TATIYAK - letture

Favole e leggende eschimesi
(Grönlanske sagn - 1925)
A cura di Knud Rasmussen – Ed. Xenia 1993

Scheda del 24 giugno 2009 a cura di Tatiana Cappucci

Le favole tradotte da Rasmussen sono tra tutte le più seducenti e affascinanti!
L’esploratore polare originario della Groenlandia, figlio di padre danese e di madre Inuit, diventerà un grande etnografo raccontando le più belle favole Inuit: storie di cacciatori e pescatori alle prese con tribù sconosciute, animali fantastici o creature demoniache.
Sarà per le sue origini Inuit, sarà per il suo profondo rispetto delle tradizioni di quel popolo, sarà per la sua lunga esperienza tra i ghiacci, sarà per la maestria della sua penna, sarà per il studio continuo... Rasmussen ha riportare in vita le antiche credenze groenlandesi!
Padrone della lingua parlata dal suo popolo, non cade nella trappola linguistica di rendere i racconti troppo infantili o irreali, come fossero narrati da eterni bambini che rifiutano di crescere e affrontare le durezze della vita, quasi fossero passati di tenda in tenda solo per accorciare gli inverni e per spaventare gli storti...
Rasmussen è stato capace di trasfondere in ogni fiaba un incanto particolare, consapevole della forza evocatrice di ogni racconto, ignaro del fatto che il termine "eschimese" avrebbe assunto nel tempo una connotazione negativa, tanto che la traduzione italiana del testo non si preoccupa di sostituirlo ogni volta con la parola politicamente corretta di Inuit: “capii perché un eschimese non è mai solo, anche quando cerca la solitudine tra gli iceberg... essi credono che tutte le sfrenatezza della fantasia siano messaggi di un grande mondo incomprensibile agli uomini”.
Quando si trova per la prima volta nella terra di Angmagssalik, nel corso di una delle sue numerose spedizioni nell’Artico, Rasmussen naviga per qualche tempo con un gruppo di Inuit di un piccolo insediamento presso il quale gli antichi modi di vivere erano ancora profondamente radicati: “nella mia barca c’erano uomini e donne; altri uomini seguivano in kayak; tra noi c’erano inoltre due famosi sciamani e un paio di vecchie narratrici di favole. Erano state battezzate e col battesimo avevano ricevuto nomi dal suono tanto raffinato che esse non riuscivano neppure a pronunciali: Klementine, Barbara e Apollonia. Grazie a loro, sull’isoletta in mezzo al mugghio della tempesta, mi sentii all’improvviso trasportato nella grande fiaba groenlandese”!

“Tutte le tribù eschimesi possiedono un gran numero di miti e di favole che si tramandano oralmente, Questi racconti descrivono ogni tipo di avvenimento, grande e piccolo, buono e cattivo, i tempi dell’abbondanza e i tempi del bisogno. Hanno un valore ambiguo nella misura in cui, se da un lato sono la fonte di ogni rappresentazione religiosa, tradizionale, dall’altro, quando la grande oscurità avvolge il paese ed il rigido inverno raccoglie le famiglie in una forzata vita al chiuso, servono semplicemente ad abbreviare le notti”.
Rasmussen si dilunga nell’introduzione a spiegare che gli Inuit distinguono sempre tra oqalugtuat e oqaluatât, cioè tra antichi miti risalenti ad una preistoria remota e favole recenti che trattano di esseri umani vissuti in epoche di cui qualcuno si può ancora ricordare; tutti i miti e le favole possono essere distinti nelle quattro grandi categorie dei racconti epici, religiosi, umoristici e soporiferi, quelli nati col compito specifico di far passare il tempo e “di liberare col sonno gli esseri umani dalla monotonia dell’attesa invernale”.
Tutti i racconti Inuit sono nati per venire narrati e non letti e nella narrazione orale confluiva tutta la personalità del narratore, capace più dello scrittore di rendere vivide le immagini e reali gli avvenimenti che animano la recitazione delle favole: “gli abitanti della Groenlandia occidentale sono narratori eccezionali; alcuni dei più vecchi sono giunti a tale perfezione che vengono invitati in villaggi stranieri ove vivono della loro arte”!
Le tre vecchie donne Inuit gli raccontano così della Luna, la più temuta di tutti gli esseri soprannaturali, capace di comandare la bassa e l’alta marea; dei Makkajuit, piccole creature notturne che abitano le alte cime rocciose ed osservano le azioni degli uomini per rubare loro la cacciagione; di Aqarorsiopua, la pietra vivente sotto forma di gigante che quando appare spaventa a morte interi villaggi; e degli Erkilik, i più pericolosi nemici degli uomini, cani con la testa di uomo che uccidono per il puro piacere di uccidere... e ancora della donna che sposò una volpe, di quella che sposò un gambero e dell’altra che sposò perfino un verme; dell’orfanello che non cresceva mai finché un gigante non cominciò a dargli tanti colpi per fare uscire le cose che gli impedivano di crescere e così mentre lo colpiva dal corpo uscivano figurine di legno: dalla testa uscivano bambole, dalla schiena ossa di foca e dai fianchi uscivano kayak!

