Le
favole tradotte da Rasmussen sono tra tutte le più seducenti e
affascinanti!
L’esploratore polare originario della Groenlandia, figlio di padre
danese e di madre Inuit, diventerà un grande etnografo raccontando
le più belle favole Inuit: storie di cacciatori e pescatori alle
prese con tribù sconosciute, animali fantastici o creature
demoniache.
Sarà per le sue origini Inuit, sarà per il suo profondo rispetto
delle tradizioni di quel popolo, sarà per la sua lunga esperienza
tra i ghiacci, sarà per la maestria della sua penna, sarà per il
studio continuo... Rasmussen ha riportare in vita le antiche
credenze groenlandesi!
Padrone della lingua parlata dal suo popolo, non cade nella trappola
linguistica di rendere i racconti troppo infantili o irreali, come
fossero narrati da eterni bambini che rifiutano di crescere e
affrontare le durezze della vita, quasi fossero passati di tenda in
tenda solo per accorciare gli inverni e per spaventare gli storti...
Rasmussen è stato capace di trasfondere in ogni fiaba un incanto
particolare, consapevole della forza evocatrice di ogni racconto,
ignaro del fatto che il termine "eschimese" avrebbe assunto nel
tempo una connotazione negativa, tanto che la traduzione italiana
del testo non si preoccupa di sostituirlo ogni volta con la parola
politicamente corretta di Inuit:
“capii perché un eschimese non è mai solo, anche quando cerca la
solitudine tra gli iceberg... essi credono che tutte le sfrenatezza
della fantasia siano messaggi di un grande mondo incomprensibile
agli uomini”.
Quando si trova per la prima volta nella terra di Angmagssalik, nel
corso di una delle sue numerose spedizioni nell’Artico, Rasmussen
naviga per qualche tempo con un gruppo di Inuit di un piccolo
insediamento presso il quale gli antichi modi di vivere erano ancora
profondamente radicati: “nella mia barca c’erano uomini e donne;
altri uomini seguivano in kayak; tra noi c’erano inoltre due famosi
sciamani e un paio di vecchie narratrici di favole. Erano state
battezzate e col battesimo avevano ricevuto nomi dal suono tanto
raffinato che esse non riuscivano neppure a pronunciali: Klementine,
Barbara e Apollonia. Grazie a loro, sull’isoletta in mezzo al
mugghio della tempesta, mi sentii all’improvviso trasportato nella
grande fiaba groenlandese”!
“Tutte
le tribù eschimesi possiedono un gran numero di miti e di favole che
si tramandano oralmente, Questi racconti descrivono ogni tipo di
avvenimento, grande e piccolo, buono e cattivo, i tempi
dell’abbondanza e i tempi del bisogno. Hanno un valore ambiguo nella
misura in cui, se da un lato sono la fonte di ogni rappresentazione
religiosa, tradizionale, dall’altro, quando la grande oscurità
avvolge il paese ed il rigido inverno raccoglie le famiglie in una
forzata vita al chiuso, servono semplicemente ad abbreviare le
notti”.
Rasmussen si dilunga nell’introduzione a spiegare che gli Inuit
distinguono sempre tra oqalugtuat e oqaluatât, cioè tra antichi miti
risalenti ad una preistoria remota e favole recenti che trattano di
esseri umani vissuti in epoche di cui qualcuno si può ancora
ricordare; tutti i miti e le favole possono essere distinti nelle
quattro grandi categorie dei racconti epici, religiosi, umoristici e
soporiferi, quelli nati col compito specifico di far passare il
tempo e “di liberare col sonno gli esseri umani dalla monotonia
dell’attesa invernale”.
Tutti i racconti Inuit sono nati per venire narrati e non letti
e nella narrazione orale confluiva tutta la personalità del
narratore, capace più dello scrittore di rendere vivide le immagini
e reali gli avvenimenti che animano la recitazione delle favole:
“gli abitanti della Groenlandia occidentale sono narratori
eccezionali; alcuni dei più vecchi sono giunti a tale perfezione che
vengono invitati in villaggi stranieri ove vivono della loro arte”!
