Questo
è il classico volume che non è facile riassumere.
La prefazione chiarisce che si tratta del diario di viaggio tenuto dall’autore
tra il gennaio ed il luglio del 1966. La quarta di copertina precisa che
l’autore è tornato a visitare lo stesso gruppo di Groenlandesi a trent’anni di
distanza dal primo incontro: nel 1934 gli Inuit di Ammassalik erano cacciatori
di foche, pescatori ed impiegati; nel 1965, invece, erano diventati tutti
“Danesi del Nord”, funzionari, assistiti e qualche sporadico cacciatore.
Tutti buoni luterani, senza più l’incubo della selezione naturale o delle
carestie, con un’assistenza medica di tutto rispetto e con una popolazione
triplicata in una sola generazione...
La gente di Ammassalik non è sfuggita alla “civilizzazione obbligatoria”: ecco
spiegato il sottotitolo del volume.
Per spiegare tutto il resto, servirebbe scrivere un nuovo libro. Oppure
applicarsi nella lettura del lavoro di Gessain, anche se non è (ancora) stato
tradotto in italiano!
Ho pensato quindi di riassumere solo pochi concetti, che nel testo di Gessain
vengono sviluppati con dovizia di particolari, con nozioni dotte e con ricerche
effettuate sul campo: il testo è infatti infarcito di dati, numeri e confronti
che non è possibile sintetizzare.
Nel
1884 Gustav Holm, capitano di marina danese sulle tracce dei vichinghi, si
imbatte ad Ammassalik in una popolazione isolata di appena 413 persone tra
uomini, donne e bambini; i cacciatori di foche tra i 15 ed i 55 anni erano solo
108 e cacciavano in media 60-70 foche all’anno, una ogni 5-6 giorni… Nel 1966
Gessain racconta di aver constatato che il kayak era ancora più diffuso delle
barche a motore, 24 kayak contro 21 barche, ma quasi tutti i 148 uomini si
definivano pescatori, solo 5 pescatori e cacciatori.
Piccoli cambiamenti sociali che diventeranno sempre più pesanti.
Il declino della cultura Inuit inizia con l’abolizione dell’angakok, lo
sciamano del villaggio, e con la conseguente perdita di ogni autorità morale e
sociale; continua con la penetrazione di ferro, fucili e tessuti, di caffè,
tabacco ed alcool; raggiunge il suo culmine con la conversione religiosa
luterana, che impone persino di cambiare il nome.
Gessain
parla di Kulusuk, il villaggio più vicino alla base militare statunitense;
racconta di Tasilak, con i suoi 600 abitanti raccolti intorno ad una chiesa, una
scuola, un ospedale, un ufficio amministrativo e postale; scrive persino di
Kumiut, il terzo grande agglomerato urbano di questa regione artica tanto
isolata.
Gessain parla anche di kayak.
Sin da pagina 17, quando spiega come vengono costruiti, riciclando il legname
flottante trovato sulla banchisa e cucendo insieme pelli di foca grazie al
sapiente lavoro delle donne. In autunno kayak ed umiak vengono riposti davanti
la casa d’inverno, sospesi sulle impalcature di legno per tenerli lontani dalla
portata dei cani.
Ne parla ancora a lungo nelle pagine seguenti, offrendo una descrizione tra le
più dettagliate dell’imbarcazione armata per la battuta di caccia: “Verso le 3 o
le 4 del mattino, nella notte luminosa, il kayak scivola tra i ghiacci.
L’arpione per la foca con il suo legno di propulsione (il norsak) è
legato con un filo di cuoio alla punta e al galleggiante; sul ponte del kayak
sono fissati anche l’arpione a tre punte per gli uccelli, la lancia per l’orso,
il coltello, lo stiletto per trasportare le foche, turaccioli di tutte le taglie
scolpiti nel legno o nell’osso: è un armamentario in cui ciascun pezzo ha una
funzione ed un posto precisi”.
Ed ancora: “Il kayak è un’imbarcazione che con l’esperienza ha raggiunto
un’efficace perfezione. Il kayak si può capovolgere, il cacciatore si raddrizza:
ogni arma rimarrà al suo posto, tenuta ferma dal sistema di corde e di
inserzioni in osso. Numerose figurine d’avorio ornano il ponte anteriore con
sembianze animali o di spiriti tutelari; il paraspruzzi del kayak è a suo volta
ornato di motivi di pelle bianca, di bretelle di perline d’avorio, di
decorazioni varie e perfino il cappello è abbellito con code di volte bianca e
visiere ricoperte di avorio finemente scolpito. Il cacciatore parte per la
caccia come per un appuntamento galante...”
