Perché scrivere dei pannelli solari?
Capita sempre più spesso che ci chiedano notizie in merito ai pannelli solari
che da diversi anni portiamo in viaggio sulla coperta posteriore dei nostri
kayak.
Ogni volta, per rispondere, è un continuo cercare di ricostruire i vari elementi
che abbiamo considerato nella scelta, ed ogni volta sono necessari ulteriori
chiarimenti, perché ci capita sempre di dimenticare qualche cosa nella
descrizione.
Abbiamo così deciso di dedicare ai pannelli solari un articolo specifico,
cercando di essere esaustivi sull'argomento, per lo meno per quanto riguarda
quelli che utilizziamo noi, fornendo le indicazioni generali e di base per il
calcolo e la scelta.
Un po' di storia.
Ai primordi dei nostri viaggi non si poneva il problema di ricaricare le
batterie: le fotocamere erano in maggioranza analogiche, le videocamere compatte
erano ancora rare, ed i cellulari poco diffusi e, soprattutto, accesi ed
utilizzati per il tempo minimo indispensabile al loro utilizzo.
Abbiamo iniziato nel 2006 a sentire il bisogno di avere una riserva di energia
al seguito, quando ancora viaggiavamo con una scorta abbondante di batterie non
ricaricabili e la maggioranza delle apparecchiature elettroniche montavano delle
batterie standard... ma stavano aumentando le apparecchiature con batterie di
formato dedicato...
Sigillatura del passacavo con lo stucco...
Monocristallino o policristallino?
Le celle in silicio monocristallino hanno una buona efficienza in condizioni di
inclinazione ottimale (90° rispetto al sole), ma questa efficienza generalmente
decade velocemente al diminuire dell'angolo di incidenza.
Le celle in silicio policristallino hanno circa il 15% in meno di efficienza
rispetto al tipo precedente, ma la mantengono abbastanza costante al variare
dell'angolo di esposizione.
Quindi, per il montaggio sulla coperta del kayak, sempre esposti al sole, ma
quasi mai perfettamente, abbiamo deciso di optare per il tipo policristallino.
Inoltre, per livellare ulteriormente l'esposizione, abbiamo deciso di cercare
dei moduli con un pannello di protezione in policarbonato con superficie rugosa
a multiprismi.
Abbiamo avuto poi modo di provare che se si tiene bagnato la superficie del
pannello, con le rughe piene d'acqua (elemento che in mare certo non manca),
oltre che raffreddare il pannello e quindi stabilizzarne il rendimento, si
aumenta l'efficienza complessiva del sistema per via della diffusione maggiore
della luce sul pannello operata dall'acqua.
Il primo pannello.
All'inizio dell'estate del 2007 abbiamo acquistato il primo pannello solare a
12V da 3,5W, compatto ed impermeabile, che alimentava una batteria tampone al
piombo da 12V - 3,3Ah, sigillata.
Abbiamo fatto il primo buco sulla coperta del kayak per il passaggio del cavo,
rinforzandolo meccanicamente con un tradizionale passacavo e sigillando il
tutto, dentro e fuori, con dello stucco che non secca (per poterlo rimuovere
agevolmente dopo l'utilizzo), iniziando così la nostra avventura verso il
progresso... verso il risparmio energetico e verso un minore spreco di
batterie...
Abbiamo derivato dalla batteria una presa accendisigari da auto ed utilizzato i
normali caricatori da auto per ricaricare le varie apparecchiature.
Dopo alcuni giorni di utilizzo in viaggio, ci accorgemmo che il sistema era
carente: il pannello funzionava bene, tuttavia la batteria non si caricava
completamente.
E non poteva essere diversamente, perché per caricare una batteria da 12V
nominali, sono necessari almeno 13,5V di tensione in ingresso ed il nostro
pannello erogava 12V perfettamente orientato verso il sole... ma solo nelle
brevi soste lo poteva essere, per il resto del tempo era orizzontale e sempre in
oscillazione.
In queste condizioni la batteria si era assestata velocemente sui 10V, e quindi
anche le ricariche delle apparecchiature erano incomplete ed avevano una scarsa
durata.
Questo era un pannello previsto per la carica diretta di batterie a tensione più
bassa, non per caricare una batteria tampone di pari tensione.