Le tre vecchie donne Inuit gli raccontano così della Luna, la più
temuta di tutti gli esseri soprannaturali, capace di comandare la
bassa e l’alta marea; dei Makkajuit, piccole creature notturne che
abitano le alte cime rocciose ed osservano le azioni degli uomini
per rubare loro la cacciagione; di Aqarorsiopua, la pietra vivente
sotto forma di gigante che quando appare spaventa a morte interi
villaggi; e degli Erkilik, i più pericolosi nemici degli uomini,
cani con la testa di uomo che uccidono per il puro piacere di
uccidere... e ancora della donna che sposò una volpe, di quella che
sposò un gambero e dell’altra che sposò perfino un verme;
dell’orfanello che non cresceva mai finché un gigante non cominciò a
dargli tanti colpi per fare uscire le cose che gli impedivano di
crescere e così mentre lo colpiva dal corpo uscivano figurine di
legno: dalla testa uscivano bambole, dalla schiena ossa di foca e
dai fianchi uscivano kayak!
Il
racconto più avvincente è quello di Puvia, rapito da due gigantesse
mentre era a bordo del suo kayak e che diventa lui stesso un
gigante: “Un giorno andò alla spiaggia per vedere il suo kayak, che
gli parve non più grande di un giocattolo e subito si mise a
costruirne un altro più grande. Quando fu pronto chiese alle mogli
di ricoprirlo di pelli. “E come si fa? Non abbiamo mai ricoperto un
kayak”. “Se siete state capaci di rapirmi, troverete senz’altro
anche il modo di ricoprire il kayak”. Le donne erano tutte confuse,
ma infine cominciarono a cucire pelli sulla struttura del kayak.
Quando Puvia tornò per vedere il lavoro, vide che il kayak era
ricoperto interamente: l’apertura per infilarsi dentro non c’era.
“Dov’è il buco per entrare?”. “Quale buco per entrare?”. “Non vi
ricordate che quando mi avete rapito io stavo seduto in un buco?”.
Le donne se ne ricordarono, tagliarono un grosso cerchio nella pelle
e Puvia le aiutò a finire il lavoro. Dapprima remò solo nel lago
vicino alla casa, ma ben presto si spinse più avanti...”
Ogni
volta che il narratore concludeva il racconto diceva: “ora
auguriamoci una lunga estate e un inverno brevissimo” oppure “ora al
fiaba è terminata e l’inverno è di nuovo un po’ più corto”!
Knud
Rasmussen, etnologo ed esploratore, autore di questa raccolta di
racconti tradizionali della regione di Angmagssalik, in Groenlandia,
nacque nel 1879 a Jakobshavn da un missionario protestante danese e
da una donna Inuit. Compiuti gli studi all’università di
Copenaghen, si dedicò interamente allo studio dei vari gruppi di
popolazioni Inuit e della loro cultura, compiendo dapprima una
lunga serie di campagne di rilevamento in Groenlandia (dove in
particolare compì ricerche sugli “Inuit di Thule”, il gruppo
umano più settentrionale di tutto il mondo, oggi scomparso), e poi,
a partire dal 1921, un viaggio di esplorazione che toccò tutte le
tribù Inuit sparse dalla Groenlandia al Canada all’Alaska, i cui
risultati scientifici furono pubblicati in “Fra Grønland till
Stillhavet (Dalla Groenlandia all’Oceano Pacifico, 12 volumi,
1925-26). Morì a Copenaghen il 21 dicembre 1933.
I suoi studi degli anni venti hanno ispirato il recente film “The Journal of Kund Rasmussen” dei registi canadesi Zacharias Kunuk e
Norman Cohn sulla vita di uno degli ultimi grandi sciamani Inuit.
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