Il catalogo della mostra offre un’ampia selezione di opere grafiche prodotte da
alcune tra le più celebri artiste Inuit contemporanee dell'Artico canadese, un
bel catalogo trilingue (italiano, inglese e francese) corredato dalle biografie
delle artiste ed introdotto da un breve saggio della curatrice, oltre che dalla
prefazione di Antonia Pasqua Recchia, Direttore Generale per il paesaggio, le
belle arti, l’architettura e l’arte contemporanee del Ministero per i beni e le
attività culturali, e del Soprintendete al Museo Nazionale Preistorico
Etnografico “Luigi Pigorini” Luigi La Rocca.
La relazione dell’Ambasciatore del Canada in Italia, S.E. James A.Fox, che
insieme al ministero italiano ha sostenuto l’allestimento della mostra e la
pubblicazione del catalogo, si apre con una citazione del celebre pianista
canadese Glenn Gould, tratta dal suo documentario radiofonico “The Idea oh
North” del 1967: “Succede davvero qualcosa di singolare quando ci si addentra
nel Nord e si acquisisce consapevolezza delle opportunità creative che la realtà
fisica dell’ambiente offre e […] si arriva a misurare il proprio lavoro e la
propria vita in relazione a tali stupefacenti possibilità creative: si diventa,
di fatto, filosofi”. L’ambasciatore trova anche un interessante collegamento
letterario con la cultura italiana ricordando che nel libro di Italo Calvino
“Sei cose da ricordare per il prossimo millennio” lo scrittore menzionava i
valori che riteneva imperativi per il futuro della letteratura: Leggerezza,
Rapidità, Precisione, Visibilità, Molteplicità e Coerenza. Tutti valori, osserva
l’ambasciatore, pienamente accolti ed esaltati dai disegni presentati dalle
donne Inuit nella esposizione italiana.
E’ sempre l’ambasciatore a ripercorrere brevemente la storia dell’arte dei
popoli nativi del Canada.
Cape Dorset è sempre stato un luogo centrale per lo sviluppo dell'arte Inuit sin
dal tempo dei primi esploratori europei ed anche grazie al contributo di James
Houston, di cui abbiamo dato ampio riscontro nella scheda relativa al volume “Confessioni
di un abitatore di igloo”, la Compagnia della Baia di Hudson comincia ad
esportare non solo pellicce ma anche opere d'arte. Houston era infatti un
accanito fumatore e che un giorno, un abile cacciatore e scultore di zanne di
tricheco, Oshweetok Ipeelie, esprimesse il suo apprezzamento per la grande
pazienza ed abilità dell’uomo che aveva disegnato con tanta precisione
l’immagine di un marinaio su ogni pacchetto di sigarette. Houston cercò allora
di spiegare il principio della stampa sfregando della fuliggine su una zanna di
tricheco incisa e premendoci sopra qualche foglio di carta igienica: ottenne
così una semplice riproduzione che entusiasmò a tal punto il cacciatore-incisore
da convincerlo a cimentarsi subito con quella nuova produzione artistica.
Il grande interesse del mercato canadese ed internazionale ha poi sollecitato
l'amplificarsi delle stampe ed incisioni Inuit: negli anni Cinquanta uomini e
donne avevano ruoli distinti anche nell’arte, i primi impegnati a seguire
Houston in sculture e stampe, le seconde a lavorare con la di lui moglie Alma
per produrre capi di vestiario e borse con applicazioni. Con il tempo, invece,
le ispirazioni per le stampe vennero dai disegni ritagliati nella pelle di foca
che le donne usavano per le decorazioni di abiti e coordinati e così, in un
breve volgere di anni, il lavoro di alcune artiste ha permesso loro di
emanciparsi dal ruolo tradizionale di madri di famiglia dedite alla cura dei
figli, alla cucitura delle pelli e alla alimentazione della lampada con grasso
di foca.
La curatrice afferma infatti che “nel corso degli ultimi cinquant’anni la
produzione dell’arte di è gradualmente attestata come il terreno privilegiato di
espressione per le donne Inuit, oltre che come nuova – e imprevista – fonte
d’introito che, offrendo inaspettate occasioni di indipendenza economica, ne ha
favorito l’affrancamento dal confino nel ruolo limitante di supporter del
cacciatore”.
Pitseolak Ashoona, Island Hunters, 1978 – incisione su pietra, stencil
– 43x50 cm.