Gessain comprende bene che anche il kayak, come tante altre tradizioni Inuit,
sembra destinato a scomparire: “i kayak sono sempre meno numerosi e
probabilmente destinato a scomparire perché i giovani usano solamente le banche
a motore e la caccia invernale, come tutte le tecniche adottate per questa
stagione, sono sempre meno evolute...”
Nel 1966 solo un ragazzo di 26 anni, tornato da un corso in Danimarca, esce in
kayak la domenica, ed è l’unico di Tasilak. Ma perché il kayak possa resistere
come una vera e propria imbarcazione, dedicata alla caccia dei mammiferi artici,
è necessario che i bambini inizino a pagaiare intorno agli 11 o 12 anni... E
l’autore conclude così con una domanda retorica: “il kayak diventerà solo uno
sport?”
Per concludere, una curiosa annotazione sul nome attribuito al kayak da mare
nella regione groenlandese di Ammassalik: il termine “kayak” è stato sostituito
con “tsakri” dal giorno in cui un uomo chiamato Kayak è morto, nel
rispetto dell’antica tradizione Inuit di non pronunciare più il nome del defunto
finché non nasce un bambino che ne sia la reincarnazione e che possa così
portare il suo stesso nome. “Tsakriwok” significa andare di qua e di là,
senza un cammino preciso; allo stesso modo, il termine “tsakri” evoca
l’andamento zigzagante del kayak, quando lo scafo è contornato di iceberg e
ghiacci, oltre che l’attitudine di profondo rispetto tenuta dal cacciatore Inuit
quando si trova di fronte alla Natura.
Ce chant tambouriné que je vais chanter
C’était un chant de nos pères,
Un jour en pagayant mon kayak,
J’ai vu un vraiment grand phoque,
Un phoque de mon propre pays,
Un phoque de fjord
Aujourd’hui tout le monde pleure:
Il n’y a plus de phoque...
Robert
Gessain (1907 – 1986) è stato un medico, antropologo, etnologo ed inuitologo
francese, professore al Museo nazionale di storia naturale e direttore del Musée
de l'Homme di Parigi e vice presidente dell'Unesco.
Ha fatto parte della spedizione francese inviata dal Musée de l'Homme ad
Ammassalik in Groenlandia nel 1934-35, insieme all'ingegnere-antropologo
Paul-Emile Victor, al cineasta Fred Matter e al geologo Michel Perez, tutti a
bordo del Pourquoi-Pas? comandato dal dottor Jean-Baptiste Charcot, che nel
settembre del 1936 farà un triste naufragio non molto distante dalle coste
islandesi. L'anno successivo, cioè nel 1936, sempre con Victor e Perez, realizza
la traversata della calotta glaciale della Groenlandia da ovest ad est. Da
allora, non ha mai smesso di tornare ad Ammasslik per studiare la popolazione,
riportando in Francia preziosi documenti scientifici sugli Inuit della costa
orientale groenlandese. Una delle sue più strette collaboratrici, Joelle
Robert-Lamblin ha collaborato con Paul-Emile Victor alla stesura dei due corposi
lavori bibliografici su “La
civilisation du phoque”.
Robert Gessain ha pubblicato numerosi lavori sull'antropologia, l'etnologia e la
demografia degli abitanti di Ammassalik ma questo è il suo unico testo tradotto
in italiano. La sua bibliografia annovera, tra molti articoli scientifici (http://www.arctickayaks.com/PDF/Gessain1968/gessain-pt1.htm),
anche altri interessanti volumi: “Ovibos, la grande aventure des hommes et des
bœufs musqés” del 1981 ed “Un homme marche devant” del 1989.
L'unico lavoro dell'antropologo francese tradotto in italiano è il libretto “Gli
eschimesi – dalla Groenlandia all'Alaska” che raccoglie le impressioni della
prima spedizione francese del 1934-35 nonché molte delle fotografie scattate da
Gessain durante la sua permanenza ad Ammassalik e poi ristampate in grande
formato nella più recente raccolta fotografica pubblicata nel 2007 col titolo “Inuit
– Images d'Ammassalik – Groenland 1934-1936”.
Si deve alla moglie Monique Gessain, etnologa e direttrice del Centre National
de la Recherche Scientifique, che ha accompagnato il marito in Groenlandia,
l'iniziativa di pubblicare quest'opera sugli Inuit di Ammassalik per non
dimenticare la grande avventura di Robert Gessain e dei suoi tre compagni,
vissuta a bordo del battello Pourquoi-Pas? nel corso degli anni Trenta.
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