamenti molto lunghi ma anche di
forme mai viste, grassottelle, marroni e con tanti pallini violacei sotto il
gonnellino... per osservarle quasi non mi accorgo della bella torre del borgo
antico di Santa Tersa di Gallura che Barbara ricorda ancora con le vecchine
sulle porte a lavorare l’uncinetto...
Raggiungiamo finalmente Capo Testa che ci stordisce con le mille forme
fantastiche assunte dalle sue pareti rocciose, calette riparate dall’acqua
cristallina, paesaggi lunari occupati in maniera discreta da tanti liberi
campeggiatori, teli colorati stesi tra grotte naturali in cerca di un po’ di
refrigerio dalla calura estiva... Avrei voluto prolungare la breve sosta per
l’intera giornata, tanto mi hanno colpito le rocce battute dal vento e lavorate
dall’acqua, figure strane che sembrano uscite dalle favole, tra le quali io
talvolta scorgo personaggi dei fumetti ma nessuno mi crede...
Proseguiamo verso Capo Rosso con una leggera brezza a favore che permette ai
nostri due compagni di viaggio di gonfiare le vele azzurre opportunamente armate
a prua, scegliendo di pagaiare al largo per contenere la furia aggressiva degli
altoparlanti degli stabilimenti balneari che ormai accompagnano gracchianti gli
esercizi di acquagym dei poveri bagnanti… scendiamo per una sosta su una bella
spiaggia assolata e battuta dal vento, sabbia bianca fine che sale lungo le dune
coronate da qualche tamerice sotto la cui ombra troviamo riparo... i due amici
catanesi dormono saporitamente e non si accorgono della visita fulminea di una
lucertola impertinente che scala cosce e glutei, della danza leggera di
libellule giganti dagli anelli colorati di sgargiante celeste e verde acido,
della faticosa nuotata di una piccola sanguisuga che si dimena nelle acque dello
stagno retrodunale.
Passando timidamente tra i surf che sfrecciano veloci sulle onde, impieghiamo
poco più di un’ora per raggiungere Portobello, passando timidamente tra i surf
che sfrecciando veloci sulle onde e godendoci il tramonto facendo esercizi di
allungamento, scrivendo le pagine del diario (tutti ne hanno uno, tranne Mauro),
allestendo tra i kayak un ingegnoso stendi - panni usando le pagaie di riserva
per tendere il filo, perlustrando la lunga spiaggia alla ricerca dei tesori
abbandonati dal mare.
La mattina del 16 agosto attraversiamo un tratto di costa spettacolare, Costa
Paradiso, istantaneamente ribattezzata “Giardini di Pietra”, una fitta rete di
piccole insenature e calette nascoste dietro fasci di roccia, come fossero tanti
mazzi di asparagi che spuntano dalle acque basse e trasparenti, un rincorrersi
continuo dentro e fuori gli scogli lavorati dal mare, un luogo di straordinaria
bellezza fortunatamente poco battuto dai turisti che per spingersi fin là
dovrebbe per lo meno fare la fatica di pedalare su un pattino, un’opera d’arte
naturale tanto strepitosa da non risentire del vicino villaggio di case con
piscina e cremagliera e cascata in mare, un lungo momento di magico divertimento
tra picchi di roccia dalla forme più bizzarre, un coniglietto di pietra rossa
annuisce compiacente con le sue orecchie perfettamente simmetriche, il gioco del
nascondino per me e Mauro e la pesca fortunata per Barbara e Francesco, 4
occhiate gustosissime che mi scatenano il bisogno impellente di apprendere
l’arte antica della pesca!
Ci godiamo la pausa pranzo arroccati sui ciottoli giganti come uova di dinosauro
in un fazzoletto di spiaggia incuneata tra le alte pareti del Monte Tinnari,
parati dal vento che rinforza e costringe i “gommonauti” a ripiegare in porto.
Scaldati dal sole gentile del mezzogiorno ci divertiamo per l’interpretazione
comica di Mauro, che si esibisce con preoccupante accanimento nel ruolo
esilarante di “Compattatore di Scatolette”, schiacciandole con maestria tra due
massi bianchi per occupare poco spazio nella pattumiera da kayak.
Prima di scegliere dove montare il campo per la notte, facciamo uno scalo
tecnico a Isola Rossa per integrare la cambusa e la riserva di acqua; i bagnanti
accalcati sotto gli ombrelloni della spiaggetta prospiciente il porticciolo
turistico muoiono di curiosità mentre stiviamo le provviste e ci guardano con
facce perplesse ed incredule quando spieghiamo che siamo diretti ad Alghero!