Il racconto più avvincente è quello di Puvia, rapito da due gigantesse mentre era a bordo del suo kayak e che diventa lui stesso un gigante: “Un giorno andò alla spiaggia per vedere il suo kayak, che gli parve non più grande di un giocattolo e subito si mise a costruirne un altro più grande. Quando fu pronto chiese alle mogli di ricoprirlo di pelli. “E come si fa? Non abbiamo mai ricoperto un kayak”. “Se siete state capaci di rapirmi, troverete senz’altro anche il modo di ricoprire il kayak”. Le donne erano tutte confuse, ma infine cominciarono a cucire pelli sulla struttura del kayak. Quando Puvia tornò per vedere il lavoro, vide che il kayak era ricoperto interamente: l’apertura per infilarsi dentro non c’era. “Dov’è il buco per entrare?”. “Quale buco per entrare?”. “Non vi ricordate che quando mi avete rapito io stavo seduto in un buco?”. Le donne se ne ricordarono, tagliarono un grosso cerchio nella pelle e Puvia le aiutò a finire il lavoro. Dapprima remò solo nel lago vicino alla casa, ma ben presto si spinse più avanti...”

Ogni volta che il narratore concludeva il racconto diceva: “ora auguriamoci una lunga estate e un inverno brevissimo” oppure “ora al fiaba è terminata e l’inverno è di nuovo un po’ più corto”!

Knud Rasmussen, etnologo ed esploratore, autore di questa raccolta di racconti tradizionali della regione di Angmagssalik, in Groenlandia, nacque nel 1879 a Jakobshavn da un missionario protestante danese e da una donna Inuit. Compiuti gli studi all’università di Copenaghen, si dedicò interamente allo studio dei vari gruppi di popolazioni Inuit e della loro cultura, compiendo dapprima una lunga serie di campagne di rilevamento in Groenlandia (dove in particolare compì ricerche sugli “Inuit di Thule”, il gruppo umano più settentrionale di tutto il mondo, oggi scomparso), e poi, a partire dal 1921, un viaggio di esplorazione che toccò tutte le tribù Inuit sparse dalla Groenlandia al Canada all’Alaska, i cui risultati scientifici furono pubblicati in “Fra Grønland till Stillhavet (Dalla Groenlandia all’Oceano Pacifico, 12 volumi, 1925-26). Morì a Copenaghen il 21 dicembre 1933.
I suoi studi degli anni venti hanno ispirato il recente film “The Journal of Kund Rasmussen” dei registi canadesi Zacharias Kunuk e Norman Cohn sulla vita di uno degli ultimi grandi sciamani Inuit.

 

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