Un
vecchio racconto di Paul-Emile Victor, l’esploratore francese che ha trascorso
due inverni presso gli Inuit di Ammassalik tra il 1934-35 ed il 1936-37 e che
poi è più volte tornato al Polo Nord come coordinatore delle spedizioni polari
francesi. Il volume odora di muffa, è di un vecchio formato oramai inusuale
(22x26 cm.) e l'ho scovato presso un libraio francese molto gentile, che me lo
ha spedito con un biglietto ben augurale: “Bon lecture”!
Forse non lo avrei neanche notato se non fosse stato per il nome prestigioso
dell’autore ed ancor più per la foto di copertina: un kayak attrezzato di tutto
punto per la caccia alla foca, completo di arpione, trepiedi, galleggiante e
schermo bianco. Forse è a questa immagine che l’autore si è inspirato per
realizzare la copertina di un racconto per bambini che qualche tempo dopo ho
acquistato dallo stesso libraio d’oltralpe: “Apoutsiak, le petite flocon de
neige”.
Ha un’introduzione stringata, concentrata sulla terminologia adottata, una
spiegazione superata perché oggi si cerca sempre di sostituire la parola
“eschimo” con quella più politicamente corretta di “Inuit”: “Eschimese” è una
parola indiana coniata dalle tribù degli Algonchini e dei Cree per definire i
vicini artici, ed indesiderati, con un’espressione dispregiativa che significava
“mangiatori di carne cruda”; la stessa espressione è stata più tardi adottata
dai primi missionari europei ed è così entrata nell’uso comune europeo sin dal
lontano 1611. I moderni “eschimesi” rivendicano oggi per se stessi una diversa
definizione, “Inuit – Gli Uomini”, legittima aspirazione a vedere riconosciuto e
valorizzato il proprio passato millenario; ma non è ancora stato risolto il
dilemma di sostituire nelle lingue neolatine, come il francese, lo spagnolo, il
portoghese e lo stesso italiano, alcune parole “importate” dalla cultura Inuit
ed adottate pacificamente e senza alcuna connotazione razziale...
Il racconto dell’autore si articola in pochi capitoli schematici, tutti
corredati di tantissime foto a colori: la descrizione dell’immensa regione
polare, delle sue caratteristiche ambientali, dell’incredibile capacità di
adattamento dell’"homo arcticus", questo popolo ingegnoso che ha saputo vivere e
sopravvivere in un ambiente ostile, costruendo case di neve e di ghiaccio,
cacciando con kayak e slitte, pescando pesci, catturando uccelli e raccogliendo
alghe.
La foto dei kayak, poche ma significative, hanno ovviamente attirato la mia
attenzione e le ho riportate tutte a corredo di questa breve scheda sinottica.
L'autore parla ovviamente del kayak, con toni analoghi a quelli adottati nel
lavoro monografico redatto con la collaborazione di Joelle Robert-Lamblin “La
civilisation du phoque”. Ma stavolta è più sintetico e schematico: il kayak è
uno scafo destinato ad un uomo solo, anche se in alcune regioni, come la Baia di
Hudson, il kayak è molto grande per consentire il trasporto dell’intera famiglia
(come si vede nel film documentario
Nanook of the north!).
In Groenlandia, il kayak è perfettamente adattato alle misure del suo
proprietario ed una volta dentro il suo kayak, l’uomo “fait corps avec lui”. Il
minimo movimento dell’uno si ripercuote sull’altro. Grazie a questa unità i
kayaker groenlandesi, soprattutto quelli della costa orientale, sono
probabilmente i migliori del mondo. Se accade di rovesciarsi, incidente assai
frequente, il kayaker è capace di recuperare l’equilibrio con una manovra
conosciuta come “esckimo-esckimotage” (come tradurlo in altro modo per non
mancare di rispetto ai moderni Inuit?!?). Per questo genere di esercizi, e per
poter uscire in kayak in caso di cattivo tempo, il kayaker indossa una giacca di
pelle di foca rasata e trattata in maniera da renderla impermeabile. Il
cappuccio è stretto intorno al viso e le maniche intorno ai polsi.