Abbiamo pagato il prezzo di un acquisto fatto troppo in fretta, all'ultimo
momento e senza un'attenta valutazione... tuttavia, anche se in maniera
laboriosa, abbiamo finito decorosamente il viaggio.
Il secondo pannello.
Era evidente che dovevamo cambiare il pannello solare e trovarne uno di tensione
adeguata alla carica della batteria.
Con delle prove effettuate sul pannello che avevamo (cambiando l'inclinazione
verso il sole e considerando che doveva lavorare orizzontale), abbiamo rilevato
che ci serviva una tensione nominale di circa il 10% in più della tensione di
carica della batteria, cioè 13,5 + 1,35 (10%) = 14,85, quindi 15V; ed è scattata
la caccia al pannello.
La ricerca è stata un po' frustrante perché non riuscivamo a trovare un pannello
che fosse adatto sia per tensione di uscita che per dimensioni fisiche.
Poi, dopo tante telefonate a distributori e produttori, siamo arrivati ad un
produttore che aveva in casa dei "fondi di magazzino" avanzati da un precedente
impianto effettuato, ma che per noi erano perfetti!
Tuttavia non si trattava di pannelli pronti, solo di strisce semilavorate da
assemblare ed impermeabilizzare, ma almeno avevamo qualche cosa per iniziare.
I nostri pannelli solari autocostruiti.
Un battiscopa di plastica, ex tamponamento inferiore per i mobiletti da cucina,
poteva andare bene per fornire il supporto meccanico di accoppiamento di due
pannelli; e del silicone acetico trasparente in cartucce (tipo che ha dimostrato
la maggiore resistenza ai raggi solari e all'acqua salata, senza decomporsi e
formare alghe), poteva fornire l'adeguato ancoraggio meccanico ed isolante ai
pannelli e relativi conduttori.
I terminali negativi li abbiamo saldati insieme. Mentre i terminali positivi,
per evitare ricircolazioni interne di corrente tra le strisce (oltre che la
batteria si scarichi attraverso i pannelli quando questi sono poco esposti alla
luce e non sono in grado di ricaricarla), li abbiamo disaccoppiati con due
corposi diodi da 5A.
Dal pannello usciva un solo cavo a due conduttori da 1mmq (ampiamente
sovradimensionato per la bassa corrente che lo doveva attraversare).
Una volta assemblato il tutto e collaudata la resa e la funzionalità di entrambe
le strisce, è iniziato il lavoro di sigillatura ed impermeabilizzazione per
farle resistere all'esposizione continua al sole e all'acqua salata dei lunghi
viaggi.
I pannelli finiti, perfettamente esposti a 90° al sole, davano a vuoto una
tensione di 15V, ed una corrente massima di 0,5A collegati ad una batteria quasi
scarica. Tuttavia, visto che normalmente dovevano posizionarsi in orizzontale,
li abbiamo messi così per calcolarne la potenza, rilevando una tensione di 13,5V
ed una corrente di 0,4A. In questa situazione la potenza del pannello risultava
13,5V x 0,4A = 5,4W.
Calcolare la potenza del pannello solare è fatto per pura accademia, solo per
effettuare un rapido confronto con altri prodotti analoghi. L'unico dato per noi
importante era la corrente che il nostro pannello era in grado di erogare
durante la carica normale, quindi 0,4A.
La batteria tampone.
Serviva ora trovare la batteria adatta che potesse stare sempre in carica senza
deteriorarsi.
Considerato che la corrente massima di carica di una batteria per soddisfare la
situazione sopra dichiarata è circa di 1/20 della sua corrente massima di
scarica (espressa in Ah: cioè la corrente massima che può erogare la batteria
per scaricarsi completamente in un'ora, senza deteriorarsi), la capacità della
batteria, quindi, si ottiene moltiplicando 0,4A x 20 = 8Ah.
La batteria commerciale più vicina è quella da 7,2 Ah, normalmente utilizzata
per i gruppi di continuità (UPS) e come alimentazione tampone negli allarmi. La
tipologia della batteria, per un impianto come questo, a carica continua e senza
regolatore, obbliga la scelta sul tipo al piombo che, anche se più pesante di
altri tipi, è molto resistente e facile da reperire ad un costo limitato.
La conseguenza diretta di un impianto così progettato è che per caricare al
massimo una batteria completamente scarica saranno necessarie 20 ore. Tuttavia,
se ad ogni carica degli accessori scarichiamo completamente la batteria tampone,
significa che qualche cosa non va nel nostro impianto ed andrà rivisto.
