TATIYAK - letture

La vie des Eskimos
Paul-Emile Victor – Editions Fernand Nathan 1975

Scheda del 15 giugno 2012 a cura di Tatiana Cappucci

Un vecchio racconto di Paul-Emile Victor, l’esploratore francese che ha trascorso due inverni presso gli Inuit di Ammassalik tra il 1934-35 ed il 1936-37 e che poi è più volte tornato al Polo Nord come coordinatore delle spedizioni polari francesi. Il volume odora di muffa, è di un vecchio formato oramai inusuale (22x26 cm.) e l'ho scovato presso un libraio francese molto gentile, che me lo ha spedito con un biglietto ben augurale: “Bon lecture”!
Forse non lo avrei neanche notato se non fosse stato per il nome prestigioso dell’autore ed ancor più per la foto di copertina: un kayak attrezzato di tutto punto per la caccia alla foca, completo di arpione, trepiedi, galleggiante e schermo bianco. Forse è a questa immagine che l’autore si è inspirato per realizzare la copertina di un racconto per bambini che qualche tempo dopo ho acquistato dallo stesso libraio d’oltralpe: “Apoutsiak, le petite flocon de neige”.
Ha un’introduzione stringata, concentrata sulla terminologia adottata, una spiegazione superata perché oggi si cerca sempre di sostituire la parola “eschimo” con quella più politicamente corretta di “Inuit”: “Eschimese” è una parola indiana coniata dalle tribù degli Algonchini e dei Cree per definire i vicini artici, ed indesiderati, con un’espressione dispregiativa che significava “mangiatori di carne cruda”; la stessa espressione è stata più tardi adottata dai primi missionari europei ed è così entrata nell’uso comune europeo sin dal lontano 1611. I moderni “eschimesi” rivendicano oggi per se stessi una diversa definizione, “Inuit – Gli Uomini”, legittima aspirazione a vedere riconosciuto e valorizzato il proprio passato millenario; ma non è ancora stato risolto il dilemma di sostituire nelle lingue neolatine, come il francese, lo spagnolo, il portoghese e lo stesso italiano, alcune parole “importate” dalla cultura Inuit ed adottate pacificamente e senza alcuna connotazione razziale...

Il racconto dell’autore si articola in pochi capitoli schematici, tutti corredati di tantissime foto a colori: la descrizione dell’immensa regione polare, delle sue caratteristiche ambientali, dell’incredibile capacità di adattamento dell’"homo arcticus", questo popolo ingegnoso che ha saputo vivere e sopravvivere in un ambiente ostile, costruendo case di neve e di ghiaccio, cacciando con kayak e slitte, pescando pesci, catturando uccelli e raccogliendo alghe.
La foto dei kayak, poche ma significative, hanno ovviamente attirato la mia attenzione e le ho riportate tutte a corredo di questa breve scheda sinottica.

    

L'autore parla ovviamente del kayak, con toni analoghi a quelli adottati nel lavoro monografico redatto con la collaborazione di Joelle Robert-Lamblin “La civilisation du phoque”. Ma stavolta è più sintetico e schematico: il kayak è uno scafo destinato ad un uomo solo, anche se in alcune regioni, come la Baia di Hudson, il kayak è molto grande per consentire il trasporto dell’intera famiglia (come si vede nel film documentario Nanook of the north!).
In Groenlandia, il kayak è perfettamente adattato alle misure del suo proprietario ed una volta dentro il suo kayak, l’uomo “fait corps avec lui”. Il minimo movimento dell’uno si ripercuote sull’altro. Grazie a questa unità i kayaker groenlandesi, soprattutto quelli della costa orientale, sono probabilmente i migliori del mondo. Se accade di rovesciarsi, incidente assai frequente, il kayaker è capace di recuperare l’equilibrio con una manovra conosciuta come “esckimo-esckimotage” (come tradurlo in altro modo per non mancare di rispetto ai moderni Inuit?!?). Per questo genere di esercizi, e per poter uscire in kayak in caso di cattivo tempo, il kayaker indossa una giacca di pelle di foca rasata e trattata in maniera da renderla impermeabile. Il cappuccio è stretto intorno al viso e le maniche intorno ai polsi.