A pagina 78 del volume si incontra un trafiletto interessante, incorniciato
sotto una bellissima fotografia di un kayak in pelle bianca sospeso a delle assi
di legno: “la tecnica dell’eskimo consiste, una volta che il kayak è capovolto e
la testa è finita sott’acqua, nel recuperare la posizione normale verticale, con
la testa in alto e fuori dall’acqua. L’eskimo è praticato in tutti i club di
kayaker. I groenlandesi, ed in particolare gli Ammassalimiut (gli abitanti della
regione orientale di Ammassalik) sono dei veri maestri in questa tecnica e sono
i migliori “eskimoteurs” del mondo".
L’autore ha infatti potuto studiare, durante la sua permanenza presso di loro,
più di 20 tipi differenti di eskimo: oltre al metodo classico con l’aiuto della
pagaia, ci sono diverse “acrobazie”, così le definisce Victor stesso, che
consistono nel raddrizzare il kayak a mani nude o con il pugno che stringe una
pietra, per dimostrare di non avere aperto la mano sott’acqua. A causa del
vento, dei ghiacci e delle correnti, sono molti gli uomini che si capovolgono
durante la caccia, e la temperatura dell’acqua è polare! Indispensabile diventa
quindi sapere eseguire correttamente la manovra, per recuperare l'equilibrio e
per salvarsi la vita.
L’ultimo capitolo è il resoconto toccante del ritorno di Paul-Emile Victor ad
Ammassalik nel 1951 e poi ancora nel 1964, per ragioni diverse e per intervalli
sempre troppo brevi. Ogni volta, però, l’autore è stato accolto da occhi lucidi,
grida di gioia e abbracci calorosi: “Itti Wittou, Wittou tiguikripok!” “E’
Wittou, è tornato Wittou!”.
Ad Ammassalik, osserva l'autore al suo ritorno, non ci sono più le antiche case
di pietra e zolle d’erba, sono diventate tutte case di legno, riscaldate ed
arredate in stile danese, con sedie e tavoli sino ad allora sconosciuti per gli
Inuit, con finestre di vetro e porte e scalinate d’ingresso. Alcuni anziani
cacciatori riescono ancora a cacciare le foche, non con gli arpioni ma con i
fucili, le ragazze del paese non lasciano più crescere i capelli e li tagliano
corti più dei ragazzi, l’urina non viene più raccolta in grandi bacinelle per
pulire le pelli (ed anche i neri capelli delle donne) perché i danesi hanno
portato anche i bagni domestici.
Non tutti gli aspetti della civilizzazione occidentale sono nefasti per gli
abitanti di Ammassalik, scriveva Paul-Emile Victor sul finire degli anni
Settanta: ma già all'epoca lo studioso doveva registrare i primi casi di
alcoolismo e di prostituzione e constatava mesto come la storia di quel popolo
ingegnoso stava inevitabilmente subendo una brusca virata.
Paul-Emile
Victor
è stato un esploratore, etnologo, ingegnere, disegnatore, artista e pioniere
dell'ecologia.
Nato a Ginevra nel 1907, è morto nel 1995 a Bora-Bora, dove si era da tempo
trasferito e dove veniva spesso definito come “un eschimese nel pacifico”.
Il suo sito ufficiale è ricco di informazioni sul suo conto:
www.paulemilevictor.fr.
L’autore ha pubblicato nel corso degli anni diversi testi scientifici e
divulgativi, con titoli analoghi e contenuti simili, alcuni incentrati sugli
studi antropologi, altri sulle raccolte fotografiche, altri ancora sulle
impressioni raccolte sul campo, a stretto contatto con gli Inuit.
Oltre al doppio volume su “La civilisation
du phoque” e al racconto illustrato per bambini “Apoutsiak,
le petit flocon de neige”, abbiamo avuto la fortuna di trovare e leggere
anche il volume “Eskimos, nomades de glaces”,
ben più ricco di richiami storici, archeologici, antropologici, tecnici e
linguistici.
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