TATIYAK - letture

Ammassalik
Ou la civilisation obligatoire

Robert Gessain – Flammarion Editeur - Paris 1969

Scheda del 30 ottobre 2012 a cura di Tatiana Cappucci

Questo è il classico volume che non è facile riassumere.
La prefazione chiarisce che si tratta del diario di viaggio tenuto dall’autore tra il gennaio ed il luglio del 1966. La quarta di copertina precisa che l’autore è tornato a visitare lo stesso gruppo di Groenlandesi a trent’anni di distanza dal primo incontro: nel 1934 gli Inuit di Ammassalik erano cacciatori di foche, pescatori ed impiegati; nel 1965, invece, erano diventati tutti “Danesi del Nord”, funzionari, assistiti e qualche sporadico cacciatore.
Tutti buoni luterani, senza più l’incubo della selezione naturale o delle carestie, con un’assistenza medica di tutto rispetto e con una popolazione triplicata in una sola generazione...
La gente di Ammassalik non è sfuggita alla “civilizzazione obbligatoria”: ecco spiegato il sottotitolo del volume.
Per spiegare tutto il resto, servirebbe scrivere un nuovo libro. Oppure applicarsi nella lettura del lavoro di Gessain, anche se non è (ancora) stato tradotto in italiano!
Ho pensato quindi di riassumere solo pochi concetti, che nel testo di Gessain vengono sviluppati con dovizia di particolari, con nozioni dotte e con ricerche effettuate sul campo: il testo è infatti infarcito di dati, numeri e confronti che non è possibile sintetizzare.

Nel 1884 Gustav Holm, capitano di marina danese sulle tracce dei vichinghi, si imbatte ad Ammassalik in una popolazione isolata di appena 413 persone tra uomini, donne e bambini; i cacciatori di foche tra i 15 ed i 55 anni erano solo 108 e cacciavano in media 60-70 foche all’anno, una ogni 5-6 giorni… Nel 1966 Gessain racconta di aver constatato che il kayak era ancora più diffuso delle barche a motore, 24 kayak contro 21 barche, ma quasi tutti i 148 uomini si definivano pescatori, solo 5 pescatori e cacciatori.
Piccoli cambiamenti sociali che diventeranno sempre più pesanti.
Il declino della cultura Inuit inizia con l’abolizione dell’angakok, lo sciamano del villaggio, e con la conseguente perdita di ogni autorità morale e sociale; continua con la penetrazione di ferro, fucili e tessuti, di caffè, tabacco ed alcool; raggiunge il suo culmine con la conversione religiosa luterana, che impone persino di cambiare il nome.

Gessain parla di Kulusuk, il villaggio più vicino alla base militare statunitense; racconta di Tasilak, con i suoi 600 abitanti raccolti intorno ad una chiesa, una scuola, un ospedale, un ufficio amministrativo e postale; scrive persino di Kumiut, il terzo grande agglomerato urbano di questa regione artica tanto isolata.
Gessain parla anche di kayak.
Sin da pagina 17, quando spiega come vengono costruiti, riciclando il legname flottante trovato sulla banchisa e cucendo insieme pelli di foca grazie al sapiente lavoro delle donne. In autunno kayak ed umiak vengono riposti davanti la casa d’inverno, sospesi sulle impalcature di legno per tenerli lontani dalla portata dei cani.
Ne parla ancora a lungo nelle pagine seguenti, offrendo una descrizione tra le più dettagliate dell’imbarcazione armata per la battuta di caccia: “Verso le 3 o le 4 del mattino, nella notte luminosa, il kayak scivola tra i ghiacci. L’arpione per la foca con il suo legno di propulsione (il norsak) è legato con un filo di cuoio alla punta e al galleggiante; sul ponte del kayak sono fissati anche l’arpione a tre punte per gli uccelli, la lancia per l’orso, il coltello, lo stiletto per trasportare le foche, turaccioli di tutte le taglie scolpiti nel legno o nell’osso: è un armamentario in cui ciascun pezzo ha una funzione ed un posto precisi”.
Ed ancora: “Il kayak è un’imbarcazione che con l’esperienza ha raggiunto un’efficace perfezione. Il kayak si può capovolgere, il cacciatore si raddrizza: ogni arma rimarrà al suo posto, tenuta ferma dal sistema di corde e di inserzioni in osso. Numerose figurine d’avorio ornano il ponte anteriore con sembianze animali o di spiriti tutelari; il paraspruzzi del kayak è a suo volta ornato di motivi di pelle bianca, di bretelle di perline d’avorio, di decorazioni varie e perfino il cappello è abbellito con code di volte bianca e visiere ricoperte di avorio finemente scolpito. Il cacciatore parte per la caccia come per un appuntamento galante...”
Gessain comprende bene che anche il kayak, come tante altre tradizioni Inuit, sembra destinato a scomparire: “i kayak sono sempre meno numerosi e probabilmente destinato a scomparire perché i giovani usano solamente le banche a motore e la caccia invernale, come tutte le tecniche adottate per questa stagione, sono sempre meno evolute...”
Nel 1966 solo un ragazzo di 26 anni, tornato da un corso in Danimarca, esce in kayak la domenica, ed è l’unico di Tasilak. Ma perché il kayak possa resistere come una vera e propria imbarcazione, dedicata alla caccia dei mammiferi artici, è necessario che i bambini inizino a pagaiare intorno agli 11 o 12 anni... E l’autore conclude così con una domanda retorica: “il kayak diventerà solo uno sport?”