A pagina 78 del volume si incontra un trafiletto interessante, incorniciato sotto una bellissima fotografia di un kayak in pelle bianca sospeso a delle assi di legno: “la tecnica dell’eskimo consiste, una volta che il kayak è capovolto e la testa è finita sott’acqua, nel recuperare la posizione normale verticale, con la testa in alto e fuori dall’acqua. L’eskimo è praticato in tutti i club di kayaker. I groenlandesi, ed in particolare gli Ammassalimiut (gli abitanti della regione orientale di Ammassalik) sono dei veri maestri in questa tecnica e sono i migliori “eskimoteurs” del mondo".
L’autore ha infatti potuto studiare, durante la sua permanenza presso di loro, più di 20 tipi differenti di eskimo: oltre al metodo classico con l’aiuto della pagaia, ci sono diverse “acrobazie”, così le definisce Victor stesso, che consistono nel raddrizzare il kayak a mani nude o con il pugno che stringe una pietra, per dimostrare di non avere aperto la mano sott’acqua. A causa del vento, dei ghiacci e delle correnti, sono molti gli uomini che si capovolgono durante la caccia, e la temperatura dell’acqua è polare! Indispensabile diventa quindi sapere eseguire correttamente la manovra, per recuperare l'equilibrio e per salvarsi la vita.

L’ultimo capitolo è il resoconto toccante del ritorno di Paul-Emile Victor ad Ammassalik nel 1951 e poi ancora nel 1964, per ragioni diverse e per intervalli sempre troppo brevi. Ogni volta, però, l’autore è stato accolto da occhi lucidi, grida di gioia e abbracci calorosi: “Itti Wittou, Wittou tiguikripok!” “E’ Wittou, è tornato Wittou!”.
Ad Ammassalik, osserva l'autore al suo ritorno, non ci sono più le antiche case di pietra e zolle d’erba, sono diventate tutte case di legno, riscaldate ed arredate in stile danese, con sedie e tavoli sino ad allora sconosciuti per gli Inuit, con finestre di vetro e porte e scalinate d’ingresso. Alcuni anziani cacciatori riescono ancora a cacciare le foche, non con gli arpioni ma con i fucili, le ragazze del paese non lasciano più crescere i capelli e li tagliano corti più dei ragazzi, l’urina non viene più raccolta in grandi bacinelle per pulire le pelli (ed anche i neri capelli delle donne) perché i danesi hanno portato anche i bagni domestici.
Non tutti gli aspetti della civilizzazione occidentale sono nefasti per gli abitanti di Ammassalik, scriveva Paul-Emile Victor sul finire degli anni Settanta: ma già all'epoca lo studioso doveva registrare i primi casi di alcoolismo e di prostituzione e constatava mesto come la storia di quel popolo ingegnoso stava inevitabilmente subendo una brusca virata.

Paul-Emile Victor
è stato un esploratore, etnologo, ingegnere, disegnatore, artista e pioniere dell'ecologia.
Nato a Ginevra nel 1907, è morto nel 1995 a Bora-Bora, dove si era da tempo trasferito e dove veniva spesso definito come “un eschimese nel pacifico”.
Il suo sito ufficiale è ricco di informazioni sul suo conto: www.paulemilevictor.fr.
L’autore ha pubblicato nel corso degli anni diversi testi scientifici e divulgativi, con titoli analoghi e contenuti simili, alcuni incentrati sugli studi antropologi, altri sulle raccolte fotografiche, altri ancora sulle impressioni raccolte sul campo, a stretto contatto con gli Inuit.
Oltre al doppio volume su “La civilisation du phoque” e al racconto illustrato per bambini “Apoutsiak, le petit flocon de neige”, abbiamo avuto la fortuna di trovare e leggere anche il volume “Eskimos, nomades de glaces”, ben più ricco di richiami storici, archeologici, antropologici, tecnici e linguistici.

 

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