Niente vieta di montare una batteria tampone di capacità più grande ed avere al
seguito una riserva maggiore di energia, sempre che non siano un problema
l'aumento dell'ingombro e del peso.
La verifica della batteria.
Avevamo predisposto il pannello e la batteria che poteva caricare, ma con questa
batteria cosa potevamo caricarci? Era immensamente grande per le nostre
esigenze, oppure microscopica?
Era indispensabile sapere questa cosa prima di partire per un viaggio.
Certo, normalmente si ragiona al contrario, prima si decide quanta energia ci
serve, e poi si cerca il modo di averla disponibile. Questo normalmente... cioè
quando non si hanno problemi di dimensioni, di potenziali disturbi alla
navigazione e di possibile intralcio alle manovre di emergenza e di traino...
Quindi noi siamo partiti dalla fine, dallo spazio "sicuro" che avevamo a
disposizione, per arrivare alla massima potenza generabile, e poi stimando "ad
occhio" che una batteria da 7,2 Ah andava benissimo e che, avendo assemblato due
gruppi di pannelli, due batterie (una Tatiana ed una io) andavano ancora meglio.
Non scandalizzatevi se dopo una sequenza di calcoli, anche se semplici, parliamo
di stima ad occhio... anche questa è un calcolo...
Misurate la dimensione fisica delle vostre nuovissime batterie agli ioni di
Litio - Li-Ion (o Nichel-metalidrato - Ni-MH), calcolatene il volume,
moltiplicatelo per 3 (fattore medio di riduzione dei volumi a parità di capacità
delle batterie Li-Ion o Ni-MH rispetto a quelle al piombo), poi sommate i volumi
di tutte le batterie che presumete dover caricare ogni giorno... confrontate
questo volume ottenuto con il volume della vostra antiquata batteria al piombo,
ed ecco fatto il calcolo: se il volume da caricare è inferiore, la vostra
batteria è sufficiente, in caso contrario è troppo piccola.
Questo confronto si può fare ancora più ad occhio: mettete vicine le batterie e
stimatene approssimativamente i volumi. Se le differenze sono evidenti, non vi
servono ulteriori calcoli... altrimenti...
Possiamo fare anche un calcolo di confronto più da elettrotecnico, anche se
sempre abbastanza "spannometrico", sia sulla massima corrente contemporanea
richiesta durante la carica, sia sulla capacità disponibile di carica.
Prendiamo le nostre batterie da caricare come nell'esempio precedente,
leggiamone la capacità in Ah, anzi in mAh (come comunemente indicato), teniamo
buono il solo dato di corrente e sommiamo quelli di tutte la batterie che
caricheremo contemporaneamente (alcuni caricatori rapidi arrivano in carica
quasi alla massima corrente sopportabile dalla batteria da caricare). Otterremo
così la massima richiesta di corrente della carica: se questa corrente è
inferiore alla massima corrente di scarica della batteria tampone, la nostra
batteria è adeguata (nel nostro caso 3,2A di richiesta massima a fronte di 7,2A
disponibili). Se questa corrente risulta superiore, dovremo ridurre il numero
delle batterie da caricare contemporaneamente o ricalcolare l'impianto.
Vediamo ora quanti cicli di carica possiamo effettuare senza ricaricare la
nostra batteria tampone.
Prendiamo le solite batterie che presumiamo di dover caricare giornalmente,
leggiamo il solito dato di capacità in Ah o mAh ed annotiamolo. Le batterie sono
di solito da 3,7V o da 4,2V, ma visto che noi le caricheremo da una batteria a
12V e che tutta l'eccedenza di tensione sarà dissipata in calore nel caricatore
(a meno che non abbiate dei caricatori da auto con trasformatore elettronico
DC-DC, ancora relativamente poco diffusi), per calcolare la potenza utilizzata
prenderemo la tensione di 12V.
Quindi moltiplichiamo per 12 la corrente di ogni batteria letta prima, sommiamo
i valori trovati ed arriveremo ad un numero che esprime la potenza in W (Watt,
se abbiamo utilizzato la corrente in A), oppure in mW (milliWatt, se abbiamo
utilizzato la corrente in mA) necessaria per la nostra carica.
E' importante utilizzare delle grandezze omogenee per tutti i calcoli proposti
in questo scritto, cioè o tutti A e V o tutti mA e V; in caso contrario si
rischia di arrivare a delle conclusioni errate.