La mostra ed il catalogo presentano una cinquantina di opere, disegni e stampe
di sei artiste Inuit per la prima volta esposte in Italia.
Le cinque artiste in mostra hanno tutte la capacità di cogliere le infinite
suggestioni del loro mondo, tanto nella rappresentazione delle attività
all’aperto, che nella riproposizione di storie e leggende, quanto ancora nelle
suggestioni dell’ambiente urbano e casalingo.
Il tratto sembra talvolta infantile ma nasconde una profonda ricerca culturale
oltre che interiore.
La mostra presenta bene anche il passaggio generazionale e quasi familiare che
ha caratterizzato e caratterizza tutt’ora la fervida produzione artistica di
Cape Dorset: Pitseolak Ashoona è la madre di Napachie Pootoogook e la nonna di
Annie Pootoogook e tutte e tre sono in mostra a Roma.
Annie Pootoogook, Windy Day, 2006 – litografia – 56,5x38,5 cm
Shuvinai Ashoona è pure figlia d’arte perché entrambi i genitori erano artisti
affermati e si distingue per l’originalità dei disegni e per la cura dei
dettagli. Suoi sono i miei disegni preferiti, quelli delle uova e delle tende
del campo estivo, così stilizzate ma ricche di particolari da riuscire
nell’intento di trasportare l’osservatore in un altro tempo ed in un altro
luogo.
Shuvinai Ashoona, Summer Tent 2, 2007 – inchiostro – 66,5x51cm
L’autrice del disegno di copertina è invece Ningeokuluk Teevee: Twosome in
flight, inchiostro e matite colorate del 2006 (50,9x66,2 cm). Lei è nata nel
1963 e non solo ha sempre vissuto nell’insediamento permanente di Cape Dorset ma
lavora a tempo pieno per il governo municipale, dedicando all’arte solo il tempo
che le lascia libera il lavoro, la casa e la famiglia: “Non posso sottrarmi ai
miei doveri di moglie e madre né al mio lavoro... ma neanche posso ignorare il
mio bisogno di produrre arte... riesco sempre a trovare il tempo per fare
arte... e dedicare parte della mia giornata ai miei disegni”.
Siassi Kenneally è la nipote della celebre Pitseolak Ashoona, la più giovane
della “dinastia” di artiste, e sembra portare avanti l’eredità artistica della
sua ascendenza familiare: anche i genitori sono artisti ed i suoi primi lavori
sono stati seguiti dalla nonna insieme alle cugine Shuvinai Ashoona e Annie
Pootoogook. L’aspro paesaggio artico e le formazioni rocciose sono state i suoi
temi d’elezione non soltanto al suo esordio ma anche nel corso della sua
crescita artistica: “il suo intento è sempre stato quello di trasmettere e
condividere, attraverso le sue opere d’arte, il suo legame con la comunità
nativa e con l’ideologia tradizione Inuit, facendo ricorso a suggestive immagini
della terra e del mare, di animali artici ma anche a ritratti di anziani e
storytellers”.
Siassie Kenneally, Seals and
Jellyfish, 2007 – inchiostro e matite colorate – 51x66cm
Non essendo potuti andare a vedere la mostra, ci siamo accontentati del
catalogo, al tempo stesso istruttivo e di grande ispirazione.
“Le artiste Inuit contemporanee vivono oggi una stagione di crescente
popolarità, legata alla capacità di esplorare nuove soluzioni estetiche e
simboliche e di mediare audacemente tra vecchio e nuovo, eludendo gabbie
tecniche e tematiche limitanti senza con ciò sfaldare i legami con il proprio
patrimonio culturale”.
Elvira Stefania Tiberini è professore associato presso l’Università di
Roma “La Sapienza” dove insegna Etnologia del Nord America e Antropologia
dell’arte. Ha condotto ricerche presso gli Inuit del Canada, le società Haida
delle Queen Charlotte Islands (British Columbia, Canada) e Pueblo del Sud Ovest
statunitense.
I suoi attuali interessi di ricerca, come spiega la breve biografia in calce al
catalogo della mostra da lei curata, insistono sullo studio dei mutamenti
intervenuti nelle società native nordamericane, con particolare attenzione alla
produzione dell’arte nel nuovo scenario definito dall’habitat metropolitano.
I disegni che corredano la scheda sono stati volutamente ridotti per non violare
il diritto d’autore e sono stati inseriti al solo scopo di evidenziare il grande
valore artistico delle opere esposte nella mostra e raccolte nel catalogo.
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