La mattina dopo anticipiamo la sveglia per cercare di prendere il mare prima
delle 9 e, nonostante le chiacchiere fitte fitte che accompagnano sempre la
colazione, riusciamo a contenere un po’ i tempi; decidiamo di puntare diretti
verso Castelsardo, una traversata di circa 3 ore e mezza, e appena in acqua ci
godiamo lo spettacolo indimenticabile di un foltissimo stormo di cormorani che
lascia l’isolotto di fronte in una interminabile fila nera che vola ordinata
sulla superficie del mare.
Cediamo alla tentazione di visitare il paesino arroccato sul mare, mura di
pietra lavica e torri campanarie impreziosite da maioliche policrome, vicoli
stretti e scalinate ripide, cestini intrecciati a mano sulle porte di casa e
tanti turisti che insieme a noi scelgono di visitare il bel Museo dell’intreccio
dove sono conservate in teche di vetro fumè curiosi “su fassoi” per la pesca
lacustre, tipiche imbarcazioni sarde di fasci di canne assemblate con corde di
giunco molto simili alle canoe.
Francesco freme per il caldo e Mauro scalpita per l’attesa, così dopo un caffè
al chiosco della spiaggia ci facciamo largo tra le signore addossate ai nostri
kayak e, mentre quelle si lamentano che abbiamo occupato troppo spazio, noi
raccontiamo le nostre gesta e le lasciamo tutte a bocca aperta!
Il tratto di costa fino a Porto Torres è brutto e deprimente, rovinato
dall’abusivismo edilizio che hanno provato a mascherare per sviluppo turistico,
vecchie case desolate miracolosamente sospese a due metri sul livello del mare,
spogliate dalla furia del mare dei muretti di recinzione e delle scalinate di
accesso alla spiaggia, un villaggio paradossalmente chiamato Eden Beach.
Tra tanta desolazione, però, riusciamo a scovare una piccola oasi di insperata
bellezza, una lunga spiaggia di sabbia bianca coronata da dune alte e
incontaminate, distese di gigli selvatici a perdita d’occhio ed un profumo
inebriante che accompagna il tramonto colorato d’arancio... immersi in tanta
bellezza, perdiamo un po’ la testa: Mauro in uno slancio poetico proclama che
sembra di essere al cimitero, mentre Francesco e Barbara ci confidano finalmente
che sono partiti in 2 e torneranno in 3!
Ci metto una buona mezz’ora per riprendermi dalla notizia che diventerò presto
una “zia di kayak”!!!
E mi dimentico anche che abbiamo appena eseguito uno sbarco da manuale, uno dopo
l’altro, senza bisogno di dirci niente, pochi sguardi d’intesa per mantenere le
giuste distanze, il più forte che scende per primo, gli altri che lo seguono in
sequenza ordinata e ritmica, contano le onde e poi si liberano tutti velocemente
del paraspruzzi, aiutano gli altri a recuperare i kayak per evitare il risucchio
dei frangenti e si godono insieme il momento di adrenalina… un gruppo affiatato
ed esperto, uno sbarco perfetto!
La mattina dopo prendiamo il mare un po’ tristi perché sappiamo che Barbara
dovrà fermarsi a Porto Torres per raggiungere l’ospedale di Sassari per i primi
controlli di routine... chiediamo a dei passanti una foto tutti insieme, 4
kayakisti abbronzati ed 1 nascituro invisibile, costeggiamo la lunga spiaggia di Platamona e ci concediamo una sosta rigenerante sotto la bella Torre di
Abbacurente proprio quando il mare assume tutte le possibili gradazioni del blu
ed in cielo si rincorrono bianche nuvole batuffolose...
Proseguiamo solo in tre oltre il porto mercantile di Porto Torres, imponente
muraglione che devia le correnti marine ed i kayak lo sentono; la centrale
termoelettrica e poco oltre il pilone dell’alta tensione, sotto il quale
avvistiamo un nutrito accampamento di pescatori sardi con famigliole al seguito,
compresi bambini nudi, cagnolini microscopici, generatori elettrici e
chiacchiere notturne… il vento ci costringe e mangiare dietro le tende e a
dormire a sobbalzi... l’imbarco della mattina dopo è il più sporco che mi sia mai
toccato di eseguire, la prua del mio povero kayak spunta tra i frangenti nera di
alghe, lunghi filamenti di poseidonia appesi ai tientibene, intrecciati sulle
cime del ponte e aggrovigliati intorno alla pagaia di riserva... mezz’ora per
pulire tutto.
Stintino si rivela presto una gran delusione: arrivare alla Pelosa via mare è
tutt’altra cosa che ammirarla nelle cartoline perché la spiaggia bianca di
sabbia fine e il fondale di un verde caraibico sono soffocati da motoscafi e
bagnanti che in agosto affollano lo stretto braccio di mare fino
all’inverosimile!
Un po’ emozionati perché la prua del kayak di Francesco volge finalmente verso
sud, dopo ben 21 giorni di navigazione, affrontiamo ignari il tratto più
spettacolare della costa sarda, quello tra Capo del Falcone e Porto Ferro.