Ora dividiamo la potenza della nostra batteria tampone (nel nostro caso 7,2A x
12V = 86 W) per la potenza di carica ottenuta (nel nostro caso 40W) ed otteniamo
quanti cicli di carica possiamo effettuare senza ricaricare la batteria (nel
nostro caso 86/40 = 2,1 cicli).
Questo sistema pratico di calcolo, così come le altre semplificazioni proposte,
faranno inorridire i puristi dell'elettrotecnica, abituati a tener conto di
correnti di perdita, di deriva termica, di situazione peculiare di utilizzo, di
diverse costanti e di tanti altri fattori più o meno noti, per arrivare al dato
richiesto.
Ma da elektroteknopratikonkayaker quale sono, vi assicuro che questo calcolo
approssimato da dei dati che sono perfettamente utilizzabili per lo scopo
richiesto, e inoltre sono stimati in eccesso, quindi ancora più sicuri.
Altri tipi di batterie.
Potremmo anche decidere di utilizzare altri tipi di batterie, ad esempio Li-Ion
o Ni-MH, tuttavia queste batterie non possono essere collegate direttamente alla
sorgente di carica e non possono restare in carica oltre il necessario (pena la
loro distruzione), ma necessitano di uno speciale caricatore "ad impulsi".
Per fare un esempio di come questi caricatori funzionano, possiamo idealmente
pensare di dover piantare un lungo chiodo fino ad una sporgenza ben definita.
Quindi daremo alcune martellate e poi controlleremo la sporgenza del chiodo. Nel
caso non sia giusta, daremo ancora qualche martellata, poi ricontrolleremo, e
così via fino a quando la sporgenza del chiodo sarà quella voluta.
Allo stesso modo, questi caricatori leggono la tensione iniziale della batteria
e ne identificano il tipo, poi le mandano alcuni impulsi di carica, quindi
leggono la tensione che ha raggiunto, se è quella voluta arrestano la carica,
altrimenti danno ancora una serie di impulsi e ripetono la misura, e avanti così
fino al raggiungimento della tensione di carica richiesta.
Questi caricatori rappresentano un ulteriore punto di possibile guasto e quasi
annullano il beneficio della riduzione di ingombro ottenuto con l'utilizzo delle
batterie sopra elencate.
Quindi noi restiamo dell'idea che il sistema debba essere il più semplice
possibile, e più è semplice, più diventa affidabile...
L'utilizzo del sistema.
Abbiamo utilizzato la prima volta questi gruppi fotovoltaici nella spedizione in
Scozia del 2008.
Visto l'impiego particolarmente stressante al quale sono sottoposti, ad ogni
sosta è consigliabile asciugare l'eccesso di acqua salata, così da ridurre gli
inevitabili depositi di sale e calcare sul pannello di protezione delle celle;
inoltre, dopo ogni viaggio, necessitano di un accurato lavaggio (anche con
anticalcare) e di una meticolosa revisione per ripristinarne
l'impermeabilizzazione.
Ancora oggi, dopo 6 anni di utilizzo sia in estate che in inverno, dimostrano
una buona efficienza e pensiamo di continuare ad usarli finché resisteranno...
E' ovvio che in estate, con le giornate molto lunghe ed il sole quasi sempre
presente, funzionano meglio che in inverno, quando le giornate sono corte e
magari il cielo resta coperto per diversi giorni. Ma basta essere un po'
parsimoniosi con i consumi, e la ricarica è assicurata comunque.
Conclusioni.
Attualmente si trovano in commercio degli ottimi apparecchi pronti all'uso con
batteria agli ioni di Litio incorporata ad alta capacità di scarica e, anche se
generalmente non stagni, promettono rendimenti incredibili (dai 30W ai 60W)
anche con un tempo limitato di esposizione al sole, ed hanno un costo molto
allettante.
Ma noi siamo ormai così affezionati ai nostri ingombranti, poco efficienti, ma
sempre funzionanti apparecchi che, se dovessero finire prematuramente la loro
vita, cercheremmo di trovare ancora degli elementi sfusi da assemblare a nostra
misura... così da poter continuare la saga dell'autocostruzione artigianale dei
generatori solari di energia...
Testo di Mauro Ferro, immagini di Mauro Ferro e Tatiana Cappucci
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