Per concludere, una curiosa annotazione sul nome attribuito al kayak da mare nella regione groenlandese di Ammassalik: il termine “kayak” è stato sostituito con “tsakri” dal giorno in cui un uomo chiamato Kayak è morto, nel rispetto dell’antica tradizione Inuit di non pronunciare più il nome del defunto finché non nasce un bambino che ne sia la reincarnazione e che possa così portare il suo stesso nome. “Tsakriwok” significa andare di qua e di là, senza un cammino preciso; allo stesso modo, il termine “tsakri” evoca l’andamento zigzagante del kayak, quando lo scafo è contornato di iceberg e ghiacci, oltre che l’attitudine di profondo rispetto tenuta dal cacciatore Inuit quando si trova di fronte alla Natura.

Ce chant tambouriné que je vais chanter
C’était un chant de nos pères,
Un jour en pagayant mon kayak,
J’ai vu un vraiment grand phoque,
Un phoque de mon propre pays,
Un phoque de fjord
Aujourd’hui tout le monde pleure:
Il n’y a plus de phoque...

Robert Gessain (1907 – 1986) è stato un medico, antropologo, etnologo ed inuitologo francese, professore al Museo nazionale di storia naturale e direttore del Musée de l'Homme di Parigi e vice presidente dell'Unesco.
Ha fatto parte della spedizione francese inviata dal Musée de l'Homme ad Ammassalik in Groenlandia nel 1934-35, insieme all'ingegnere-antropologo Paul-Emile Victor, al cineasta Fred Matter e al geologo Michel Perez, tutti a bordo del Pourquoi-Pas? comandato dal dottor Jean-Baptiste Charcot, che nel settembre del 1936 farà un triste naufragio non molto distante dalle coste islandesi. L'anno successivo, cioè nel 1936, sempre con Victor e Perez, realizza la traversata della calotta glaciale della Groenlandia da ovest ad est. Da allora, non ha mai smesso di tornare ad Ammasslik per studiare la popolazione, riportando in Francia preziosi documenti scientifici sugli Inuit della costa orientale groenlandese. Una delle sue più strette collaboratrici, Joelle Robert-Lamblin ha collaborato con Paul-Emile Victor alla stesura dei due corposi lavori bibliografici su “La civilisation du phoque”.
Robert Gessain ha pubblicato numerosi lavori sull'antropologia, l'etnologia e la demografia degli abitanti di Ammassalik ma questo è il suo unico testo tradotto in italiano. La sua bibliografia annovera, tra molti articoli scientifici (http://www.arctickayaks.com/PDF/Gessain1968/gessain-pt1.htm), anche altri interessanti volumi: “Ovibos, la grande aventure des hommes et des bœufs musqés” del 1981 ed “Un homme marche devant” del 1989.
L'unico lavoro dell'antropologo francese tradotto in italiano è il libretto “Gli eschimesi – dalla Groenlandia all'Alaska” che raccoglie le impressioni della prima spedizione francese del 1934-35 nonché molte delle fotografie scattate da Gessain durante la sua permanenza ad Ammassalik e poi ristampate in grande formato nella più recente raccolta fotografica pubblicata nel 2007 col titolo “Inuit – Images d'Ammassalik – Groenland 1934-1936”.
Si deve alla moglie Monique Gessain, etnologa e direttrice del Centre National de la Recherche Scientifique, che ha accompagnato il marito in Groenlandia, l'iniziativa di pubblicare quest'opera sugli Inuit di Ammassalik per non dimenticare la grande avventura di Robert Gessain e dei suoi tre compagni, vissuta a bordo del battello Pourquoi-Pas? nel corso degli anni Trenta.

 

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