Appena superata la Torre della Pelosa, infatti, rimaniamo tutti e tre a bocca
aperta, letteralmente, di fronte alla costa alta, frastagliata, selvaggia, nera
ed inaccessibile!
Scogliere alte ed impervie, colate laviche a formare pieghe e stratificazioni
affascinanti, scogli affioranti in ogni dove, pochissimi punti di sbarco e
qualche caletta fuori mano dove a fatica arrivano i pescatori locali, di turisti
neanche l’ombra... un vero angolo di paradiso!
Barbara mi ha lasciato in dote la sua lenza e Francesco mi propone di pescare,
visto che per goderci lo spettacolo pagaiamo sottocosta e la brezza a favore ci
aiuta a procedere; quel tratto di mare è pescosissimo e ci regala occhiate,
barracuda e tracine tigrate, che richiedono operazioni chirurgiche meticolose ma
che si sposano benissimo con il cous-cous al sugo di melanzane che ci cuciniamo
a pranzo... ci imbarchiamo solo dopo le quattro del pomeriggio, dopo una
doverosa siesta al fresco dell’ombra naturale che copre lentamente un tratto
della spiaggia di ciottoli...
Passiamo velocemente davanti al vecchio borgo abbandonato dell’Argentiera, un
tempo miniera feconda poi oggetto di un’insensata speculazione edilizia ed oggi
finalmente tutelata dal parco minerario che però non ha saputo cancellare le
profonde ferite inferte dalla cattiva gestione del territorio, solo le vecchie
fotografie in bianco e nero rendono omaggio al passato laborioso di questa
piccola comunità segnata dal sudore e dalla fatica... vale la pena fermarsi e
riflettere.
Poco oltre Capo Argentiera ci accoglie un bel vento forte e teso che ci fa
planare sull’acqua diretti veloci verso Porto Ferro, raffiche che richiamano un
nutrito gruppo di gabbiani in volo radente sul pelo dell’acqua, circondano i
nostri kayak sfruttando anche loro il vento a favore, ali aperte sul mare blu,
ventre bianco come la spuma dei frangenti, piumaggio marrone come i colori della
costa che si avvicina... in un batti baleno arriviamo a Porto Ferro, felici come
bambini che hanno appena finito di giocare al loro gioco preferito, bagnati e
sporchi di salsedine ma appagati da una giornata carica di emozioni e spettacoli
della natura!
Sbarchiamo sulla spiaggia lunga e deserta, alte dune retrostanti e torri a varie
altezze e di varie epoche, che aspettano con noi il nostro primo tramonto sul
mare, una palla di fuoco che tinge tutto di rosso, anche le nuvole cariche di
pioggia che ci hanno accompagnato per l’itera giornata.
La mattina dopo ci attende la pagaiata più impegnativa, 4 ore piene senza mai
toccar terra con un mare stato 4 certamente: vento al traverso, poi al
giardinetto, poi di poppa quando finalmente avvistiamo Capo Caccia e ci
infiliamo dietro l’Isola Foradada per riprendere un po’ di fiato... sotto le
pareti a strapiombo si forma quella che ormai chiamo familiarmente “lavatrice”,
un tripudio di onde e spruzzi che solo in parte si possono governare, spesso
sono loro a governare te ed il kayak, un dondolio continuo che mette allegria se
non si teme di essere sballottati a destra e a manca dell’estro del mare... per un
certo tratto la “lavatrice” ha seguito il programma di “centrifuga” e sul più
bello si è trasformata in “frullatore”, ma appena superata l’impressionante
imboccatura delle Grotte di Nettuno, posta proprio un palmo sulla creste delle
onde spumeggianti, il mare diventa una tavola blu e attraversiamo Porto Conte in
tutta calma, assaporando le emozioni che ci ha voluto regalare oggi il mare.
Scendiamo per la pausa pranzo in una caletta rocciosa e poco frequentata,
piantiamo i nostri ombrellini nei fori circolari scavati dall’acqua, mangiamo a
quattro palmenti le ultime scatolette di tonno e fagioli e poi anche quelle
rocce sconnesse e appuntite ci sembrano morbide e confortevoli!
Trascorriamo l’ultima notte in campeggio, ricevendo notizie da Barbara sulla
crescita istantanea del piccolo pretendente al trono, aspettando che Francesco
torni dalla visita in ospedale alla sua bella e bighellonando tra i vicoli di
Alghero, mollemente adagiata sul mare e protetta da alti bastioni aperti proprio
di fronte a Capo Caccia...
Il viaggio sta per volgere al termine, ma sappiamo già di voler riprendere
presto... un viaggio, come ha scritto Francesco, “finalizzato alla ricerca
dell'essenzialità, dell'amicizia e - perché no - dell'amore?”.
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