Non è facile reperire questo prezioso libretto su Nanuk perché è stato
realizzato dal Museo Nazionale della Montagna “Duca degli Abruzzi” di Torino e
pubblicato in occasione del Filmfestival “Montagna Esplorazione” di Trento del
1998.
Ma se avete modo di visitare il Museo, potrete incontrare il suo squisito
direttore e ricevere da lui una copia in omaggio, come è capitato a noi quando
abbiamo trascorso diverse ore nella accogliente biblioteca del Museo torinese
per visionare alcuni dei film menzionati nel volume.
Una scoperta dopo l’altra!
Intanto,
i testi sono stati tradotti da Gabriella Massa, archeologa, antropologa ed
inuitologa italo-canadese residente a Torino, presto divenuta una guida esperta
di ineludibile riferimento nelle nostre amatoriali ricerche sul popolo degli
Inuit.
Inoltre, i filmati conservati presso la Biblioteca del Museo sono innumerevoli e
tutti di grande interesse storico e didattico, come giustamente sottolineato in
più passaggi del volume: documentari che rappresentano lo stile di vita di un
popolo e “modelli di vita tramandati nei secoli, divenuti cultura profonda,
identità collettiva, visione del mondo e filosofia di vita”.
Infine, i dettagli del film raccolti nel giornale “Nanook of the North”,
pubblicato all’epoca per promuovere la pellicola: una copia originale è
gelosamente conservata al Museo e si possono cogliere sulla carta colo seppia i
simpatici giochi di parole utilizzati per i dialoghi: “La giovane Nyla parkeggia
il suo bambino dentro il parka”!
La lettura del volumetto corre veloce, tra note di carattere antropologico e
curiosità cinematografiche, e permette di scoprire tutti i segreti del film,
dalla lavorazione alla produzione, dalle difficili condizioni climatiche in cui
è stato girato alle vicissitudini della pellicola, andata perduta una prima
volta per un incendio provocato da una sigaretta.
Robert Flaherty acquistò una delle prime cineprese adatte
ai climi rigidi e lubrificata con grafite incongelabile, convinse dei
commercianti di pellami a finanziare una seconda spedizione nell’Artico, scelse
il cacciatore più famoso del villaggio e gli affiancò come moglie la donna più
sorridente, di una bellezza eccezionale, Nyla, l’unica attrice cinematografica
che al mattino masticava gli stivali di pelle per renderli nuovamente morbidi.
Tutti i protagonisti del film, spiega il volume, erano attori non protagonisti e
riuscirono a vincere le loro iniziali resistenze e timidezze una volta compreso
che durante le riprese non avrebbero dovuto fare altro che attendere alle loro
normali faccende: cucire, cacciare, pescare, curare i piccoli, sfamare i cani,
sistemare la slitta, costruire un igloo.
Il film di Flaherty divenne ben presto un capolavoro di poesia e, superate le
prime resistenze, venne riconosciuto come il primo importante documentario
etnografico-antropologico sulla vita degli Inuit del Quebec settentrionale: la
cinepresa cattura i principali strumenti per la caccia (l’arpione, il coltello,
l’ulu da donna per raschiare le pelli) e i due principali mezzi di trasporto in
mare: l’umiak ed il kayak…
“Il kayak è l’imbarcazione utilizzata principalmente per la caccia. E’ formata
da un telaio in legno fluitato (trasportato dalla corrente e raccolto sulla
banchisa), su cui sono tese e cucite con estrema meticolosità le pelli di foca.
L’imboccatura (il pozzetto!) è rifinita con un bordo di legno di forma circolare
per impedire all’acqua di entrare... Normalmente, l0imbarcazione viene utilizzata
da una sola persona, anche se – come si vede nel film – a volte serve a
trasportare tutta la famiglia, compresi i cuccioli di cane!”
Una delle scene memorabili del film ed uno dei passi più interessanti del
volume!
Entrambi dovrebbero trovare un posto d’onore nella biblio-cineteca di ogni
appassionato di kayak da mare…
Altri
ancora sarebbero i film che il volume ci suggerisce di vedere e rivedere, tutti
preziosi documenti storici della civiltà e della cultura di un popolo
straordinario, capace di sopravvivere in un ambiente ostile e di mantenere un
sorriso ampio e cordiale: Eskimo di W.S.Van Dyke del 1933; Milak, il cacciatore
della Groenlandia di Asagaroff del 1925, Igloo della Universal Film del 1933
(definito nel manifesto svedese “un degno confronto con Nanook!”),
Le nozze di
Palo di Knùd Rasmùssen del 1933,
Ombre Bianche di Nicholas Ray del 1960, il più
recente L’ombra del lupo di J.Dorfmann del 1993 (con Toshiro Mifune e Donald
Sutherland protagonisti del film ispirato al romanzo di Yves Theriault “Shadow
ot the wolf”), fino alla ultima pellicola ispirata a Nanuk:
Kabloonak di Claude
Massot del 1994, un film che racconta le vicende legate alla produzione di quel
primo documentario e l’incontro magico tra due personaggi fuori dal comune: il
regista Robert Flaherty ed il cacciatore Allakarialak, il Nanook del film,
interpretato nel film del 1994 da suo nipote Adamie Inukpuk, anche lui
cacciatore Inuit.
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